Grandi mostre. 5
Gauguin a Riehen (Basilea)

un “museo”
planetariO

Gauguin è universalmente noto per le immagini esotiche e sensuali. Il suo mondo figurativo è in realtà popolato di reminiscenze occidentali e commistioni culturali. La Fondation Beyeler gli dedica una splendida retrospettiva con oltre cinquanta capolavori da tutto il mondo.

Gloria Fossi

La bella Tohotaua dai capelli ramati, la pelle resa lucente dall’olio di tiaré, guarda lontano, assorta e malinconica, da una delle tele di Paul Gauguin (Parigi 1848 - Hiva Oa 1903) esposte nell’ottava e ultima sala della mostra sul pittore francese alla Fondation Beyeler di Riehen (Basilea) fino al 28 giugno. Il pubblico numeroso dell’esposizione si affolla soprattutto di fronte a quadri iconici come il grandioso, affascinante e ricco di simboli Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo? in prestito dal Fine Arts Museum di Boston. Come filo conduttore dell’intera rassegna scegliamo tuttavia quest’opera, Giovane donna con ventaglio (Tohotaua), forse un poco meno nota delle altre, ma emblematica dell’intero percorso artistico e della cultura di Gauguin. La tela risale all’ultima attività dell’artista, che morì a cinquantaquattro anni a Hiva Oa nelle isole Marchesi. Era solo, quella mattina dell’8 maggio 1903. Nella capanna sopraelevata (la Maison du Jouir) di Atuona, circondato da decine di tele, cimeli, fotografie e riproduzioni di opere d’arte di ogni tempo e paese, morì tormentato dai dolori e ossessionato dalle incomprensioni del governo coloniale francese, che lo aveva condannato alla prigione (la morte arrivò prima che potesse scontare la pena). Gauguin era sempre stato dalla parte della popolazione maori, ne aveva adottato le usanze tanto scandalose per i missionari bigotti; studiò la loro lingua, difficilissima, amò le leggende e gli idoli (i tiki di pietra). Quando era sbarcato in Polinesia nel 1891 (a Tahiti, mille e cinquecento chilometri da Hiva Oa), era carico di illusioni, in cerca di un paradiso di colori e di luce e di un mondo incontaminato che però ormai andava rapidamente cambiando anche là, dalla parte opposta dell’Occidente europeo lasciato senza rimpianti dall’artista squattrinato.

E senza un franco sarebbe morto, col rammarico, pare, di non poter rimpatriare una seconda volta, come aveva fatto lasciando Tahiti una prima volta nel 1893 per tornare in Francia (da dove, nuovamente deluso per mille motivi, era ripartito nel 1895). E nuovamente deluso da Tahiti, nel 1901 era partito per le più lontane isole Marchesi (anch’esse annesse dal 1880 alla Francia). Fu drammatica anche quest’ultima esperienza, anche se dipinse qui le sue opere che più amiamo, accentuando spesso colori paradisiaci come un rosa che già aveva usato in passato, e facendo diventare di quel colore anche la sabbia tipicamente nera dell’isola vulcanica e montagnosa di Hiva Oa. Morì senza soldi, e pensare che un dipinto ora in mostra a Basilea (Quando ti sposi?), che non ci pare fra i suoi migliori, è stato acquistato a un’asta nel febbraio scorso dal consorzio di musei del Qatar alla cifra di 300 milioni di dollari, quotazione astronomica mai raggiunta a un’asta da alcun quadro. C’è da dire che di rado, negli ultimi anni, un artista di fine Ottocento è stato indagato con tanta dovizia di studi e cataloghi, in Europa come negli Stati Uniti. A differenza del coetaneo e prolifico Van Gogh, di cui esiste un intero museo ad Amsterdam, le opere di Gauguin - oltre tremila fra disegni, tele, acquerelli, sculture - hanno avuto una rapida dispersione dai primi decenni del XX secolo, e si trovano ora in musei e collezioni di tutto il mondo, che in genere non lesinano prestiti. Negli ultimi anni ricordiamo almeno cinque grandi mostre (a Roma, Parigi, Londra, Madrid, New York). Ma è impossibile riunire assieme, in un’unica rassegna, la messe così vasta di opere figurative di Gauguin, per non parlare dei taccuini e degli scritti, in gran parte acquerellati e densi di schizzi, che testimoniano un talento di scrittore fuori dal comune: assai meno stravagante di quanto certi film o biografie romanzate lascino immaginare, Gauguin ebbe una sensibilità profonda, grande lettore e ottimo conoscitore dell’arte di tutti i tempi.


Tohotaua fotografata da Louis Grelet nella capanna di Gauguin a Atuona (1901-1902 circa).

La mostra di Basilea non è enorme ma eccellente per la selezione accurata e coerente delle opere. Le ariose sale della Fondation Beyeler ben si prestano a un itinerario saldamente concepito in ordine cronologico, dai primi autoritratti ed esperimenti figurativi in chiave simbolica dei soggiorni in Bretagna (a Pont-Aven e Le Pouldu, dal 1886 al 1891) ai temi polinesiani del primo viaggio a Tahiti (1891-1893). E poi, alle opere francesi del rientro in patria, breve e sofferto, alle numerose del ritorno a Tahiti nel 1896 fino a quelle del successivo trasferimento, nel 1901, nelle isole Marchesi. L’unica fase che a Basilea non è documentata è quella del breve ma pur importante viaggio in Martinica, che Gauguin, già in cerca di una “naïveté” e di una natura primigenia, aveva fatto nel 1887 con l’amico pittore Charles Laval: esperienza disastrosa dal punto di vista umano ma testimoniata da un discreto nucleo di opere che denunciano la ricerca di luce e colori brillanti trovati poi nelle isole dell’Oceano Pacifico. Fra i capolavori esposti, La visione dopo il sermone (Edimburgo, National Gallery), esemplare per la prima evidente ispirazione alle stampe giapponesi; il Cristo verde (Bruxelles, Musée des Beaux-Arts), Il Cristo giallo (Buffalo, Albright-Knox Art Gallery), l’Autoritratto con il Cristo giallo (Parigi, Musée d’Orsay); inoltre, ceramiche come Autoritratto in forma di brocca (Copenaghen, Designmuseum Danmark) e sculture in legno come Oviri (Musée d’Orsay) o Thérèse (Lefevre Fine Art di Londra). Ci sono anche dipinti densi di simboli come l’autobiografico Bonjour Monsieur Gauguin (Praga, Národní Galerie) e l’inquietante La perdita della verginità (Norfolk, Chrysler Museum of Art), derivato nella posa dal Cristo morto di Holbein, del quale l’artista conservava una riproduzione fotografica. Queste immagini, segnate dal malessere e da una solitaria inquietudine, contrastano magnificamente col sereno giardino acquatico che si apre al visitatore tramite la grande vetrata disegnata da Renzo Piano. E da qui, dalle opere del periodo bretone, assai ben documentato, si passa alle icone del periodo polinesiano come il citato Da dove veniamo? di Boston, che Gauguin considerava il suo capolavoro, o I cavalieri sulla spiaggia dell’ultimo periodo alle Marchesi, che s’ispira, nonostante il soggetto esotico, a un’opera di Degas. Ci sono anche dipinti meno visti, come il ritratto giovanile dell’amata Madeleine Bernard (Musée de Grenoble), e soprattutto la Donna con due bambini (Chicago, Art Institute) a quanto ci risulta mai esposto in Europa.

Quando era sbarcato in Polinesia nel 1891 era carico di illusioni, in cerca di un paradiso di colori e di luce e di un mondo incontaminato


La tela esula dalla tipologia consueta delle sensuali donne polinesiane, per indagare sui tratti di una donna segnata dall’età, eppure sorridente. L’ispirazione l’ha avuta da un’opera di Hans Holbein il Giovane, il Ritratto della moglie coi due figli maggiori, la cui fotografia era appesa alla parete della capanna di Atuona. Gauguin d’altra parte scrisse di aver portato dalla Francia un piccolo museo di amici (“camarades”): riproduzioni di Giotto, Raffaello, Holbein ma anche opere egizie e cambogiane: un universo artistico che amava e via via gli servì da pretesto per rappresentazioni altre, sortite dalla sua fervida sensibilità, dall’amore per la bellezza dell’umanità e della natura, per i misteri della femminilità e dell’essere umano.

Una bella fotografia in bianco e nero scattata da un mercante svizzero, Louis Grenet, amico di Gauguin a Hiva Oa, fu ritrovata anni fa fra le carte del missionario Paul Vernier, fra i primi a entrare nella capanna di Gauguin appena morto. La fotografia ritrae Tohotaua, la vera Tohotaua, con un pareo che le copre il seno (pare che al momento di fotografarla Grenet le avesse coperto il petto già sfiorito, nonostante la giovane età). Alle sue spalle s’intravede la riproduzione di Holbein, che nella posa in controparte ispirò Gauguin per il quadro della polinesiana con i due bambini. La bella Tohotaua, raffigurata invece nel dipinto ora a Essen, lascia intravedere generosamente il petto quasi infantile. La giovane è seduta su una poltrona in voga nella Polinesia coloniale, come ormai laggiù si trovano solo nei musei etnografici (una simile l’abbiamo vista al Musée de Tahiti et des Iles, nell’isola omonima, capitale dell’allora protettorato francese). Nel ritratto della giovane “vahiné” spicca il ventaglio maori, con piume di sterna. La coccarda blu bianca e rossa, colori della bandiera francese, segnala la colonizzazione francese (era usato nelle colonie per la festa del 14 luglio, imposta ai maori, che si divertivano senza ben comprenderla). In alto, al posto del quadro di Holbein che si vede nella fotografia, Gauguin ha dipinto l’evanescente figura di un mango. Non casuale ci pare il contrasto fra la giovanile bellezza di Tohotaua e la donna matura, che forse è lei stessa la madre sfiorita dei due ragazzi, nel quadro di Chicago. «Credo che il pensiero cha ha potuto guidare la mia opera», scrisse Gauguin, «anche se solo in parte, sia legato misteriosamente a mille altri, sia miei, sia presi in prestito da altri».


Hans Holbein il Giovane, Ritratto della moglie con i figli maggiori (1528 circa), Basilea, Öffentliche Kunstsammlung.

Quali notizie? (1892), Dresda, Staatlichen Kunstsammlungen, Galerie Neue Meister.


Cavalieri sulla spiaggia II (1902).

ART E DOSSIER N. 321
ART E DOSSIER N. 321
MAGGIO 2015
In questo numero: L'INVASIONE DELLE ULTRAMOSTRE Expo, Biennale e le altre, in Italia e in Europa: da Leonardo a Gauguin, da Altdorfer alla Nuova oggettività, dal barocco romano a Diebenkorn. PAGINA NERA La Palermo dell'abbandono.Direttore: Philippe Daverio