Letture iconologiche. 2
I denti di Michelangelo

la bocca
della verità

Possibile che un dente possa stimolare il dibattito degli storici dell’arte? A partire da una ricerca pluriennale di Marco Bussagli scopriamo che la presenza di un quinto incisivo superiore, ricorrente soprattutto in alcune opere di Michelangelo, non è solo legata a personaggi macchiati dal segno del peccato. Come si spiega, infatti, la presenza dell’anomalia nel Cristo della Pietà vaticana o nell’allegoria della Carità scolpita da Antonio del Pollaiolo per il Monumento funebre di Sisto IV?

Marco Bussagli

La ricerca scientifica è così: dopo anni di studio, si scrive un libro, si chiude l’ultima pagina, si pubblica, magari si regala ai colleghi e si presenta anche ai giornalisti e poi, dopo cinque minuti, ci si accorge che quella ricerca non è conclusa e che sono emersi ulteriori aspetti venuti fuori grazie alle osservazioni di altri che hanno letto quello che hai scritto. Lasciatemi dire che è entusiasmante. È quanto è successo a chi scrive con il suo ultimo libro, I denti di Michelangelo(1)

Bisogna sapere, infatti, che nel corso dei vari contatti con altri colleghi per confrontare osservazioni e ricerca, il direttore della Fabbrica di San Pietro, Pietro (“nomen omen”) Zander, studioso di fama internazionale, mi fece osservare che la testolina dell’allegoria della Carità scolpita in bronzo da Antonio del Pollaiolo, fra il 1484 e il 1493, per il Monumento funebre di Sisto IV (Città del Vaticano, Museo del tesoro della basilica di San Pietro) aveva nella chiostra dentaria di un sorriso non richiesto, inequivocabile, l’anomalia del quinto incisivo o “mesiodens”. Si trattava di quella reale patologia dentaria - di cui si occupa il libro citato - che Michelangelo aveva impiegato innumerevoli volte nelle figure demoniache, nei peccatori e, con rara coerenza, nei personaggi dalla connotazione morale negativa come la versione della Cleopatra di Casa Buonarroti (Firenze), disegnata sul retro di un foglio e scartata dal maestro(2). A questo punto, lo studioso non considerava del tutto convincente la mia ricerca perché il dente compariva in una figura come la Carità che non aveva connotazioni negative. La risposta, nel libro, fu che il caso di Pollaiolo non poteva essere paragonato a quello di Michelangelo giacché quest’ultimo sviluppò l’iconografia del quinto incisivo per tutta la sua carriera artistica, fino agli affreschi della Cappella paolina, sempre con la stessa maligna connotazione, tanto che la presenza del “mesiodens” nella Pietà vaticana andava interpretata come l’immagine del Cristo che assume su di sé i peccati del mondo e se ne fa carico per annullarli(3).


Antonio del Pollaiolo, Monumento funebre di Sisto IV (1484-1493), particolare dell’allegoria della Carità, Città del Vaticano, Museo del tesoro della basilica di San Pietro.

(1) M. Bussagli, I denti di Michelangelo. Un caso iconografico, Milano 2014.
(2) L’anomalia dentaria presente nella testolina della Carità del Monumento funebre di Sisto IV è stata notata per la prima volta da Pietro Zander, a seguito della lettura delle bozze del mio libro. Su quella base, fu modificata la conclusione del testo, ma non le deduzioni scientifiche. In proposito: M. Bussagli, op. cit., pp. 144-145. Del tema discussi anche con il restauratore della tomba, Sante Guido che qui ringrazio. Sulla Ugly Cleopatra, come definisco il disegno scartato di Casa Buonarroti (Firenze): ivi, pp. 54-55.
(3) M. Bussagli, op. cit., pp. 144-145.

La presenza del “mesiodens” nella Pietà vaticana andava interpretata come l’immagine del Cristo che assume su di sé i peccati del mondo e se ne fa carico per annullarli


Poco dopo la pubblicazione del mio testo, però, si aggiunse una nuova e interessante osservazione dovuta all’acume di un noto critico e giornalista, Maurizio Cecchetti che, avendo letto il libro ed essendo andato a recensire la bella mostra su Bramantino a Lugano, aveva notato come il Cristo dolente del pittore milanese presentasse senza dubbio l’anomalia del quinto incisivo(4). Il fatto è particolarmente importante perché - sebbene non diminuisca la profondità del pensiero di Michelangelo e non sia inficiata la relazione con le prediche di Savonarola che parla del «dente del peccato», presente pure nelle incisioni del demonio che illustrano la raccolta pubblicata delle sue invettive oratorie - indica che l’attribuzione al Cristo di questa anomalia dentaria, dal significato negativo, era già in uso nel 1490, anno al quale risale l’opera dell’artista lombardo(5). Del resto, che l’iconografia del “mesiodens” avesse una lunga storia lo avevo già segnalato citandone la presenza non soltanto gli affreschi fiorentini di Andrea di Buonaiuto al cappellone degli Spagnoli (che Michelangelo doveva aver visto) dove i diavoli lo esibiscono in digrigni satanici, ma pure nella figura dell’Ade realizzata nel mosaico di San Marco a Venezia con la scena della Discesa di Cristo al limbo, datata al XIII secolo. Pertanto, la presenza del quinto incisivo nella bocca del Salvatore dolente dipinto da Bramantino non fa che confermare la lettura fin qui esposta. C’è un aspetto in più che va sottolineato, però; ossia il fatto che il Redentore dell’artista milanese mostra tutto lo sforzo che lo impegna a prendere su di sé i peccati del mondo. A differenza di quel che accade con il Cristo della Pietà vaticana di Michelangelo, il suo volto non è radioso e sereno, ma è corrucciato e teso, segnato da una smorfia di dolore, con le lacrime che gli scorrono dagli occhi lucidi e rossi fino alla barba. Si può dunque dire che si tratta di una “messa in chiaro” del significato simbolico del “mesiodens” che, per la verità, compare anche in altre opere importanti, a cominciare dal Cristo nella Crocifissione di Grünewald, conservata alla Kunsthalle di Karlsruhe, nonché nel Crocifisso dipinto sull’altra faccia della stessa tavola e in quello dell’Altare di Isenheim (Colmar, Musée d’Unterlinden), tutti gravati dalla colpa originaria e dal peso di una corona di spine che mostra visivamente il lungo e doloroso processo di espiazione del peccato universale(6). A questo punto, lo strano sorriso della Carità della tomba di Sisto IV risulta ben comprensibile. La presenza del quinto incisivo lì, lungi dall’essere un’improvvida resa della chiostra dentaria come avevo scritto, è il portato di questa diffusa iconografia che si svilupperà compiutamente più avanti, con Michelangelo, ma che già allora era nota e utilizzata. Si tratta, infatti, del più alto segno di carità: farsi carico delle colpe degli altri. Del resto, è quanto scrive san Paolo nell’Inno alla carità che vale la pena citare integralmente: «La carità è paziente, è benigna la carità; / la carità non invidia, non si vanta, / non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, / non tiene conto del male ricevuto, ma si compiace della verità; / tutto tollera, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta»(7). Infatti, chi può essere più caritatevole di chi «sopporta» le bugie, le mancanze, i difetti, le vigliaccherie, le intemperanze, i tradimenti, le meschinità, gli eccessi e, in ultima analisi, i peccati degli altri? Pertanto, mi sembra che la presenza del quinto incisivo nella testolina della Carità di Pollaiolo, realizzata negli stessi anni del Cristo dolente di Bramantino, sia perfettamente coerente con la connotazione di negatività che quell’anomalia dentaria aveva suscitato negli uomini nel corso dei secoli. Evidentemente la presenza di quel «dente bastardo», come veniva definito, asimmetrico e spurio, era considerata, come ho cercato di spiegare nei miei scritti, un elemento di disturbo così potente da essere visto come il segno del peccato per eccellenza. Un peccato che connotava quei personaggi la cui condizione di malvagità o d’imperfezione morale, come nel caso della Sibilla delfica o del Giona di Michelangelo, doveva essere visibile; ma che segnava pure figure allegoriche come la Carità o mistiche come Gesù, la cui missione salvifica si faceva evidente con la presenza nel proprio corpo del segno del male per antonomasia. Del resto, non è un caso, come ho potuto osservare, che anche il volto di Cristo sul celebre Velo di Manoppello (al quale prossimamente dedicherò un articolo) sia segnato dalla presenza del quinto incisivo.


Michelangelo Buonarroti, Pietà (1498-1499), particolare del Cristo, Città del Vaticano, San Pietro.


Bramantino, Cristo dolente (1490 circa), particolare, Madrid, Museo Thyssen- Bornemisza;


Matthias Grünewald, Crocifissione (1525 circa), Karlsruhe, Kunsthalle.

(4) M. Cecchetti, Bramantino, il genio umbratile della Lombardia, in “Avvenire”, 24 ottobre 2014. Vi si può leggere: «Come talvolta accade quando qualcuno ti mette una pulce nell’orecchio, i pensieri, governati dall’occhio, cercano riscontri a una nuova ipotesi. La novità non riguarda, immediatamente, Bramantino, ma un suo illustre contemporaneo: Michelangelo. È una scoperta dello storico dell’arte Marco Bussagli, che la documenta in un libro di cui anche questo giornale ha parlato (il 12 ottobre scorso), dove si mette in luce in alcune figure del genio toscano (diverse nel Giudizio Universale), una strana anomalia: il “mesiodens”, ovvero un incisivo supplementare che si aggiunge ai quattro superiori diventando quello mediano. L’“hyperdontia” era ben conosciuta all’epoca di Michelangelo, nella quale anche Bramantino vive e opera. Guardando bene si vedrà che il Cristo dolente di Madrid ha il “mesiodens”. Per i dettagli simbolici rimando al libro di Bussagli (I denti di Michelangelo. Un caso iconografico), ma è importante notare, per dare ragione del discorso su Bramantino, che il “mesiodens” è presente anche nel Cristo della Pietà di San Pietro». Si veda pure: http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/ BRAMANTINO-.aspx
(5) Sul Cristo dolente della collezione Thyssen-Bornemisza di Madrid: L’arte nuova del Rinascimento lombardo, catalogo della mostra (Lugano, Museo cantonale, 28 settembre 2014 - 11 gennaio 2015), a cura di M. Natale, Milano 2014, pp. 84-85. Inutile dire che, prima di Cecchetti, nessuno ha mai notato l’anomalia del quinto incisivo nel Cristo del pittore milanese. Sulla predica di Savonarola e le edizioni illustrate delle sue invettive oratorie: M. Bussagli, op. cit., pp. 134-137.
(6) Su Grünewald: P. Bianconi, L’opera completa di Grünewald, Milano 1972, pp. 90-91 e 96-97. Anche in questo caso, la presenza del quinto incisivo nell’opera del pittore tedesco è stata notata per la prima volta in questo articolo da chi scrive.
(7) San Paolo, Prima lettera ai Corinti, XIII, 4-7.

ART E DOSSIER N. 320
ART E DOSSIER N. 320
APRILE 2015
In questo numero: LE FACCE DEL BRONZO Originali, falsi e repliche: bronzi e bronzetti dai greci a Giambologna, a Pomodoro. IN MOSTRA: Bronzi ellenistici, Durand-Ruel, Il demone della modernità, Matisse.Direttore: Philippe Daverio