L’epigrafe relativa a Cesare ricorda invece come questi, dopo avere sparso il sangue dei suoi nemici in tutto il mondo, inondasse alla fine la curia con il proprio. Se è già strano che in un palazzo di Roma compaiano nelle lapidi ricordi così foschi di Cesare e Pompeo non si capisce perché le effigi dei due personaggi siano poi state collocate in facciata. Poiché fra tutte le campagne militari di Cesare la più famosa è sicuramente quella delle Gallie, bisogna considerare che lo stemma francese compare sia nei medaglioni, con l’impresa del Capodiferro sotto forma di un singolo giglio, sia nell’elegantissimo cortile - ornato dalle statue sempre in stucco degli dei dell’Olimpo - affiancato da quello di papa Giulio III. Tanto spazio concesso ai gigli di Francia è dovuto al fatto che il cardinale Capodiferro si formò alla corte del cardinale Alessandro Farnese a contatto con i più illustri artisti e letterati dell’epoca, dove ebbe modo di raffinare il suo gusto e la sua cultura; quando il Farnese divenne papa Paolo III, Capodiferro fu più volte inviato in Francia come nunzio apostolico. Alla morte del papa, nel 1549, quando tutti pensavano che si sarebbe schierato con il cardinale Farnese che capeggiava il partito filoimperiale, i cardinali francesi tentarono d’imporlo come loro candidato al papato(5), ma senza successo. Non stupisce quindi l’epigrafe drammatica dedicata a Cesare se si considera che i francesi non hanno mai dimenticato l’invasione delle Gallie (come dimostra la creazione, ancora nel XX secolo, del fumetto Asterix e Obelix dove i galli sono rappresentati quali vincitori dei romani). Ma Cesare fu anche protagonista d’una fulminea e brillantissima campagna militare in Spagna che da sola sarebbe bastata a consacrarlo come uno dei più grandi generali del mondo antico, campagna oscurata poi dalla grandezza dei successivi trionfi(6).
E alla Spagna ci riconduce anche Pompeo che sottomise le province spagnole che si erano ribellate e fu più tardi incaricato di governare la penisola, impegno assolto tramite dei legati mentre lui rimase a Roma.
Quindi l’iscrizione relativa a Pompeo va interpretata come un omaggio al partito imperiale degli Asburgo che regnavano sulla Spagna, in accordo con quella che era stata la politica papale di Paolo III che aveva tentato in ogni modo di riconciliare Francesco I e l’imperatore Carlo V nella speranza di convincerli a unire le loro forze per combattere contro i turchi di Solimano che avanzavano nel Mediterraneo(7). Va ricordato che anche la politica matrimoniale rientrava in questa strategia e quando nel 1538 Margherita d’Austria, figlia naturale di Carlo V, aveva sposato Ottavio Farnese, nipote di Paolo III, la notizia aveva seminato il panico nella corte francese per timore che si formasse un’alleanza troppo stretta fra il papa e Carlo V. Lo stesso cardinale Capodiferro aveva avuto l’incarico di negoziare il matrimonio fra Vittoria Farnese, nipote del papa, e il duca d’Orléans, figlio di Francesco I; e più tardi sempre Capodiferro aveva trattato per concordare le nozze fra un altro nipote del papa, Orazio Farnese, e Diana di Francia, figlia naturale di Francesco I.
Lo stemma francese ritorna all’interno, nel soffitto della sala delle Quattro Stagioni vicino a tre mezzelune sacre alla dea Diana che richiamano appunto il nome della principessa francese.
Uomo del Rinascimento, mondano e affabile, protetto da Paolo III in modo tale che si sospettava fosse un suo figlio naturale, Capodiferro fu assiduo compagno di quel papa festaiolo che fu Giulio III, ma non poté godersi molto il suo palazzo. La nomina al soglio pontificio dell’austero Paolo IV Carafa nel 1555 comportò per lui la perdita della legazione di Romagna e l’allontanamento da Roma, per cui dovette rifugiarsi a Padova per sottrarsi all’inasprirsi della lotta contro l’eresia e contro i facili costumi. Tornò a Roma per partecipare al conclave che vide l’elezione di Pio IV, e nel corso del quale morì il 2 dicembre 1559.