Luoghi da conoscere
L’Armenia

sulla via
della seta

Quasi due milioni di morti è il tragico bilancio del primo genocidio del secolo scorso, avvenuto esattamente cento anni fa in Armenia per mano turca. Il territorio nazionale appare comunque ancora oggi ricco di un importante patrimonio storico e archeologico, con chiese, fortezze, templi e monasteri millenari.

Sergio Rinaldi Tufi

In Armenia, l’inizio del disgelo primaverile è segnato da una triste ricorrenza: il 24 aprile di cento anni fa esatti scattò (preannunciata da cruente spinte nazionaliste di fine Ottocento e inizio Novecento) un’operazione di sterminio attribuita ai “Giovani turchi” (a capo di una dittatura instaurata nel 1913 in seno al declinante impero ottomano). Si calcola che un milione e novecentomila armeni di Costantinopoli e delle province dell’Anatolia orientale (o Armenia occidentale) siano stati eliminati nel giro di tre anni, e innumerevoli altri costretti alla diaspora, soprattutto negli Stati Uniti e in Francia. Vicenda dolorosa, a lungo discussa: nel 1985 una condanna dell’Onu parla espressamente di “genocidio”. 

Dopo un attacco della Turchia anche all’Armenia orientale, respinto con l’aiuto della Russia, nacque nel 1918 la repubblica di Armenia, che poi dal 1920 al 1991 fece parte dell’Urss, perdendo però a favore della Turchia ampie aree e siti notevoli come Ani. Oggi questa repubblica sud-caucasica, confinante con Georgia e Azerbaigian, si estende su un altopiano caratterizzato da forti pendii, talvolta brulli talvolta verdeggianti, dominato dalla vista del monte Ararat (anch’esso, però, in territorio turco). Misura 29.800 kmq, ed è perciò ben minore dell’Armenia “storica”. Ecco: che si intende per Armenia storica, paese posto sulla Via della seta? 

Gli armeni, popolazione indoeuropea, apparvero nella regione nel VII secolo a.C., ma, già in precedenza, si erano susseguite importanti vicende. Le prime realtà archeologiche rilevanti risalgono all’Età del bronzo (III-II millennio a.C.): resti di fortificazioni, oppure di allineamenti di pietroni infissi nel terreno. Forse calendari solari: casi simili so-no ampiamente nella preistoria e protostoria europea (Stonehenge, Carnac, Sarmizegetusa…). A Karahundj presso Sisian gli allineamenti, estesi per sette ettari, descrivono talvolta cerchi; a Shengavit, nell’area di Yerevan, spicca un tempio fortificato, con un muro di cinta spesso quattro metri. A Metsamor, presso Armavir, sono stati rinvenuti sia pietroni allineati, sia resti di una fortificazione: nell’adiacente museo si conservano bei corredi funebri. A partire dal XVII secolo a.C. la regione fu dominata dagli Hurriti, e poi, dall’VIII, dal regno di Urartu: fra le rovine di fortezze urartee, le più imponenti sono quelle di Erebuni (Yerevan), eretta dal re Arishti nel 782 a.C.


Rovine della chiesa di San Gregorio a Zvartnots (VII secolo).

Fra i monasteri che già avevano conosciuto fasi importanti sotto i Bagratuni ricordiamo quello di Tatev


Dopo la dominazione persiana e quella di Alessandro Magno, si sviluppò un regno indipendente, che con Tigrane II il Grande (95-55 a.C.) raggiunse una grande estensione: nella capitale, Tigranocerta, templi e giardini rivaleggiavano con quelli mitici di Ninive. Più tardi, Tiridate I (53-100 d.C.) fu addirittura incoronato re da Nerone, e proprio con il contributo dell’imperatore fece costruire a Garni uno dei monumenti più singolari della regione: un tempio di tipo classico, un esastilo di ordine ionico, ancora ben visibile grazie a un restauro (per la verità un po’ “pesante”). L’Armenia, insieme alla Mesopotamia e all’Assiria, fu poi conquistata da Traiano: provincia effimera, subito abolita dal successore Adriano. Nel III secolo l’area fu coinvolta nelle lotte di potere fra Sasanidi e Arsacidi in Persia e nelle lotte religiose fra seguaci degli antichi culti locali, del mazdeismo e del cristianesimo. 

Quest’ultimo, per influsso del grande predicatore Gregorio l’Illuminatore, fu reso religione ufficiale nel 301 dal re Tiridate III: dodici anni prima del più noto Editto di Costantino. Fra gli splendidi codici armeni che, secoli dopo, ancora narrano quei momenti, ce n’è uno del 1569 conservato al Matenaradan di Yerevan in cui una miniatura raffigura Tiridate e Gregorio che visitano a Roma Costantino e papa Silvestro. Oltre a Gregorio, contribuiscono a creare un’identità nazionale, nel V secolo, Mesrop Mashtots, traduttore della Bibbia e inventore dell’alfabeto armeno, e Mosè di Corene, autore (formatosi ad Alessandria e in Grecia) di una storia dell’Armenia.


Il monastero di Tatev (IX secolo).

La chiesa armena è monofisita: Cristo risulta da due nature, divina e umana, ma sussiste in una sola. Malgrado le lacerazioni teologiche, e malgrado si divida fra due capi o “katholikoi” (uno a Echmiadzin presso Yerevan, uno a Sis in Cilicia), la componente religiosa è un fortissimo punto di riferimento in una storia travagliata: la regione cambiò più volte estensione, subendo numerose dominazioni straniere, ma al tempo stesso insediando in Italia e in altri paesi forti gruppi di mercanti e di monaci. 

Vi sono nel Medioevo due periodi di indipendenza: quello della dinastia Bagratuni (capitale Ani, 885-1064) e la “Piccola Armenia” (1085-1375), creata in Cilicia dal principe Rupen dopo la presa di Ani da parte dei Selgiuchidi. Sotto i Bagratuni, grazie ad architetti come Tiridate (omonimo degli antichi re), Manuele, Minas, gli edifici sacri, costruiti in blocchi di pietra squadrata e collocati in magnifici paesaggi, esprimono grande sapienza tecnica. Nelle chiese, le planimetrie prevalenti sono quella basilicale a tre navate con volte a botte e quella a pianta centrale, ma con molteplici variazioni. Un fervore di soluzioni che si manifesta anzitutto nella cattedrale di Echmiadzin, eretta nel IV secolo per impulso di Gregorio l’Illuminatore in forma di basilica piccola e semplice, poi sostituita nel V da un grande edificio a pianta cruciforme, a cui nei secoli si sono aggiunti vari altri corpi di fabbrica. Nel VII secolo la chiesa della martire Hripsimé presenta, attorno allo spazio centrale circolare, quattro absidi e quattro nicchie cilindriche alternate; nella chiesa della consorella Gaiana la pianta è una sintesi fra la cruciforme e la basilicale. 

A Dvin (quaranta chilometri da Yerevan), che fu capitale nel V secolo, il quartiere centrale è dominato da una chiesa a pianta basilicale, alla quale nel VII si aggiungono un transetto e una cupola ottagonale. E ancora al VII risalgono le rovine della non lontana chiesa di Zvartnots: una sorta di grande quadriconco con colonnato circolare esterno. Rovine suggestive: l’edificio fu preso a modello nel X secolo dall’architetto Tiridate che ne realizzò ad Ani - per conto del re Gaguik I dei Bagratuni - una copia perfetta, la chiesa di San Gregorio. Anche la cattedrale della stessa città riprendeva uno schema già sperimentato, quello “misto” di Santa Gaiana, ma con la cupola sostenuta da enormi pilastri.


La chiesa di Santa Ripsima (Hripsimé) a Echmiadzin (VII secolo).


Il monastero di Noravank (XIII secolo) a Yeghegnadzor.

Tra gli edifici sorti in funzione della Via della seta c’è un bel caravanserraglio, presso il passo di Selim, datato da un’iscrizione al 1332


Copiare una chiesa precedente è in Armenia un fatto eccezionale: anzi in genere, come si è detto, la varietà di soluzioni è notevole. Questo vale anche e soprattutto per i monasteri, quando, dopo la caduta di Ani, la dinastia dei Bagratuni esce di scena, e l’attività edilizia è promossa in particolare dagli ordini religiosi. Per motivi di sicurezza, i conventi sorgono in luoghi spesso impervi, e le soluzioni sono complesse: all’interno di poderose mura di cinta si dispongono, con varie dislocazioni, chiese con o senza “gavit” (nartece), campanili, biblioteche, fontane, colonne, croci scolpite. Fra i monasteri che già avevano conosciuto fasi importanti sotto i Bagratuni ricordiamo quello di Tatev: alla chiesa principale centrale - Santi Pietro e Paolo -, con grande sala a cupola, si aggiungono altre chiese e numerosissimi ambienti addossati al muro di cinta, che segue il ciglio dello sperone roccioso su cui sorge il complesso. Fra X e XIII secolo si datano gli altri, fra cui ricordiamo quelli di Sanahin, Haghpat, Haghartsin (il cui refettorio è opera dell’architetto Minas), Goshavank, Geghard: quest’ultimo è forse il monastero in cui le architetture meglio si fondono con le rocce circostanti. 

Oltre alle chiese e ai conventi, ricordiamo almeno due edifici sorti in funzione della Via della seta: la fortezza di Amberd, costruita nell’XI secolo sui resti di una struttura precedente; e, presso il passo di Selim, un bel caravanserraglio, datato da un’iscrizione al 1332. 

L’interno, un lungo ambiente con pianta a “L”, presenta una navata centrale per il bestiame e due laterali per uomini e merci. Vivaci, sulla facciata, due rilievi raffiguranti animali. 

Il tipo di scultura più diffuso (anche se non manca-no interessanti statue) è costituito appunto dai rilievi in funzione decorativa delle architetture. 

Talvolta raffigurano i committenti: per esempio, su una parete della chiesa principale del monastero di Sanahin i principi bagratuni Gurgen e Sembat presentano il modellino dell’edificio; gli stessi personaggi, ma resi in maniera molto diversa, si trovano nella chiesa del Santo Segno a Haghpat. In entrambi i casi, le figure sono molto semplificate, ma l’innegabile mancanza di organicità e di correttezza delle proporzioni è compensata dall’immediatezza e dalla chiarezza dei dettagli. Caratteristiche che sembrano esaltate dalle lunette di Noravank con Dio benedicente e con la Madonna. 

A Goshavank, ma un po’ dovunque, e soprattutto in un grande cimitero in località Notarus presso il lago Sevan, sono diffuse le croci dette “khatchkar”, decorate con fitti motivi geometrici e vegetali, paragonabili per finezza a un ricamo. Una ricchissima combinazione di motivi decorativi e di temi figurati (soggetti biblici, ma anche scene di caccia ecc.) avviluppa tutte le pareti della chiesa di Santa Croce, costruita dall’architetto Manuele sull’isola di Althamar nel lago Van. Da sottolineare, infine, una crescente presenza italiana in Armenia: non solo grazie alla penetrazione commerciale di marchi più o meno famosi, ma anche in virtù di una forte collaborazione culturale. Il nostro console a Gyumri, Antonio Montalto, ha promosso, per esempio, l’allestimento di ottimi tabelloni illustrativi (in molte lingue, italiano compreso) in tutti i luoghi di interesse storico; nella stessa sede consolare è attiva una biblioteca che si arricchisce grazie ai libri donati dai nostri turisti e visitatori. Ed è di un’autrice italiana, Nadia Pasqual, una delle più ampie e aggiornate guide del paese: Armenia. Monasteri e montagne sulla Via della Seta (2013).


Il caravanserraglio al passo di Selim (XIV secolo).


Il tempio di Garni (I secolo d.C.).

ARMENIA IN MOSTRA

Nel centenario dell’eccidio degli armeni segnaliamo due significative esposizioni che offrono l’occasione per conoscere la cultura del primo paese a proclamare nel 301 d.C. il cristianesimo come religione di stato. Armenia. Il popolo dell’Arca è il titolo della rassegna in corso fino al 3 maggio nel Complesso del Vittoriano (Roma, via San Pietro in carcere, telefono 06-6780664, orario 9.30-18.30, venerdì, sabato e domenica 9.30-19.30; www.cominicareorganizzando. it) a cura di Vartan Karapetian. Sette sezioni con molti reperti archeologici, opere d’arte, codici miniati, illustrazioni e documenti. Catalogo Skira. Gli adoratori della croce. Elio Ciol. Fotografie. Armenia 2005 è la mostra, a cura di Adriana Mazza, in corso fino al 10 maggio al Museo delle Culture di Lugano (Heleneum, via Cortivo 26, Lugano-Castagnola, telefono +41 588666960, orario 10-18, chiuso il lunedì; www.mcl.lugano.ch). Una selezione delle immagini scattate dal fotografo friuliano dieci anni fa nel corso di un viaggio nella spiritualità, nel paesaggio, nella cultura armena. Protagoniste delle fotografie sono le croci (i “khatchkar”) incise su chiese e monasteri, segni della religiosità e dell’identità dei popoli che hanno vissuto in quei territori. Catalogo Giunti Arte mostre musei.


Elio Ciol, le croci incise sulla cappella di Surp Astvatzatzin, Noravank (2005).

ART E DOSSIER N. 320
ART E DOSSIER N. 320
APRILE 2015
In questo numero: LE FACCE DEL BRONZO Originali, falsi e repliche: bronzi e bronzetti dai greci a Giambologna, a Pomodoro. IN MOSTRA: Bronzi ellenistici, Durand-Ruel, Il demone della modernità, Matisse.Direttore: Philippe Daverio