Studi e riscoperte. 1
Bronzi tra tradizione innovazione

se è vivo
è vero

Un’arte millenaria resistente al passare del tempo e ancora sorprendente per gli stessi addetti ai lavori. È l’arte della scultura in bronzo, complessa, affascinante, accurata, generatrice di opere la cui autenticità è difficilmente dimostrabile.
A meno che non intervenga un esperto fonditore capace di svelare il processo di lavorazione e di tracciare in modo inequivocabile il loro identikit.

Jean Blanchaert

Comprendere i procedimenti e le fasi che conducono alla realizzazione di una scultura in bronzo è come smontare un lungo brano in lingua sanscrita del Mahabharata con i suoi infiniti passaggi. Cercheremo quindi di non addentrarci nei dettagli minuziosi di una grammatica che potrebbe risultare astrusa e incomprensibile, senza però rinunciare a una spiegazione semplice che aiuti coloro che non sono mai stati in fonderia a conoscerne gli affascinanti segreti. Non c’è bisogno della macchina del tempo per viaggiare a ritroso di cinquemila anni. Non dobbiamo neppure guardare un documentario con simulazioni cinematografiche ed effetti speciali. L’Età del bronzo va in onda tutti i giorni nelle fonderie artistiche in Italia e all’estero, dove i medesimi gesti, quasi immutati da millenni, tanto misteriosi ed ermetici quanto precisi, portano alla realizzazione di sculture che rappresentano l’idea poetica dell’artista in forma imperitura e definitiva, proprio com’è il bronzo.


Un vaso in bronzo prodotto dalla Fonderia Azuma in Giappone negli anni Sessanta - Settanta.

«Sono nato nel bronzo», racconta Franco De Andreis, titolare dell’omonima fonderia alle porte di Milano, «eppure, ancora oggi, dopo cinquant’anni, ogni volta che c’è la colata, mi emoziono»


In una lettera a Benedetto Varchi (1546), Michelangelo scriveva: «Io intendo scultura, quella che si fa per forza di levare: quella che si fa per via di porre, è simile alla pittura: basta, che venendo l’una e l’altra da una medesima intelligenza, cioè scultura e pittura, si può far fare loro una buona pace insieme, e lasciar tante dispute; perché vi va più tempo, che a far le figure». 

Anche se Michelangelo la considerava pittura tridimensionale, quella in bronzo è comunque scultura e Benvenuto Cellini così illustra la tecnica della cera persa: «Venend’hora à parlare del modo ch’io tenni in far dett’opera, dico che (secondo che si usa), io la feci di terra della grandezza appunto ch’ella aveva da essere (…), dipoi la cossi gagliardissimamente e, poi che la fù cotta, messi sopr’ella una grossezza di cera equale, manco grossa d’un dito. Dipoi con cera medesimamente l’andava crescendo dov’io vedeva esserne bisogno…»(*)

Molti scultori sognano di fare bronzo, ma spesso non realizzano questo desiderio a causa del costo esorbitante della fusione. Kengiro Azuma, insigne scultore zen, nato ottantotto anni fa a Yamagata, nel Nord del Giappone, in una famiglia di fonditori e da più di sessant’anni residente a Milano nel quartiere della Bovisa, ha in proposito un’opinione più rasserenata, più francescana: «Forse perché ho respirato bronzo sin da bambino, non ne ho una venerazione particolare. Tutti i materiali, secondo me, hanno la stessa dignità. Anche il legno, il ferro, il gesso e la pietra mi piacciono molto. E anche la carta. Il bronzo poi, come diceva Gio Ponti a proposito dell’architettura: “Non si può cancellare, quel che è fatto è fatto”». Fortunatamente le numerose sculture in bronzo di Azuma non hanno nulla da cancellare. 

Ci sono arti del fuoco, per esempio il vetro, in cui l’artigiano è talmente importante per la realizzazione dell’opera da determinarne comunque, anche stilisticamente, il risultato finale. Sarà compito dell’artista o del designer seguirlo e indirizzarlo affinché rimanga ancora qualcosa del concetto di partenza. Nel bronzo non è così. L’idea originaria, l’anima del progetto, è solitamente un’opera in gesso modellata dallo scultore. Nelle successive fasi della lavorazione, rocambolesche per i non addetti ai lavori, massima attenzione sarà data nel riprodurre con la più grande fedeltà la statua destinata a diventare bronzo.


Il bronzo a 1200 gradi.

(*) B. Cellini, Trattato attenente all’arte della scultura, dove si ragiona del lavorar le figure di marmo e gettarle di bronzo, in Id., Due trattati, uno intorno alle otto principali arti dell'oreficeria, l'altro in materia dell'arte della scultura, Firenze 1568.

Il bronzo fuso cola riempiendo la forma.


Kengiro Azuma nella fonderia Battaglia a Milano con la sua scultura MU-141 “La vita infinita” (2015), opera che a maggio sarà collocata nei pressi del portone degli Acattolici nell’ala ovest del Cimitero monumentale del capoluogo lombardo.

«Ogni volta che l’oggetto possiede una patina (tipicamente, nei bronzi antichi, è di colore verde e/o rosso) questa può essere analizzata al fine di capire se è il risultato di un naturale processo di alterazione del metallo o se invece è il frutto di un’operazione di falsificazione»


Nelle successive fasi della lavorazione, rocambolesche per i non addetti ai lavori, massima attenzione sarà data nel riprodurre con la più grande fedeltà la statua destinata a diventare bronzo. Il formatore, il cerista, il fonditore e il cesellatore hanno questo compito, diverso da quello dei maestri vetrai ma non meno importante. Ecco una descrizione semplificata del processo che porta alla realizzazione di una scultura in bronzo: lo scultore porta il modello in fonderia dove viene realizzato un calco in negativo, in silicone e gesso. All’interno del calco viene steso col pennello uno strato di cera calda dello stesso spessore che si vuole ottenere per il bronzo (di solito 5 millimetri). A questo punto, si riempie il vuoto interno della cera con un composto di terra refrattaria e acqua. Una volta indurito, si stacca il negativo, liberando la cera. Si ottiene così l’esatta copia in cera del modello originale e si procede alla meticolosa copertura della statua in cera, sempre con materiale refrattario, ottenendo una forma che copre tutto. Si mette quindi la forma ottenuta in forno. Raggiunta la temperatura di seicento gradi la cera si scioglie, annullandosi e lasciando un vuoto che viene riempito dal bronzo fuso, immesso attraverso canalizzazioni precedentemente preparate. 

«Sono nato nel bronzo», racconta Franco De Andreis, titolare dell’omonima fonderia alle porte di Milano, «eppure, ancora oggi, dopo cinquant’anni, ogni volta che c’è la colata, mi emoziono». Inizia ora un’attesa ansiosa che durerà minimo un giorno. Bisogna consentire al bronzo di raffreddarsi prima di liberarlo dal refrattario. «Al primo colpo d’occhio», rivela lo scultore Paolo Borghi, «capisco subito se la fusione è riuscita. Dopo tanto lavoro, è il momento della verità aspettato da tutti». Il formatore, il cerista, il fonditore hanno già svolto il loro compito. Toccherà al cesellatore lavorare la superficie della scultura e creare la prima patina. 

Il land artist italiano Giuliano Mauri (1938-2009), quando, nel 2001, ha progettato la sua Cattedrale vegetale in Val di Sella (Trento), ha guardato in là, si è prefigurato il decadimento delle ottanta colonne di legno di nocciolo e di castagno e ha piantato all’interno di esse ottanta carpini, alberi che vivranno anche dopo la sparizione delle colonne. La Cattedrale vegetale, fra cent’anni, sarà dunque diversa ma sempre opera dello stesso autore. Anche lo scultore che lavora il bronzo sa che quando lui non ci sarà più il tempo continuerà a modificare la superficie della sua opera, migliorandola, dandole una storia e delle patine nuove che nobilitano la lega composta al novantacinque per cento di rame e al cinque per cento di stagno. In Scandinavia, per esempio, le grandi sculture in bronzo frustate dalle onde e dall’aria del mar Baltico, col passare degli anni e dei secoli hanno acquisito una stupenda patina rosso-verde. 

Il considerevole valore delle opere in bronzo ha inevitabilmente attratto nel corso dei secoli i falsari. Spesso si è trattato della riutilizzazione di bronzi originali usati come modelli. In questi casi, la nuova fusione avrà dimensioni diverse, più ridotte. 

Peter Matthaes, direttore del Museo d’arte e scienza di Milano, la cui attività è in gran parte dedicata a dirimere, a spiegare e certificare il vero e il falso, ci illustra come non sia facile verificare l’autenticità di un oggetto in bronzo perché non esiste un metodo di datazione assoluta per il metallo. «Le possibilità di accertamento aumentano per i reperti più antichi come quelli archeologici. Ogni volta che l’oggetto possiede una patina (tipicamente, nei bronzi antichi, è di colore verde e/o rosso) questa può essere analizzata al fine di capire se è il risultato di un naturale processo di alterazione del metallo o se invece è il frutto di un’operazione di falsificazione». 

Alla fonderia Battaglia di Milano hanno realizzato in passato, fra gli altri, le loro sculture in bronzo Adolfo Wildt, Lucio Fontana, Giacomo Manzù, Marino Marini e, oggi, Giuseppe Penone, Velasco Vitali e Kengiro Azuma che sta ultimando il lavoro MU-141 “La vita infinita”, opera spirituale che a maggio verrà collocata nei pressi del portone degli Acattolici nell’ala ovest del Cimitero monumentale di Milano. 

Matteo Visconti di Modrone, proprietario e direttore artistico della fonderia Battaglia, racconta del suo rapporto col Centro per la conservazione e valorizzazione dei Beni culturali del Politecnico di Milano, e della costante cooperazione con i carabinieri del Nucleo tutela del patrimonio artistico. «Per un gallerista è impossibile smascherare un falso ben eseguito. Ci vuole l’occhio di un bravo fonditore. A volte noi riscontriamo alcuni “difetti” tipici della nostra fonderia. Sono segreti di lavorazione che rivelano il nostro DNA. In questi casi, l’oggetto è buono». 

Luigi Maccaferri, collezionista di figure in bronzo francesi e italiane dell’Ottocento e del Novecento, tenuti in conto tutti i criteri del caso per evitare incauti acquisti, dopo tanti anni di esperienza, ha stabilito un suo personale metro di valutazione: «Se è vivo, è vero».


Gladio romano falso con convincente patina ottenuta però con attacco chimico.


Contenitore cinese autentico (dinastia Han 206 a.C-220 d.C) con una bella e profonda patina costituita dai prodotti di corrosione naturale del bronzo.

ART E DOSSIER N. 320
ART E DOSSIER N. 320
APRILE 2015
In questo numero: LE FACCE DEL BRONZO Originali, falsi e repliche: bronzi e bronzetti dai greci a Giambologna, a Pomodoro. IN MOSTRA: Bronzi ellenistici, Durand-Ruel, Il demone della modernità, Matisse.Direttore: Philippe Daverio