XXI secolo
Arnaldo Pomodoro

un operatore
spaziale

Cercando non la perfezione ma l’essenzialità e l’armonia, le sculture monumentali di Arnaldo Pomodoro sono elementi integrati nei contesti in cui sono inserite: urbani o extraurbani, moderni o antichi, dentro e fuori della nostra penisola.

Agnese Morano

Arnaldo Pomodoro (1926), così come suo fratello minore Giò (1930-2002), è considerato, senza alcuna ombra di dubbio, uno dei più importanti e vivaci scultori mondiali viventi. Proprio per questo noi, con un pizzico di sano patriottismo, siamo ben lieti che le origini dei due fratelli siano italiane e siamo altresì orgogliosi del fatto che cospicue monumentali sculture di Arnaldo siano oggi ospitate in numerose città non solo all’interno della nostra penisola ma anche al di fuori di essa. 

Per comprendere in pieno il complesso e intimo rapporto che lega e unisce le opere arnaldiane al contesto urbano entro cui sono collocate, occorre necessariamente fare un breve ma doveroso excursus circa l’iter artistico da lui percorso: solo così infatti potremo capire le motivazioni artistico-culturali che lo hanno accompagnato verso questa particolare e imponente produzione scultorea che, con mirabile maestria, ha saputo far interagire con lo spazio cittadino, di cui è diventata parte integrante.


Sfera con sfera (1982-1983), Dublino, Trinity College.

«Ho scelto i solidi della geometria intervenendo come una termite, per separare e togliere, per entrare all’interno della forma, per distruggerne il significato simbolico»


Ma andiamo con ordine. Arnaldo è uno scultore, interiorizza la scultura facendola, sentendola e rendendola “sua”. Ma, nonostante ciò, la sua attività ha avuto un inizio ben differente e, soprattutto, è stata caratterizzata da una poliedrica volontà di sperimentare, senza mai stancarsi, vari campi d’arte. Egli è stato decoratore, orafo, insegnante, scenografo. La sua prima produzione lo vede infatti realizzatore di piccoli pezzi astratti di oreficeria, minuscole sculture in oro e argento che, comunque, già in nuce lasciavano presagire valide premesse per una fresca e innovativa scultura, ben lontana dalle forme tradizionali. A metà degli anni Cinquanta arrivano i suoi primi rilievi modellati in vari materiali quali ferro, stagno, piombo, argento, cemento e bronzo. L’uso di questi materiali a volte innovativi e rivoluzionari testimonia la sua fervida e incessante ricerca di sperimentare nuovi mezzi formali ed espressivi. Dalla frontalità bidimensionale del rilievo Pomodoro passa, negli anni Settanta, alla complessità spaziale e materica della forma a tutto tondo. 

Ma non si accontenta di realizzare una scultura avente una forma perfetta: sente il bisogno di distruggerne e farne a pezzi la sua effimera compiutezza per mostrarci l’opera nella sua spezzettata e frammentaria complessità. Egli stesso infatti afferma di aver «scelto i solidi della geometria intervenendo come una termite, per separare e togliere, per entrare all’interno della forma, per distruggerne il significato simbolico». Ed è proprio da qui che nasce la sua esigenza di creare sculture monumentali dominate da un severo, per dirla con una celeberrima espressione di Pascal, «esprit de géométrie» che porta a ridurre ogni forma all’essenzialità volumetrica di figure geometriche solide che vengono nettamente tagliate, spezzate e replicate in linee rette o circolari, e i cui squarci, rompendo le lisce superfici scultoree, rendono parzialmente visibili le parti più intime e interne della scultura stessa. 

Le sue realizzazioni si sono guadagnate un posto in ogni angolo del mondo: le possiamo ammirare infatti non solo in grandi metropoli quali New York (Sfera con sfera), Mosca (Disco solare), Los Angeles (Colpo d’ala), Dublino (Sfera con sfera), Milano (Grande disco), ma anche in luoghi famosissimi quali il cortile della Pigna all’interno dei Musei vaticani (Sfera con sfera), così come in cittadine più piccole quali Spoleto (Colonna del viaggiatore), Tivoli (Arco in bronzo e acciaio) e Terni (Lancia di luce). 

La serie delle Sfere indica, esteriormente, l’effimera perfezione della realtà che invece, al suo interno, è fermentazione del caos. La Lancia di luce sintetizza l’idea dell’evoluzione tecnologica e la pregnanza storico-economico-sociale che le acciaierie simboleggiano per la cittadina umbra; le varie Colonne del viaggiatore indicano il desiderio di scoprire lo spazio in quanto il viaggiatore diventa simbolo di un novello conquistatore del cosmo. Ogni opera ha, com’è logico che sia, un proprio significato ma, in questa sede, anziché interrogarci circa la valenza simbolica delle sculture di Pomodoro - che ovviamente è strettamente legata alle varie committenze - vogliamo capire compiutamente quale sia il rapporto che le lega al contesto urbano nel quale vengono inserite. 

Arnaldo è ben consapevole del fatto che le sue sculture, essendo di dimensioni monumentali, sono vere e proprie “architetture scultoree” e, pertanto, non sono opere d’arte musealizzabili ma saranno necessariamente e inevitabilmente collocate all’interno del tessuto urbano. 

«Generalmente», afferma l’artista, «non sono io a scegliere i luoghi dove posizionare le mie sculture, che spesso mi vengono indicati dalla committenza, ma la collocazione di una scultura in un determinato luogo richiede sempre attenzione e studi approfonditi sul rapporto scultura-spazio circostante ».


Grande disco (1972), Milano, piazza Meda.


Lancia di luce (1995), Terni, corso del Popolo.

«La collocazione di una scultura in un determinato luogo richiede sempre attenzione e studi approfonditi sul rapporto scultura-spazio circostante»


Ed è proprio questo il grande merito di Arnaldo (che ovviamente si unisce alla sua grandiosa capacità creativa): l’essere riuscito mirabilmente a inserire, senza alcuna costrizione o forzatura, le sue opere nei vari e multiformi contesti urbani così variegati e diversi l’uno dall’altro per storia, tradizioni e collocazione geografica. Infatti, nonostante ciò, riesce a far sentire “a proprio agio” le sue sculture ovunque e, parallelamente, continua a far sentire altrettanto appropriato il tessuto urbano o extraurbano entro cui vengono collocate. Ciò può risultare “semplice” nel caso di città moderne quali New York, Los Angeles, Terni (cittadina umbra che, pur avendo avuto un’antica origine romana, fu pesantemente bombardata durante il secondo conflitto mondiale e, pertanto, oggi risulta completamente ricostruita) ma sicuramente non si può riscontrare la stessa “facilità” nell’inserire monumentali sculture di manifattura e creatività contemporanea in contesti di antico e glorioso passato quali quelli di Spoleto, Tivoli o il già ricordato cortile dei Musei vaticani. Tuttavia, nonostante tale ovvia e oggettiva difficoltà, Arnaldo vi riesce con estrema e ammirevole maestria. 

Egli infatti, senza alcuna forzatura, integra le sue opere sia in ambienti cittadini già popolati da edifici sia in ambienti extraurbani ove è la natura a fare da padrona. Conciliando la premessa ambientale con la forma dei suoi lavori, Arnaldo ha fatto sì che questi ultimi siano divenuti una parte talmente tanto indissolubilmente legata al contesto entro cui sono stati inseriti da non poter più pensare a quel determinato luogo senza la sfera, la lancia o il disco pomodoriano. Questo accade perché Arnaldo è un “operatore spaziale” che non si limita a colmare lo spazio con i suoi capolavori ma lo integra, arricchendolo, con le sue monumentali geometrie.


Arco dei Padri Costituenti (2009), Tivoli, piazza Giuseppe Garibaldi.


Colonna del viaggiatore (1962), Spoleto, viale Trento e Trieste.

ART E DOSSIER N. 320
ART E DOSSIER N. 320
APRILE 2015
In questo numero: LE FACCE DEL BRONZO Originali, falsi e repliche: bronzi e bronzetti dai greci a Giambologna, a Pomodoro. IN MOSTRA: Bronzi ellenistici, Durand-Ruel, Il demone della modernità, Matisse.Direttore: Philippe Daverio