Poco dopo sappiamo di una sua richiesta a Giuseppe Raimondi, redattore di “La Ronda” a Roma: «Grazie tanto dei colori. Solo che invece di terra di Siena bruciata molto scura mi hai mandato della terra d’ombra. Ma per ora non mandarmi altro perché del nero ne ho trovato del buonissimo qui».
Negli anni a seguire Morandi si affidò ai colori Wibert, Lefranc e Winsor & Newton. Quando negli anni del secondo conflitto bellico gli vennero a mancare incaricò gli amici Cesare Brandi e Luigi Magnani di procurarglieli in occasione dei loro viaggi all’estero e diede loro indicazioni accurate. Allo storico dell’arte, nel 1941, scrisse: «La ringrazio tanto delle boccette di vernice. Mi saprà poi dire quanto Le devo. Per ora non me ne occorre altra perché da Milano me ne hanno già procurato della Wibert. Riguardo ai colori Lefranc non mi occorre che il giallo di cromo scuro.
Ma solo se si tratta di colori fini non da decorazione.
Come pure mi occorrerebbe, ma sarà difficilissimo, del Vert de Crome sempre di Lefranc. Nel caso trovasse questo colore, è bene fare attenzione che sotto l’indicazione del colore vi è segnata la composizione chimica e cioè oxide de crome. Le dico questo perché sotto lo stesso nome viene smerciato altro prodotto che non ha nulla a che fare con ciò che mi occorre ». È lo stesso Magnani a riportare un curioso aneddoto. Incaricato da Morandi di acquistargli i colori Winsor & Newton, data l’impossibilità di poterli esportare, il collezionista riuscì nel proprio intento con queste parole: «Con questi colori - dissi - il più grande pittore italiano, Giorgio Morandi, potrebbe creare dei capolavori. Se il suo nome vi è ignoto, non lo è al vostro maggiore poeta, Eliot; potrei portarvi testimonianza scritta della sua ammirazione per lui». “Prestigiosi” anche i nomi dei colori - sui quali si sofferma Nico Orengo nel suo libro Gli spiccioli di Montale. Requiem per un uliveto - di cui Morandi fornì l’elenco a Magnani: «Bianco d’argento, giallo brillante di Napoli, terra di Siena, lacca di garanza, verde smeraldo, cobalto azzurro d’oltre mare, blu di Prussia ecc.».
Dettagliata, e non poteva essere diversamente, la ricerca dei pennelli, stando a una richiesta avanzata a Mario Broglio, riferibile al 1924: «Mi occorrerebbero alcuni pennelli come quelli che comprai a Roma l’anno scorso e che si sono già logorati. Il genere di pennelli è questo che le disegno. Sono pennelli di puzzola corti e piatti dei N.ri 11 e 12: me ne occorrerebbero 3 di ogni numero. Li comprai da Olivieri».
Quanto ai telai, sappiamo, grazie alle memorie dell’amico scrittore Giuseppe Raimondi, che li faceva preparare in funzione dell’“idea” da un suo falegname, così che le loro proporzioni variano di volta in volta. Non stupisce che Morandi avesse preferenze precise anche sul legno, prediligendolo duttile, secondo la testimonianza riportata da Raimondi: «L’abete è il legno che mi piace di più. È un legno che si lascia lavorare. Non richiede troppa fatica. Con l’abete si fanno tutte le cose per l’uomo. Il tavolo di cucina, il letto per la famiglia, le sedie di casa. [...] Anche per la pittura, mi sono accorto che l’abete dei miei piccoli telai sembra che vada d’accordo con la pittura che faccio io».
Nel suo lavoro Morandi si concentra su pochi temi, per i quali sceglie titoli convenzionali: Natura morta, Fiori, Paesaggio. Sappiamo da Brandi e da Magnani che aveva la consuetudine di indagarli con un cannocchiale, strumento con cui poteva ottenere sia la precisione ottica, sia il trapasso delle lontananze, ravvicinare l’inquadratura per scrutare i paesaggi da vicino, come faceva con gli oggetti posti sulla ribalta per le sue nature morte o, al contrario, quando l’immagine era troppo ravvicinata, sfocarla come se si fosse avvalso di uno zoom con un esito che permetteva al motivo delle sue speculazioni di essere riconoscibile e nello stesso tempo sfuggente. In altri casi l’artista li indagava attraverso una finestrina di cartone, di materiale povero, ritagliata dalla scatola di una pastina Barilla, con un’apertura di cm 5 x 5, quasi questa fosse un mirino ottico, così da circoscriverne l’inquadratura.