Il gusto dell'arte


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dI pIacere

di Ludovica Sebregondi

Prendendo spunto dal tema dell’Expo, “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, la rubrica per quest’anno cambia, presentando luoghi legati al cibo e al vino: la taverna e l’osteria

In passato le osterie erano locali dove si poteva mangiare ma anche trovare alloggio, mentre con i termini dispregiativi taverna e bettola s’indicava un luogo pubblico in cui cibarsi ma soprattutto bere vino: un ambiente volgare, a volte sordido, frequentato da avventori poco raccomandabili, spesso ubriachi e violenti. Una distinzione puramente accademica, perché le parole taverna e osteria sono sempre state utilizzate indifferentemente. Ma è al termine “osteria” che si associano innumerevoli canti e stornelli, spesso volgari e sconci, che portano il computo matematico nella poesia del genere (dall’Osteria numero zero all’Osteria numero mille). 

Dato che ai locali di campagna si appendeva una frasca come insegna - una derivazione dalle immagini del dio Bacco con la testa adorna di pampini - il modo di dire soprattutto laziale “mettere la frasca”, significava proprio aprire una mescita di vini. Le osterie erano comunque riconoscibili per le insegne che proponevano immagini di ogni genere, per illustrare visivamente il nome del locale ed essere riconosciute anche dagli analfabeti. 

Lungo le strade, ai crocicchi, nei paesi, le osterie offrivano ai viandanti un luogo in cui alloggiare, una stalla per i cavalli, una bella pergola all’aperto in cui rinfrancarsi mangiando e bevendo nella stagione calda o un accogliente focolare durante l’inverno. Pintoricchio (Perugia 1452 - Siena 1513) ha affrescato tra il 1500 e il 1501 un simile locale sullo sfondo dell’Annunciazione nella cappella Baglioni della chiesa di Santa Maria Maggiore a Spello. Sulla strada procedono frati a piedi con i pochi averi riuniti nel fardello appeso a un bastone, un mulo carico di merce si inerpica sulla collina, alcuni viaggiatori entrano con i cavalli nella stalla della bella locanda contraddistinta da un’insegna, mentre altri sono già accomodati all’accogliente tavolo rivestito di una tovaglia. Trattandosi di una scena sacra, tutto appare idilliaco e ideale, i colori sono chiari e luminosi, la musica accompagna vino e cibo e non ci sono le donne compiacenti, invece quasi sempre presenti. 

Nelle osterie si ordivano beffe, si giocava a carte o ai dadi, e ne risentivano la quiete e la morale pubblica, perché gli avventori, riscaldati dal vino e dal gioco, esaltati o disperati per le vincite e le perdite, bestemmiavano o venivano alle mani. Proprio per motivi di ordine pubblico Leone XII, papa dal 1823 al 1829, emanò un editto che proibiva di consumare vino nei locali senza l’accompagnamento di cibo. Chissà se la draconiana disposizione sia mai stata veramente applicata, in una Roma in cui il vino dei Castelli ha sempre avuto un ruolo fondamentale. 

Alla chiara osteria campagnola di Pintoricchio si oppone l’antro scuro dipinto da Ottone Rosai (Firenze 1895 - Ivrea 1957) nel 1935: un Interno con figure, soggetto ricorrente nel repertorio dell’artista, che vi rivisita le forme del Quattrocento toscano. Personaggi e motivi sono quelli a lui cari in quegli anni, con i clienti presentati nella loro dolente umanità: una stanza che sembra quasi una prigione per quella finestrella da cui si affaccia, dall’esterno, un uomo, i bicchieri e il fiasco impagliato sulla tavola, il gesto di sconforto dell’avventore seduto a cavalcioni sulla sedia impagliata e con la testa appoggiata sullo schienale. Tutto è immobile, tutto è disperazione. 

Per il pittore Mariotto Albertinelli (Firenze 1474-1515), invece, la gestione di un’osteria nei primi anni del Cinquecento fu la reazione alle critiche dei colleghi e alle «sofisticherie e gli stillamenti di cervello della pittura». Abbandonati i pennelli, decise infatti «di darsi a più bassa e meno faticosa e più allegra arte», aprendo un locale fuori porta San Gallo e uno - detto al Drago - presso Ponte vecchio, nel cuore della città. Un’arte più amena dunque, quella legata a questo luogo paradigmatico, in cui il tempo trascorso si trasforma, ineludibilmente, in “vita d’osteria”.


Ottone Rosai, Interno con figure (Osteria) (1935).


Pintoricchio, Annunciazione (1500-1501), particolare dell’osteria, Spello (Perugia), Santa Maria Maggiore, cappella Baglioni.

ART E DOSSIER N. 318
ART E DOSSIER N. 318
FEBBRAIO 2015
In questo numero: IL SOGNO I mondi oscuri di Leonora Carrington; Le alchimie di Perahim; Donne e incubi surrealisti; Fantasie settecentesche. ISMAN E PAOLUCCI: la Sistina va difesa dai turisti. IN MOSTRA: Doig, Casati, Gherardo Delle Notti.Direttore: Philippe Daverio