Che fa Dada? Il futurismo vuole salire in un lirico ascensore artistico. Che fa Dada? L’unanimismo abbraccia il tuttismo e pesca con la canna artistica. Che fa Dada? […] Cinquanta franchi di mancia a chi trova il modo di spiegarci Dada […] Dada è sempre esistito.
La Santa Vergine è stata dadaista. Dada non ha mai ragione. Cittadini, compagni, signore e signori, diffidate delle imitazioni!».
Il 1921, come sappiamo, è anche l’anno dell’approdo a Parigi di Man Ray.
In un’atmosfera da “terapia psicoanalitica di gruppo”(9) - la guerra appena finita è ancora uno spettro da rimuovere - l’avanguardia parigina agisce senza risparmiarsi. Éluard fonda la rivista “Proverbes”, Picabia “Cannibale”, Paul Dermée “Z”. Tzara e Picabia fanno uscire contemporaneamente i numeri 4 e 5 di “Dada” e “391”.
Tzara aveva riscoperto la poesia di Isidore Ducasse, alias conte di Lautréamont, autore dei Canti di Maldoror, che va a sostituire Rimbaud nell’adorazione dei dadaisti parigini. Nel 1920 si fonda in avenue Kléber il “tempio” delle loro scorribande: la Galleria Au Sans Pareil.
Picabia riprende a dipingere (quadri “meccanici” e scrittura) e si presenta al Salon d’Automne dove viene relegato in un sottoscala. Vengono inviati al Cirque d’Hiver quadri dadaisti con iscrizioni oscene. I limiti sono superati a ogni occasione, e se l’occasione non c’è, la si inventa. La prima serata firmata da “Littérature” (la rivista fondata da Aragon, Soupault e Breton su incentivo di Paul Valéry), intorno a cui si va formando il gruppo surrealista storico, diventa una serata dada.
Rispetto a Zurigo, Berlino e New York, Dada sulla Senna cerca, per smascherarli, i luoghi istituzionali, là dove l’effetto può risultare più deflagrante. Le “bagarres” con gli altri movimenti si fanno sempre più accese. Il comitato della Section d’Or al Salon des Indépendants (Gleizes, Archipenko, Survage), che vuol dire il “gotha” cubista, espelle i dadaisti.
Paul Dermée scomunica pubblicamente i cubisti su “391”: «Ecco il cubismo tutto pettinato e arricciato », scrive, «sorride soavemente e non si mette più le dita nel naso. Il ministro delle Belle Arti può dunque venire ». Uno degli eventi finali è la tumultuosa riunione a Saint-Julien-le-Pauvre per la mostra dei collages di Ernst.
Ormai lo schieramento dada è definito nel suo contingente d’urto, quello che riunisce i capi storici e gli aderenti che sapranno immetterlo nel condotto surrealista. Ci sono Tzara, Picabia, Duchamp, Arp, Ernst, Aragon, Breton, Soupault, Eluard, Dermée, Ribemont-Dessaignes, Arnauld. “391” pubblica una delle icone del movimento: una Gioconda con barba e pizzetto firmata da Duchamp, intitolata L.H.O.O.Q.
Per sua stessa natura, il gruppo non riesce però a muoversi compatto, ed è fatale che al suo interno si formino delle pseudo- secessioni. Si veda per esempio ancora Ribemont-Dessaignes che fonda “L’Esprit Nouveau” dove auspica l’avvento nientemeno che di un «dadaismo cartesiano».
Prevedendo il naufragio imminente, da “Littérature” Breton sarà esplicito: «Abbandonate Dada. Abbandonate la vostra sposa, abbandonate la vostra amante. Abbandonate le vostre speranze e i vostri dolori».
Sparato come un ordine, questa volta il messaggio non si limitava a ribadire la sindrome distruttiva del movimento. Lo chiarirà Tzara molti anni dopo: «È certo che la tabula rasa da noi scelta come principio della nostra attività non aveva valore se non nella misura in cui un’altra cosa l’avrebbe sostituita».
E dire che in quel momento di transizione i veri contendenti erano loro due: da una parte Breton che propendeva per il sorpasso di Dada, dall’altra Tzara fermo sulle sue posizioni ultraradicali. Nel 1923, al dopo teatro di Il cuore a gas di Tzara, vengono letteralmente alle mani, ed è rottura insanabile.
Siamo al 1924, l’anno del primo manifesto di Breton. Ma Dada riesce ancora a mostrare i denti. Si dà alle stampe l’ultimo numero di “391”, Tzara pubblica tutti i suoi manifesti, Dermée prova a lanciare il Mouvement Accéléré, Picabia L’instantanéisme. In dicembre esce il primo numero della “Révolution Surréaliste” e René Clair riunisce Picabia, che l’aveva ideato, Ray, Duchamp e Satie in un film che doveva fare da “entr’acte” ai Balletti svedesi. È la “storia” di una ballerina barbuta, di una partita a scacchi tra Duchamp e Ray, di un funerale dove il carro mortuario è tirato da un cammello e perde la bara, di un prestigiatore che fa scomparire tutti prima di scomparire lui stesso.
Proprio l’ultimo giorno del 1924, il 31 dicembre, Dada ha il suo colpo di coda con Cinesketch, ancora di Clair, dove appare un Duchamp in vesti adamitiche.