Studi e riscoperte. 2
La grafica di Max Klinger

COME UN
FUMETTO
PSICANALITICO

In Max Klinger immaginazione, fantasia, sogno, introspezione trovano nella grafica la loro maggior forza espressiva, sorretta da modelli come Dürer, Holbein, Goya, Doré e protesa verso l’idea dell’arte totale sublimata nell’opera di Richard Wagner.
Una grafica debitrice della filosofia tedesca e precorritrice del pensiero di Freud.

Roberto Middione

«Abbiamo arti, ma non arte». Pensiero che Max Klinger (Lipsia 1857 - Großjena 1920) espresse nel suo unico scritto teorico, Pittura e disegno (1891). Ed è un pensiero che rispecchia la sua poetica a favore di un’arte globale, operazione di sintesi, intellettuale ed estetica, capace di superare le frammentazioni e le cadute della qualità, di favorire «un’azione d’insieme di tutte le belle arti», puntando a quell’eccellenza raggiunta dall’ammiratissimo Richard Wagner nei suoi drammi musicali. Ed è quindi, forte di questa tensione ideale, un pensiero rivolto a conciliare forme tradizionali e spunti innovatori, cristianesimo e arte antica, elementi moralistici e nuova sensualità, insomma a impregnare il classicismo di realismo e di sfumature psicologiche, alternando un dentro e un fuori, un “Io” e un che di altro; il tutto sempre con l’occhio attento a quanto avveniva entro il raggio della percezione artistica, da Böcklin a Marées a Hildebrand. 

Tutto ciò Klinger cercò di rimescolarlo in una sorta di crescente “koinè” dei generi e degli stili, finendo col produrre opere monumentali e di forte impatto visivo e ponderale, mescolando pittura e scultura, cercando anche di annullare i condizionamenti dello spazio attraverso il ricorso a cornici gigantesche tridimensionali che inquadrano alcuni dei suoi più allusivi dipinti della fase tarda, già di per sé sottogruppi autonomi, fortemente espressivi e tematicamente incombenti. Ma, stranamente, i migliori risultati, la migliore sintesi delle sue tensioni, furono raggiunti nel campo della grafica. «Griffelkunst» la ribattezzò Klinger, esaltandola come antitesi dell’arte tradizionale, «vero organo dell’immaginazione nelle belle arti», ove si può cogliere tutto «con l’aiuto del bianco e del nero, della luce e delle ombre e della forma». E, pur rendendo omaggio ai suoi numi ispiratori Dürer, Holbein, Goya, Doré, conferì alla sua grafica significati, caratteri e cadenze quasi di composizioni musicali: Klinger fu autore di ritratti plastici di Beethoven, Brahms, Wagner, giungendo a scaglionare i suoi cicli come “opus”, al pari dei musicisti.


Le illustrazioni di questo articolo sono tutte di Max Klinger e riguardano le dieci tavole realizzate per la serie Opus VI, Un guanto (1881). Luogo.

Un percorso visivo e mentale,
dalla dimensione del reale
a quella onirica, nelle vesti
di un graphic novel,
sempre supportato da minuziosi
compiacimenti ornamentali


Il grafico non rappresenta semplicemente il mondo, lo interpreta. E di interpretazioni Klinger ne ha fornite diverse, in quattordici cicli, di cui il più conosciuto, e inquietante, è sicuramente il primo, curiosamente numerato come Opus VI. Parafrasi sul ritrovamento di un guanto, o più brevemente Un guanto. Le dieci scene in cui si articola la vicenda - tra rimandi, ritorni, metamorfosi, citazioni, ambiguità, alternanze di suggestioni estetiche e di piani interpretativi, all’insegna dell’inquietudine, del trasalimento, del sogno - nacquero come serie di disegni a inchiostro nel 1878; furono tradotte ad acquaforte e acquatinta nel 1881, a Berlino, e poi più volte replicate. Questo ciclo, che poi godette della più ampia ammirazione negli atelier dei surrealisti, viene presentato come un percorso visivo e mentale, dalla dimensione del reale a quella onirica, nelle vesti di un graphic novel, sempre supportato da minuziosi compiacimenti ornamentali. Le dieci incisioni sono singolarmente intitolate: Luogo, Azione, Desiderio, Salvataggio, Trionfo, Omaggio, Paura, Riposo, Rapimento, Amore

Si inizia da una pista di pattinaggio a rotelle, a Berlino, in un’atmosfera descrittiva e aneddotica, rassicurante in superficie ma già ambigua. Ed ecco una donna bellissima e sconosciuta - si saprà comunque che è una brasiliana - allontanarsi di spalle, pattinando in equilibrio obliquo; le è caduto un guanto, a sua insaputa, e lo stesso Klinger, già invaghito, si china a raccoglierlo, perdendo a sua volta il cappello. Da qui prende sostanza un viaggio mentale, psicanalitico, fatto a strappi, la cui impronta farà poi la sua parte nell’immaginario di Munch, de Chirico, Dalí, Max Ernst. Il guanto è deposto ai piedi del letto dell’artista, che si dispera per il desiderio inappagato, mentre la stanza si ibrida illusoriamente con una campagna (non ha più pareti ma alberi); è trascinato tra i flutti di un mare in tempesta e tuttavia salvato, enfaticamente, dallo stesso artista che si protende da una fragile barca; diventato auriga - o clitoride? -, viene condotto in trionfo da una coppia di cavalli bianchi, sulla valva - o vulva? - di un’enorme conchiglia, mentre il mare si trasforma in un campo di acanto, non privo di squamosi esseri metamorfici; viene quindi omaggiato su uno scoglio-altare fiancheggiato da lucerne fumanti, mentre le onde del mare si tramutano in spumeggianti trionfi di rose. Tornano però le paure, e il guanto, in diverse forme, nel dormiveglia dell’artista, assale la stanza da letto già invasa dall’acqua di un mare amniotico, tra citazioni degne di Füssli e Blake, sullo sfondo notturno di un cielo di ardesia e di una luna di carta. 

Ma tutto, anche una sequenza onirica, incontra delle pause: il guanto viene esibito su di un ornato tavolino a tre piedi, in una scena che sa di teatrale, sullo sfondo di un tendaggio composto da altri guanti, allungati e ossessivi, tra due quinte cascanti di rose e ghiande; e già siamo alla scena successiva, anticipata dal muso di un lucertolone pterodattilo che occhieggia minaccioso. Ecco, infatti, il rapimento, protagonista stavolta il mostro volante, che si allunga in un cielo di pece col guanto-feticcio stretto tra le fauci, mentre due braccia disperate si lanciano al soccorso, attraverso i vetri infranti di una finestra chiusa. Infine tutto si ricompone, in un finale forse rassicurante, in virtù della forza dell’Amore: il guanto, enorme ma stanco, si adagia nel mezzo di un proscenio, vicino all’arco e alla faretra di un piccolo Eros con ali di libellula, inquadrato sulla destra da un ennesimo trionfo di rose, stavolta gigantesche.


Azione.

Salvataggio.

Desiderio.

L’elemento straordinario che irrompe nel quotidiano, il desiderio irrazionale che si nutre di se stesso, la sospensione, l’inseguimento, le pause, il pericolo, infine l’apparente quiete


Per dirla con Shakespeare: «Noi siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni». Con la stessa libertà di cui godono i compositori e i poeti, Klinger - poco più che ventenne - ha così percorso il suo primo itinerario verso l’arte globale, con gli strumenti della grafica minuziosa e dell’immaginazione sfrenata - chiaramente in debito con la filosofia tedesca, dall’idealismo a Schopenhauer - alternando i piani della realtà e della fantasia, tra metamorfosi, modificazioni dimensionali, migrazioni da forme passive a forme attive e viceversa, ossessioni feticistiche, preziosità. Sono evidenti l’immersione nel subconscio, il ricorso all’autoanalisi, lo scivolamento nel mondo dei sogni, la concentrazione paranoica su un unico oggetto, o dettaglio, elevato a totem - il tutto in netto anticipo su Freud; e non dimentichiamo che, nel 1879, Odilon Redon pubblica l’album litografico Nel sogno, altra serie di immagini in sequenza, di interesse e sensibilità sicuramente analoghi; e neanche dimentichiamo che il sudafricano William Kentridge, moltissimi anni dopo, ha realizzato la serie di grandi tessuti ossessivamente e illusivamente ispirati al Naso, il racconto di Gogol del 1836. 

Tornando all’opera di Klinger, in questa sorta di fumetto psicanalitico - in cui l’acqua e la conchiglia sono simboli di femminilità mentre i cavalli e il mostro lo sono di mascolinità, in cui il desiderio si mescola all’inquietudine e al tormento - i segni grafici, le singole scene, cristallizzate eppure mobilissime all’interno, si traducono in situazioni psichiche assolute, passione, angoscia, paura, appagamento; si identificano in simboli esistenziali universali. Il mondo esteriore si collega dinamicamente con quello interiore. L’elemento straordinario che irrompe nel quotidiano, il desiderio irrazionale che si nutre di se stesso, la sospensione, l’inseguimento, le pause, il pericolo, infine l’apparente quiete, tutto ciò si ritrova in questa precocissima esposizione di situazioni interiori e quadri estetici, in questo scandaglio dell’io, capace di agire, a onde concentriche, su diverse generazioni di artisti. E, quasi a conferma della disposizione musicale di questo ciclo, ancora nel 1996 Francesco De Gregori vi attinge per uno dei suoi pezzi più sofisticati, Un guanto, ed espressamente ricorda il lontano excursus grafico dell’artista tedesco.


Trionfo;


Omaggio;


Paura.

Riposo;


Rapimento;


Amore.

IN MOSTRA
Non sono frequenti le occasioni in Italia per esplorare il mondo dell’incisione, ambito coltivato da Max Klinger con perizia e passione. Per questo le esposizioni in corso in Emilia Romagna e Toscana rappresentano un’importante opportunità per conoscere da vicino i fogli più famosi dell’artista tedesco, esistenti in più copie e provenienti da importanti collezioni private. Max Klinger. L’inconscio della realtà, prorogata all’11 gennaio presso palazzo Fava (Bologna, via Manzoni 2, orario 10-19, chiuso lunedì, telefono 051-19936305, www.genusbononiae), a cura di Paola Giovanardi Rossi e Francesco Poli, presenta, tra le altre centoventi opere (con esemplari anche di scultura e pittura), otto Opus completi: Eva e il futuro (1880), Intermezzi (1881), Amore e Psiche (1880), Un guanto (1881), Una vita (1884), Drammi (1883), Un amore (1887), Quattro paesaggi (1883). Catalogo edito da BUP - Bononia University Press. Incubi nordici e miti mediterranei. Max Klinger e l’incisione simbolista mitteleuropea fino al 18 gennaio nel Centro espositivo Antonio Berti (Sesto Fiorentino, Firenze, via Bernini 57, orario 16-19.30, domenica 10-12 / 16-18.30, telefono 335-6136979, gcartevita8@gmail. com, www.lasoffitta.net), a cura di Emanuele Bardazzi, Giulia Ballerini e Maria Donata Spadolini, con oltre trecento opere, espone accanto agli Opus: Eva e il futuro, Un guanto e Della morte parte prima, molte incisioni dei seguaci di Klinger più o meno noti come Karl Stauffer-Bern, Otto Greiner, Sigmund Lipinsky, Sasha Schneider, Franz von Stuck e Käthe Kollwitz. La rassegna, realizzata dall’associazione La Soffitta Spazio delle arti, in collaborazione con il Comune di Sesto Fiorentino, è accompagnata da un catalogo pubblicato da Polistampa Edizioni.

ART E DOSSIER N. 317
ART E DOSSIER N. 317
GENNAIO 2015
In questo numero: MILANO CAPUT MUNDI Leonardo designer di corte; La città al tempo della Spagna; Il laboratorio del contemporaneo, dal Futurismo al dopoguerra, a oggi. IN MOSTRA: Rembrandt, I Maya.Direttore: Philippe Daverio