«Abbiamo arti, ma non arte». Pensiero che Max Klinger (Lipsia 1857 - Großjena 1920) espresse nel suo unico scritto teorico, Pittura e disegno (1891). Ed è un pensiero che rispecchia la sua poetica a favore di un’arte globale, operazione di sintesi, intellettuale ed estetica, capace di superare le frammentazioni e le cadute della qualità, di favorire «un’azione d’insieme di tutte le belle arti», puntando a quell’eccellenza raggiunta dall’ammiratissimo Richard Wagner nei suoi drammi musicali. Ed è quindi, forte di questa tensione ideale, un pensiero rivolto a conciliare forme tradizionali e spunti innovatori, cristianesimo e arte antica, elementi moralistici e nuova sensualità, insomma a impregnare il classicismo di realismo e di sfumature psicologiche, alternando un dentro e un fuori, un “Io” e un che di altro; il tutto sempre con l’occhio attento a quanto avveniva entro il raggio della percezione artistica, da Böcklin a Marées a Hildebrand.
Tutto ciò Klinger cercò di rimescolarlo in una sorta di crescente “koinè” dei generi e degli stili, finendo col produrre opere monumentali e di forte impatto visivo e ponderale, mescolando pittura e scultura, cercando anche di annullare i condizionamenti dello spazio attraverso il ricorso a cornici gigantesche tridimensionali che inquadrano alcuni dei suoi più allusivi dipinti della fase tarda, già di per sé sottogruppi autonomi, fortemente espressivi e tematicamente incombenti. Ma, stranamente, i migliori risultati, la migliore sintesi delle sue tensioni, furono raggiunti nel campo della grafica. «Griffelkunst» la ribattezzò Klinger, esaltandola come antitesi dell’arte tradizionale, «vero organo dell’immaginazione nelle belle arti», ove si può cogliere tutto «con l’aiuto del bianco e del nero, della luce e delle ombre e della forma». E, pur rendendo omaggio ai suoi numi ispiratori Dürer, Holbein, Goya, Doré, conferì alla sua grafica significati, caratteri e cadenze quasi di composizioni musicali: Klinger fu autore di ritratti plastici di Beethoven, Brahms, Wagner, giungendo a scaglionare i suoi cicli come “opus”, al pari dei musicisti.