XX secolo. 2
La Milano di Boccioni

TOPOGRAFIA
DELLA CITTÀ
CHE SALE

Nei decenni a cavallo tra Otto e Novecento Milano è già una metropoli in piena industrializzazione, circondata da orti ma già cantiere in continuo movimento, uno snodo per le comunicazioni con il resto d’Europa: il luogo e il momento sono ideali per l’esplosione futurista; è lei, la «gran città» che affascina Umberto Boccioni e che entra nei suoi quadri.

Antonello Negri

Agli albori del futurismo, nel primo decennio del Novecento, Milano è da almeno mezzo secolo una città strutturalmente proiettata verso il futuro, con un sistema ferroviario e di traffico urbano complesso collegato a un’industrializzazione, inizialmente localizzata al centro, il cui progressivo sviluppo e potenziamento investe in una prima fase aree allora periferiche, in gran parte occupate da “ortaglie”, tra la cerchia dei Navigli e le mura spagnole, per poi ampliarsi alla cinta tra le mura e la circonvallazione esterna. I primi fenomeni documentati di meccanizzazione della vita e dei comportamenti umani - in termini che ritroveremo figurativamente restituiti nel Boccioni di Beata solitudo e, più avanti e più sistematicamente, negli “automi” di Fortunato Depero o Vinicio Paladini degli anni Venti - risalgono addirittura agli anni Sessanta dell’Ottocento. Un’incisione del 1865 circa mostra un bel palazzo di corso di Porta Romana, ancora esistente pur con tutt’altra destinazione, che allora ospitava la fabbrica Binda di bottoni d’osso; le operaie vi si muovevano all’unisono con le macchine, seguendo il loro ritmo e finendo per diventare da esse indistinguibili. Erano infatti ricoperte, come le loro macchine, da una grigia polvere d’osso diffusa dappertutto, derivante dalla lavorazione; e al cronista dell’“Eco della Borsa” - mandato a raccogliere impressioni della nuova Milano mirabilmente operosa - apparivano come «statue irrugginite» dai movimenti a scatti.


La città che sale (1910), New York, MoMA - Museum of Modern Art. Dove non altrimenti specificato, tutte le opere che illustrano questo articolo sono di Umberto Boccioni.

Milano come «metropoli del mondo
civile» e centro irradiatore di una
visione avvenirista


La città, già freneticamente dinamica e industrializzata, trae ulteriori impulsi dall’Esposizione internazionale del 1906, apertasi sotto il segno dell’inaugurazione della galleria del Sempione, appena completata, che conferisce al capoluogo lombardo un ruolo centrale per i collegamenti con l’Europa. Sull’evento è puntata l’attenzione di tutta Italia e la popolarissima “Domenica del Corriere” gli dedica servizi e tavole illustrate a colori di Achille Beltrame. In una di esse, nel numero 18 del 6 maggio 1906, i lavori per la realizzazione dell’ingresso principale al parco del Sempione sembrano anticipare i principali motivi iconografici dell’ormai prossima Città che sale boccioniana: le impalcature dell’edilizia e i protagonisti del cantiere, il cavallo da tiro e il carrettiere, i manovali, le carriole cariche di terra e ghiaia. Milano ne esce a buon diritto nuova «metropoli del mondo civile» - lo scrive “Il Secolo” alla chiusura dell’Esposizione, nel novembre 1906 - e diventa centro irradiatore di una visione avvenirista, un cui snodo è la nuova “forma” urbana proposta dal piano regolatore deliberato vent’anni prima. Se ne cominciano a vedere gli effetti nel sistema di case geometricamente allineate delle cerchie più esterne, con i poderosi insediamenti industriali favoriti dal trasporto dell’energia a distanza e dal potenziamento, in prospettiva, di una rete ferroviaria già assai considerevole (proprio a quel 1906 risale la posa della prima pietra della nuova stazione centrale). 

Quando vi si trasferisce, Umberto Boccioni si cala subito nello spirito della città, nel suo avvenirismo diffuso; e comincia a raccontarlo con una grafica - come nei due disegni oggetto di un recente studio di Federica Rovati che ne chiarisce le complesse fonti iconografiche(*) - e con una pittura non ancora formalmente futuriste, ma esemplari e decisive anticipazioni del suo futurismo degli anni Dieci. All’inizio del 1907 l’artista si trova ancora a Padova quando scrive, in un appunto, di un proprio fervido desiderio della «gran città»: «Voglio dipingere il nuovo, il frutto del nostro tempo industriale […] la vita di oggi». A Milano arriva in settembre e si stabilisce in via Castel Morrone al 7, «vicinissimo alla campagna », dove dipinge l’Autoritratto ora a Brera; da qui, il 1° maggio 1908 si trasferisce nella casa della madre in via Adige 23. È il luogo chiave della sua «città che sale», la cui epopea comincia in un ritratto della Sorella al balcone, vale a dire il balcone della casa di via Adige, ancora esistente e ben riconoscibile per il tipico motivo decorativo dei suoi ferri, utile per una puntuale localizzazione di successivi lavori pienamente futuristi: da Al balcone (La strada entra nella casa), 1911, a Materia e Costruzione orizzontale, del 1912.


La sorella al balcone (1909).


Fabbrica Binda di Milano in un’incisione del 1865;


Copertina del “Touring”, gennaio 1908, attribuita a Umberto Boccioni.

Nel dipinto del 1909, davanti al balcone ci sono soltanto “ortaglie” segnate da qualche sentiero dove la gente e i cavalli passano; sullo sfondo, edifici semplici e massicci - forse uno stabilimento, a destra - dai quali spunta una ciminiera. Intanto, proprio allora erano arrivate anche in Italia nuove macchine come i compressori a vapore - volgarmente schiacciasassi - che permettevano d’intervenire sulla rete stradale con estrema efficacia, trasformando rapidamente il volto della città. Ce ne rimane testimonianza in una copertina della rivista del Touring Club Italiano - attribuita proprio a Boccioni - dove una di queste macchine sta operando tra lo stupore generale su una strada di periferia nel tipico contesto della «città che sale», con fabbriche, ciminiere fumanti e case in costruzione. Campi e “ortaglie” diventano terreni da edificare attraversati da strade moderne, lastricate o in macadàm come, alla milanese, tuttora si pronuncia il nome dell’ingegnere scozzese John Loudon McAdam, inventore nel 1820 di quel tipo di pavimentazione (pietrisco compresso e legato con bitume).
È quanto rappresenta Boccioni in due piccoli dipinti del 1908 con la stessa veduta. In uno di essi - dove i lavori per la realizzazione di un sistema stradale di una certa complessità si direbbero più avanzati - compare, proprio in mezzo a due di quelle strade, un tendone da circo, rosso e giallo; nell’angolo in basso a destra, un sentiero obliquo è un residuo di vecchi percorsi campestri. A questo punto Boccioni deve aver pensato a un’opera di maggior respiro, una cui prima idea è fissata in un bozzetto dove, a sinistra dello stradone, verso il fondo, si riconosce il tendone da circo; e, un po’ più avanti, l’inconfondibile sagoma scura di uno schiacciasassi. È il bozzetto di Crepuscolo (Milano, collezione Ramo): uno splendido quadro finalmente rivisto dal pubblico - nelle sale della milanese Fondazione Pasquinelli, nell’autunno scorso - dopo oltre un quarto di secolo dall’ultima grande mostra di Boccioni, a New York. L’idea di rappresentare la «città che sale» comincia davvero a prendere forma. Il perno della composizione, ancora divisionista nella tecnica, è lo stradone che esce prepotente dall’angolo inferiore sinistro, facendo angolo con una strada che corre lungo il bordo inferiore del quadro. A destra c’è un cantiere, sulla strada si muovono figure e carri da trasporto mentre a sinistra, sul filo dell’orizzonte, le ciminiere delle fabbriche si stagliano nell’arancione del crepuscolo. Il tendone da circo c’è ancora, circondato da una corona di luci elettriche che cominciano a brillare nella sera. 


«Voglio dipingere il nuovo,
il frutto del nostro tempo
industriale, la vita di oggi»


Il passo successivo è Officine a Porta Romana: un quadro di formato più allungato - e più tardo: la costruzione della casa è arrivata al tetto - che ci conferma come la veduta sia la stessa della Sorella al balcone. A sinistra è infatti ben riconoscibile la parte a un solo piano della centrale elettrica ancora esistente, pur senza ciminiere, di piazza Trento, su cui dava (e dà) via Adige, dove abitava Boccioni; via Adige è dunque la strada accennata lungo il bordo inferiore di Crepuscolo. Nelle sue prime mostre importanti - alla Famiglia artistica di Milano nel 1909-1910 e 1910-1911, a palazzo Pesaro a Venezia nel 1910 - insieme a Crepuscolo Boccioni espone quasi sempre Mattino, che completa questa serie di quadri volta al racconto della città moderna dall’alba al tramonto (Officine a Porta Romana è anche noto come Meriggio). A differenza degli altri, però, Mattino è diversamente orientato, verso est, dove sorge il sole. Ma lo stradone - l’attuale viale Isonzo - è il medesimo, come anche ci dice il sentiero campestre di cui sopra, qui piegato in senso opposto; oltre le case, in Mattino la strada sbocca dov’era da poco stato costruito il monumentale stabilimento del Tecnomasio Italiano Brown Boveri, le cui ciminiere sono ben visibili all’orizzonte, mentre più a destra s’intravede la sagoma della chiesa di San Luigi Gonzaga. Subito sotto, parallele alla strada lungo la quale tuttora si trovano i binari dello scalo ferroviario di Porta Romana, sostano file di vagoni merci. 

Nella Città sale - dall’iconografia sorprendentemente simile a quella di Beltrame per “La Domenica del Corriere” - Boccioni mette finalmente lo spettatore al centro del quadro, come da poetica futurista. Ma la scena è sempre quella, tradotta in una metaforica esplosione di energie animali e artificiali che adesso va al di là di ogni coordinata topografica. Con il titolo Lavoro, nell’articolo La prima Esposizione d’arte libera (“Il Secolo”, 2 maggio 1911) viene per la prima volta descritta la scena: «Con la città che sorge, e l’ansia convulsa dei cavalli al traino, e i trams che passano in una linea di contorno lontana, e gli operai che faticano, o sprofondano in una nube azzurra di polvere…».


Crepuscolo (1909);


Bozzetto per Crepuscolo (1909).


Officine a Porta Romana (1909), Milano, Gallerie d’Italia, collezione Intesa San Paolo.


Mattino (1909).

ART E DOSSIER N. 317
ART E DOSSIER N. 317
GENNAIO 2015
In questo numero: MILANO CAPUT MUNDI Leonardo designer di corte; La città al tempo della Spagna; Il laboratorio del contemporaneo, dal Futurismo al dopoguerra, a oggi. IN MOSTRA: Rembrandt, I Maya.Direttore: Philippe Daverio