Studi e riscoperte. 3
Milano spagnola e barocca

LA PORTA
D'ITALIA

Durante il dominio spagnolo Milano vive un periodo di grande vivacità religiosa, culturale e artistica. In particolare tra la metà del XVI secolo e il 1630, anno della tremenda peste, il capoluogo lombardo, grazie all’intervento di Carlo e Federico Borromeo, è protagonista di una trasformazione così radicale da diventare cardine politico e creativo dell’intera penisola.

Maria Cristina Terzaghi

La dominazione spagnola a Milano rimonta sostanzialmente alla scomparsa dell’ultimo duca Francesco II Sforza nel 1535 e si estende fino al 1706, quando la città passa sotto l’influenza dell’impero asburgico. Gli anni più vivaci di questo governo, in senso politico e culturale, furono probabilmente quelli che vanno dalla metà del XVI secolo fino alla terribile pestilenza che nel 1630 colpì la città. Fu infatti questo un momento di intensa creatività, che vide Milano organizzarsi politicamente e amministrativamente, collaborando in modo produttivo con il governo spagnolo. I milanesi si adoperarono innanzitutto per la creazione di un ceto nobiliare in grado di competere con la corte internazionale. Di esso dovevano far parte i Dodici di provvisione, capeggiati dal vicario, cui spettava di anno in anno il governo della città che, allo scadere del Cinquecento, si trovava in una favorevole congiuntura economica e in un fervore di opere e attività che ha dell’eccezionale rispetto ai decenni precedenti e a quelli immediatamente successivi. Nel 1595, infatti, il grande storico milanese Paolo Morigia contava in città ben ottantasei Arti.


Pierfrancesco Mazzucchelli detto il Morazzone, Pentecoste (1615), Milano, Castello sforzesco, pinacoteca.

Le chiese cittadine divennero teatro della nuova pittura secentesca a partire dal duomo, che all’epoca era ancora un cantiere aperto


Alla riforma della vita civica si affiancò in questo periodo un’analoga e altrettanto radicale riforma del clero e della religiosità in senso lato, avviata da Carlo Borromeo (canonizzato nel 1610) e portata poi avanti dal cugino, il cardinale Federico. Lungi dall’essere due realtà contrapposte, «religione e politica avevano interagito a tutti i livelli sociali, i protagonisti laici della vita milanese (individui e istituzioni) da parte loro avevano dato un contributo attivo e creativo alla diffusione capillare della pietà cattolica nelle sue diverse forme»(*). Una tale sinergia non poté non avere ricadute anche sulla vita artistica di questi anni, illuminati dalla presenza di alcuni grandi pittori e architetti e da importanti istituzioni culturali che permisero a Milano di stare al passo con il ruolo di “llave de Italia” (chiave, porta d’Italia) che la monarchia spagnola le aveva assegnato all’interno del suo sistema politico.


Raffaello Sanzio, cartone preparatorio per la Scuola di Atene (1509-1510 circa), Milano, Pinacoteca ambrosiana.


Daniele Crespi, Morte di san Paolo eremita (1619), Milano, San Vittore al Corpo.

(*) G. Signorotto, Per la storia di Milano nell’età del cardinale Federico Borromeo e di Daniele Crespi, in Daniele Crespi. Un grande pittore del Seicento lombardo, catalogo della mostra (Busto Arsizio, Civiche raccolte d’arte di palazzo Cicogna), a cura di A. Spiriti, Cinisello Balsamo 2006, p. 10.

Le norme per il riordino degli altari e delle cappelle laterali all’interno delle chiese, dettate da san Carlo Borromeo, ebbero l’effetto di trasformare radicalmente l’assetto e l’architettura di molte chiese cittadine (Sant’Antonio Abate, Santa Maria della Passione, per esempio), che divennero teatro della nuova pittura secentesca a partire dal duomo, che all’epoca era ancora un cantiere aperto, seppure meno imponente di come appare oggi, e da Santa Maria presso San Celso, una chiesa particolarmente cara al governo spagnolo che la scelse come luogo delle cerimonie legate agli ingressi trionfali dei sovrani di Spagna. Non meno radicale fu, da una parte, il riassetto architettonico e la decorazione del Palazzo dei giureconsulti e dei locali destinati al tribunale e ai Dodici di provvisione, con le rispettive cappelle decorate dalle tele dei maggiori artisti cittadini: Figino, Cerano, Procaccini, Morazzone, Daniele Crespi; dall’altra, la costruzione e apertura al pubblico delle prime e più importanti istituzioni culturali e artistiche della città: la Biblioteca e l’Accademia ambrosiana, ideate e fortemente volute da Federico Borromeo.


Daniele Crespi, Digiuno di san Carlo Borromeo (1625), Milano, Santa Maria della Passione.

La collezione di Federico Borromeo comprendeva, oltre al cartone per la Scuola di Atene di Raffaello, Jan Brueghel e soprattutto Caravaggio e doveva servire da scuola per gli artisti locali


È proprio l’età del secondo dei Borromeo, eletto arcivescovo di Milano nel 1595, a segnare una svolta decisiva nel rinnovamento pittorico della città. Allo scadere del secolo una singolare congiuntura aveva visto lo spegnersi dei protagonisti della pittura all’epoca di san Carlo: l’unico che sopravvisse all’avvento del XVII secolo fu Giovanni Ambrogio Figino. Ci volle una personalità straordinaria come quella del cardinale Federico per importare a Milano un’aria nuova e internazionale. Federico veniva da Roma dove aveva trascorso un lungo periodo di studio e formazione. 

La sua passione per l’arte lo aveva portato a ricoprire la carica di principe dell’Accademia di San Luca, istituzione prestigiosa che radunava gran parte degli artisti della città capitolina. Insediatosi a Milano solennemente il 27 agosto 1595, il Borromeo dovette nutrire inizialmente una certa sfiducia verso le capacità dei pittori locali, e infatti la commissione per la decorazione del Collegio borromeo di Pavia toccò a due protagonisti della pittura romana del tempo, chiamati appositamente alla bisogna, Cesare Nebbia e Federico Zuccari. Un anno dopo la sua nomina il cardinale rientrò nell’Urbe per far ritorno a Milano nel 1601. 

A partire dal 1602 la Veneranda Fabbrica del duomo aveva dato il via a una delle imprese pittoriche più importanti della città, la realizzazione di una serie di tele di dimensioni consistenti che celebrassero i fatti della vita di Carlo Borromeo, interpretati da alcuni giovani artisti che divennero protagonisti della pittura milanese nel primo trentennio del secolo: Giovan Battista Crespi detto Cerano, Giulio Cesare Procaccini e Pierfrancesco Mazzucchelli detto Morazzone. Una volta rientrato a Milano, Federico aveva in animo un progetto gigantesco: l’apertura di un’istituzione culturale che sviluppasse il sapere e il gusto artistico della città. Entro il 1607 il progetto della Biblioteca ambrosiana prese forma, parallelamente a essa Federico donò la propria collezione di dipinti raccolti soprattutto nel periodo romano e istituì l’Accademia ambrosiana con a capo il Cerano. Il respiro internazionale della collezione di Federico dove, accanto al grande cartone per la Scuola di Atene di Raffaello, si potevano ammirare maestri contemporanei come Jan Brueghel e soprattutto Caravaggio, doveva servire da scuola per gli artisti locali, che tuttavia si tennero sempre rispettosamente a distanza dalle novità centroitaliane, mantenendo una cifra stilistica assolutamente personale che singolarmente costituisce ai nostri occhi di moderni il pregio della pittura lombarda di primo Seicento. 

Ancorché dotata di un’accademia artistica cittadina, come soltanto Roma e Firenze possedevano in questi decenni, e dunque sostanzialmente all’avanguardia nel panorama delle città italiane, come forse non lo era stata dai tempi di Leonardo, Milano poteva comunque contare su un gruppo di artisti che avrebbe formato una scuola pittorica locale di livello altissimo, costituendo una straordinaria alternativa alla dialettica naturalismo-classicismo in cui si dibatteva la pittura nel cuore dell’Italia, e dunque dell’Europa, nei primi due decenni del Seicento.


Caravaggio, Canestra di frutta (1598 circa), Milano, Pinacoteca ambrosiana.


Giovan Battista Crespi detto il Cerano, Il beato Carlo fonda collegi dei gesuiti, dei barnabiti e dei teatini (1603), Milano, duomo.


Tanzio da Varallo, Annuncio ai pastori (1628), Milano, Santa Maria della Pace.

ART E DOSSIER N. 317
ART E DOSSIER N. 317
GENNAIO 2015
In questo numero: MILANO CAPUT MUNDI Leonardo designer di corte; La città al tempo della Spagna; Il laboratorio del contemporaneo, dal Futurismo al dopoguerra, a oggi. IN MOSTRA: Rembrandt, I Maya.Direttore: Philippe Daverio