IL CENACOLO
DI SANT'APOLLONIA

Dal luglio al dicembre del 1447, con la rapidità che ha sempre contraddistinto i suoi lavori e come dimostra il numero ridotto di venticinque giornate, Andrea è impegnato a Firenze nel refettorio del convento di benedettine osservanti di Sant’Apollonia, dove dipinge l’articolata parete di fondo con l’Ultima cena nel registro inferiore e, in quello superiore, la Resurrezione, la Crocifissione e la Deposizione nel sepolcro.

Gli affreschi sono ignorati dalle fonti perché il monastero era di stretta clausura ed è riemerso alla pubblica conoscenza solo dopo le soppressioni del 1861. Da subito ebbe vasta fama, se già nel 1864 la granduchessa Maria di Russia volle visitare l’ambiente, all’epoca utilizzato come magazzino «dell’Amministrazione della guerra». Certamente però gli affreschi erano noti agli artisti che ne trassero ispirazione: oltre a Piero della Francesca per la Resurrezione, anche Ghirlandaio e Andrea del Sarto per un’interpretazione della Cena che farà scuola fino a Leonardo. Già nel 1890, anche a seguito del ritrovamento degli affreschi del registro superiore che erano stati scialbati, si concepì l’idea di fare del grande ambiente un museo dedicato ad Andrea del Castagno, in cui riunire anche altre opere dell’artista. Il Cenacolo di Sant’Apollonia, che ancora conserva questa denominazione, fu inaugurato nel 1911, ricostituendo il grande refettorio, e creando un nuovo ingresso, mentre negli anni Sessanta sono stati aperte delle finestre sulla parete opposta a quella originaria.


Il Cenacolo di Sant’Apollonia nell’allestimento del 1891, con il ciclo degli Uomini e donne illustri di Andrea del Castagno, in una fotografia degli inizi del Novecento.


Ultima cena (1447); Firenze, Cenacolo di Sant’Apollonia.

Nell’Ultima cena, prima raffigurazione rinascimentale del tema, Andrea costruisce una complessa scatola prospettica - alla quale manca la parte anteriore - in cui inserisce l’edificio dove ha luogo l’episodio evangelico. Rappresenta il tetto con file regolari di embrici e tegole, il soffitto dalla decorazione geometrica bianca e nera, il fregio che unisce nastri e fiori, sei grandi specchiature di marmi e porfidi, che continuano sulla parete sinistra dove appaiono più strette, perché fortemente scorciate. Nella paretina di destra si aprono finestre, da cui entra la luce, divise da pilastri, anch’essi rivestiti di marmi colorati. Le lesene che chiudono la sala sono decorate a motivi di “opus pavonaceum” e l’esterno della sala dipinta prosegue con pareti in mattoni sia a destra che a sinistra, concludendosi in due tettini analoghi a quello centrale, ma arretrati, dietro i quali si intravedono dei giardini. Gli apostoli, contraddistinti dai nomi scritti sulla pedana, e Cristo siedono su un sedile rivestito da un tessuto a motivi floreali. Le figure, di grande plasticità, quasi filosofi vestiti all’antica, mostrano atteggiamenti che ne esprimono l’inquietudine, dimostrata anche dalle differenti pose delle mani: è il momento cruciale, quello in cui Cristo pronuncia le parole «Uno di voi mi tradirà». Isolato, Giuda - l’unico, insieme a Cristo, a non essere individuato dal nome - siede su un panchetto e il suo profilo grifagno simile a quello di un satiro appare, grazie alla finzione prospettica, al di qua del tavolo. In mano tiene un pezzo del pane che è stato distribuito da Cristo e che si sovrappone all’aureola di Giovanni. Questi, addormentato, appoggia la testa alla mano di Gesù, come già nell’Ultima cena di Taddeo Gaddi in Santa Croce. Sulla lunga tavola - rivestita da una tovaglia con decorazione a losanga, che spezza orizzontalmente la scena - sono appoggiati bicchieri e bottiglie in vetro trasparente, evidente dimostrazione dell’attenzione che Andrea ha per la luce, assimilata da Domenico Veneziano. Modelli classici sono evocati da due grandi sfingi che chiudono le sedute, con volti femminili, lunghi capelli, zampe leonine, ali piumate, code a squame attorcigliate, che tradiscono la loro derivazione dalle antiche basi monumentali. Simili figure avranno ampia fortuna a Firenze, per esempio nel basamento del Monumento funebre di Carlo Marsuppini di Desiderio da Settignano in Santa Croce (1459).


Ultima cena (1447), particolari con le sfingi poste al termine dei sedili; Firenze, Cenacolo di Sant’Apollonia.


Ultima cena (1447), particolari con le sfingi poste al termine dei sedili; Firenze, Cenacolo di Sant’Apollonia.


Ultima cena (1447); Firenze, Cenacolo di Sant’Apollonia.

Ultima cena (1447), particolare con Pietro, Giuda, Cristo e Giovanni; Firenze, Cenacolo di SantÕApollonia.


Desiderio da Settignano, Monumento funebre di Carlo Marsuppini (1459), particolare del basamento; Firenze, Santa Croce.

Andrea, dominando da par suo la prospettiva, riesce a conciliare i due registri e le loro diverse ambientazioni: in un interno rigidamente costruito uno, all’esterno l’altro. Nella fascia superiore la Resurrezione, la Crocifissione e la Deposizione nel sepolcro sono rappresentate da sinistra in questo ordine, che non rispetta la sequenza narrativa del Vangelo, ponendo al centro la Crocifissione, che era elemento iconografico sempre presente nei refettori trecenteschi fiorentini. Già Taddeo Gaddi in Santa Croce, e l’Orcagna in Santo Spirito, avevano inserito alla base l’Ultima cena, seppure di dimensioni più contenute e non fulcro della parete. In Sant’Apollonia, invece, la gerarchia si ribalta e la Cena acquista il ruolo primario. La lettura degli affreschi è oggi fuorviante per lo stato di conservazione della fascia superiore, scialbata in antico e ritrovata nel 1890. Nel 1953-1954 Leonetto Tintori eseguì lo stacco, reso necessario dall’umidità che impregnava la parete e che consentì di recuperare le sinopie. La potenza, la drammaticità, l’immediatezza di quei disegni, fecero decidere di esporli nella stessa sala, nella parete di fronte. Andrea utilizza contemporaneamente la sinopia della tradizione trecentesca, ma anche tecniche più innovative come lo spolvero, e i cartoni, che fu tra i primi artisti a usare. I colori, rispetto a quelli scuri e umbratili della Cena, sono più chiari e l’interesse per la luce - che proviene da destra, come realmente nella sala - ha improntato anche la resa realistica dei dettagli. Le tre scene sono ambientate in un unico paesaggio, simile a quello del monte Falterona, zona di provenienza di Andrea. Altro elemento unificatore che raccorda gli episodi sono gli angeli che esprimono la propria afflizione con varietà di atteggiamenti, come già in Cimabue e Giotto ad Assisi.


Sinopie della Resurrezione, Crocifissione e Deposizione nel sepolcro, riemerse nel 1961, al momento dello stacco degli affreschi; Firenze, Cenacolo di SantÕApollonia.

La Resurrezione mostra il sepolcro sul cui bordo Cristo posa il piede, dopo che il pesante coperchio è stato spostato, e si erge vittorioso sulla morte, stringendo il vessillo e avvolto dal sudario bianco, che ricorda per le pieghe gli abiti dei monaci di Santa Maria degli Angeli. Due guardie sono addormentate, l’una durante il sonno ha accostato la testa alla tomba, l’altra appoggia il mento alla mano. Solo il terzo armigero è sveglio e se ne scorge il viso rivolto alla scena miracolosa mentre, con terrore misto a curiosità, si aggrappa con le dita al bordo. Piero della Francesca, nella sua Resurrezione dipinta per Sansepolcro tra 1450 e 1463, riprende il tema riconducendolo però a un linguaggio aulico, mentre Andrea, col suo umanissimo soldato atterrito dall’incredibile visione, le piante dei piedi del milite di destra, il corpo e il volto meno ieratico di Cristo, riporta la scena a una dimensione più quotidiana e umana. L’attenzione di Andrea è concentrata sugli effetti di luce, come dimostra la lunga ombra proiettata sul sarcofago dalla testa di uno dei soldati. Il pesante coperchio della tomba è decorato sugli spioventi da embricature, un motivo che, dopo la conclusione della cupola del Brunelleschi per il duomo di Firenze nel 1436, divenne una specie di segno distintivo della cultura figurativa cittadina.


Crocifissione (1447), particolare con la figura di Cristo; Firenze, Cenacolo di Sant’Apollonia.


Piero della Francesca, Resurrezione (1450-1463); Sansepolcro (Arezzo), Museo civico. Andrea del Castagno e Piero della Francesca sono stati accomunati dal discepolato presso Domenico Veneziano.

Anche il Cristo crocifisso della scena centrale, con il suo corpo perfetto e possente, rinvia agli affreschi per il convento degli Angeli. L’interesse per la luce è attestato dalle ombre portate - nella mano destra di Cristo fissata alla croce - dal chiodo e dalle dita della mano. Del legno sono descritti accuratamente nodi e fessure di cui Andrea, da attento conoscitore del materiale di cui ha esperienza fin dall’infanzia, evidenzia anche la colorazione più chiara della parte interna. A Castagno era infatti in funzione, avanti il 1427, una sega ad acqua usata per la prima lavorazione del legname necessario per la costruzione della cattedrale fiorentina. L’Opera del duomo aveva vasti possedimenti boschivi nella zona, e nel 1446 Bartolo, il padre di Andrea, risulta guardia forestale di Campigna, oltre il crinale verso la Romagna, e successivamente prenderà in affitto la segheria.
Nella Deposizione nel sepolcro, il dolore, la disperazione sono espressi potentemente dalle diverse pose, come quelle della Maddalena che si strappa i capelli. Un gesto ricorrente da Giotto (nella Cena del cavaliere di Celano ad Assisi) a Francesco di Simone Ferrucci nel rilievo della Morte di Francesca Pitti Tornabuoni (1480 circa, Firenze, Museo nazionale del Bargello), per raffigurare una manifestazione spontanea di dolore incontenibile, ma anche ricordo delle lamentazioni rituali delle prefiche.

Nello stesso periodo in cui era impegnato nel refettorio, Andrea affrescò sul lato interno del portale d’ingresso al monastero la grande lunetta con Cristo in pietà, staccata all’inizio del Novecento e oggi esposta insieme alla sinopia nel Cenacolo. Nonostante il precario stato di conservazione, è perfettamente riconoscibile lo stile dell’artista, con la resa anatomica di Cristo morto sorretto da due angeli, mentre è seduto sul bordo del grande sarcofago di gusto antiquario, con medaglioni a finto marmo, teste di cherubini e specchiature colorate già utilizzate nell’Ultima cena e in seguito nel ciclo di Legnaia. Riferimento al mondo classico, e alla rilettura che ne viene data nel Rinascimento, il motivo decorativo a palmette. Al corpo di Cristo - sulla croce, sulle ginocchia della madre o risorto - Andrea ha saputo conferire monumentalità, vigore, potenza fisica, attraverso una perfetta resa anatomica, e insieme umanissimo abbandono. Se l’affresco non è più perfettamente leggibile, lo è la sinopia, staccata nel 1951. Poiché non sono conservati disegni di Andrea su carta, le sinopie - veri e propri disegni murali - rappresentano un’importante testimonianza della sua capacità disegnativa e della meticolosità che lo porta a indicare anche le ombre portate.

Cristo in pietà sorretto da angeli (1447-1448 circa); Firenze, Cenacolo di Sant’Apollonia.


Sinopia della lunetta con Cristo in pietà sorretto da angeli; Firenze, Cenacolo di Sant’Apollonia.

ANDREA DEL CASTAGNO
ANDREA DEL CASTAGNO
Ludovica Sebregondi
Andrea di Bartolo, detto Andrea del Castagno (Castagno 1421 - Firenze 1457) è il volto “espressionista” del Quattrocento fiorentino. Appartiene alla generazione di Paolo Uccello, Beato Angelico, Domenico Veneziano, e come loro porta avanti le innovazioni prospettiche e naturalistiche di Donatello e Masaccio, ma rispetto ai colleghi le sue forme appaiono più contorte, le espressioni più marcate, i colori più scuri. Nel contesto mediceo del tempo, in cui si promuoveva una pittura raffinata e ispirata al culto dell’Antico, le sue posizioni rimangono ai margini, e troveranno invece sviluppo nella scuola ferrarese.