Letture iconologiche
Il gesto a V rovesciata nell’arte del Cinquecento

sotto il segno
di diana

Un gesto misterioso appare in un gruppo ristretto di raffigurazioni pittoriche cinquecentesche. Alcuni indizi suggeriscono di collegarlo a culti precristiani, a segrete appartenenze esoteriche, a miti pagani della fertilità o a gesti apotropaici.

Mauro Zanchi

eredi delle credenze medievali, l’umanesimo del Rinascimento e la società del Barocco guardano ancora con attenzione all’efficacia simbolica dei gesti, in grado di trasformare gli esseri e la materia a causa di una potenza che cattura, trasmette e provoca l’azione di forze invisibili.
Nel Ritratto di dama (1515- 1520 circa)(1) attribuito a Giovanni Cariani, ora alla Galleria estense di Modena, viene dato risalto al cenno(2) della mano destra, ovvero all’indice e al medio - formanti una V - che vanno ad appoggiarsi e a segnalare il cingolo della veste, chiamato anche “zona” o “cinta virginale”. Il gesto, associato anche ad altri dettagli e attributi nel quadro, dovrebbe rimandare alla virtù della verginità(3), intesa secondo la concezione arcaica delle dee madri e di Artemide/Diana, dette vergini pur con vari amanti e in grado di riacquistare la verginità (nel senso di integrità, legata all’energia vitale e feconda) dopo un rito lustrale o un bagno(4).
Questa interpretazione sembrerebbe confermata guardando attentamente la cosiddetta Ninfa di Fontainebleau (1542-1544) di Benvenuto Cellini, dove la protagonista rivolge le dita a V capovolta verso i flussi delle acque che fuoriescono da vasi rovesciati. La presenza dei cervi, dei cani e dei cinghiali indurrebbe a individuare nella presunta ninfa la figura di Diana, qui non segnalata dal suo attributo consueto, ovvero dal crescente lunare posto sul capo. Un analogo gesto della V è presente anche nel Bagno di Diana realizzato da Palma il Vecchio attorno al 1520, ora al Kunsthistorisches Museum di Vienna. A compierlo è la donna in primo piano, sdraiata come la Diana di Cellini, in prossimità di acque, in compagnia delle sue ninfe. Un’ulteriore prova che le dita a V sono un segno associato alla dea lunare è presente, ancora nel XVII secolo, nella Diana cacciatrice (1658) di Guercino.


Giovanni Cariani, Ritratto di dama (1515-1520 circa), Modena, Galleria estense.

Benvenuto Cellini, Ninfa di Fontainebleau (1542-1544), Parigi, Musée du Louvre.


Guercino, Diana cacciatrice (1658).


Palma il Vecchio, Donna bionda/Flora (1518-1520), Londra, National Gallery.

L’arte de’ cenni di Giovanni Bonifacio, il primo manuale che all’inizio del Seicento cerca di raccogliere e spiegare il vasto campionario di un linguaggio gestuale che ha radici antiche, non ha registrato il cenno con le dita(5) a V capovolta. Ma che valore e significato poteva avere questo gesto, forse proveniente da matrici esoteriche, testimoniato solo in una ventina di opere d’arte, e quasi esclusivamente compiuto da giovani donne(6)? Un segno iniziatico, o apotropaico(7), o distintivo di una cerchia di adepti?
Se non era un gesto di pubblico dominio, la provenienza va forse ricercata in un ambito eretico. Dalla fine del Trecento, nell’Italia settentrionale è praticato un culto dedicato a Diana(8), una misteriosa divinità femminile che nel corso del tempo è andata a innestarsi(9) e a giustapporsi alla figura più antica di Artemide, venerata da greci e romani. In contesti boschivi, raduni notturni di donne mantengono viva la tradizione delle adepte legate alla dea lunare, che sovrintende alla caccia e ai moti delle acque. Le adoratrici di Diana/Ecate - nel XV e XVI secolo cominciano a essere chiamate “streghe”(10), e si radunano in occasione dei sabba - hanno un contatto sacrale con la natura e competenze nel campo delle erbe curative e della magia.

Palma il Vecchio, Ninfa nuda in un paesaggio (1520), Dresda, Gemäldegalerie.


Palma il Vecchio, Bagno di Diana (1520 circa), Vienna, Kunsthistorisches Museum.

La figura di Diana, negli antichi penitenziali tedeschi, viene associata a divinità popolari germaniche, soprattutto a Holda e a Perchta, considerate al contempo dee della fertilità e della vegetazione. Il gesto a V, presente anche nella Flora (1515 circa) di Tiziano e nella Donna bionda/Flora (1518-1520) di Palma il Vecchio parrebbe testimoniare la fusione simbolica delle due dee (Holda e Perchta appunto), andando a individuare ritratti di due giovani venete, forse aderenti al culto di Diana e alla conoscenza delle proprietà magiche delle erbe. Alla stessa setta potrebbe essersi affiliata Laura Dianti, a giudicare dal ritratto che ne realizzò Tiziano tra il 1520 e il 1525 (ora nella collezione Kisters a Kreuzlingen), raffigurata mentre fa il cenno della V capovolta accanto a un ragazzo di colore.
Anche le innumerevoli ninfe nude distese nel paesaggio, rappresentate dai pittori veneti del primo Cinquecento, rimandano alla ciclicità della natura, a non sopiti culti precristiani, a implicazioni di stampo pagano, con rievocazioni di miti agrari. La Ninfa dormiente(11), iniziata da Giorgione e ultimata da Tiziano tra il 1508 e il 1512, e la Ninfa in un paesaggio (1518-1520 circa)(12) di Palma il Vecchio sono descritte in un’ambientazione campestre, e lasciano che i fruitori possano accordarsi sulla semplice verità della loro bellezza nuda, sul disvelamento della forza generatrice delle donne, sul significato ossimorico delle vergini-madri, divenuto un dogma indiscutibile nella religione cattolica.

Tiziano, Flora (1515 circa), Firenze, Galleria degli Uffizi.


Dettaglio del Giudizio universale scolpito nel portale della cattedrale di Bamberga (anteriore al 1228) con una figura maschile intenta a fare un segno a V inversa.

(1) Esistono altre due versioni dello stesso quadro, entrambe senza il muretto in primo piano con la V incisa: una è collocata presso lo Szépmüvészeti Múzeum di Budapest, mentre
l’altra è di ubicazione ignota.
(2) «Cenno adunque è un atto, o gesto del corpo, co’l quale senza parlare alcuna cosa significhiamo» (G. Bonifacio, Arte de’ cenni con la quale formandosi favella visibile, si tratta della muta eloquenza, che non è altro che un facondo silentio, Vicenza 1616, parte prima, p. 13).
(3) I gioielli indossati dalla giovane donna sono rimandi all’amore e alla verginità: la catena d’oro, con una gemma verde (probabilmente uno smeraldo, a cui si attribuisce il potere di cambiare colore in presenza di infedeltà, sopra cui è incisa una figura, probabilmente Eros) e con una perla pendente, simbolo di purezza; un braccialetto in oro e smeraldi. Il fiore d’arancio dell’acconciatura e l’abito, alla moda del primo Cinquecento veneto, rimandano alla cerimonia sponsale. La V presente sul muretto in primo piano sembrerebbe rimarcare l’allusione alla Virtus o alla Virginitas.
(4) La verginità è qui intesa secondo l’interpretazione di Ildegarda von Bingen, ovvero associata al verdeggiare (da “vireo” e “virere”), e il termine “virgo” è derivato da “virga” (ramoscello o virgulto). Cfr. G. Devoto, Avviamento all’etimologia italiana. Dizionario etimologico, Firenze 1967.
(5) Si veda il capitolo XXVIII, pp. 327-342.
(6) Il gesto a V compiuto anche da uomini è presente nelle seguenti opere: Luca Cambiaso, Venere e Adone (prima del 1565), Genova, Galleria Palazzo bianco; Cavalier d’Arpino, Diana e Atteone (1603-1606), Budapest, Szépmüvészeti Múzeum. Adone fa il segno in direzione del corno da caccia tenuto da Venere, mentre Atteone, trasformato in cervo da Diana, compie il gesto quando gli stanno crescendo le corna.
(7) Il segno a V fatto con le dita della mano ha origini molto antiche, forse legato al periodo in cui veniva adorato il Dio cornuto. Molto probabilmente ha i connotati del dio Pan: «Virgilio dice che gli antichi fecero le corna al dio Pane, accennando per quelle i raggi del Sole, e
le corna della luna» (G. Bonifacio, op. cit., parte I, p. 57). Il dio dell’armonia cosmica è raffigurato con le corna lunari sul capo nel quadro che Luca Signorelli dipinge attorno al 1490,
l’Educazione di Pan, opera distrutta nella seconda guerra mondiale. Il gesto ricreerebbe un rimando diretto alle corna. Nel tempo è stato trasmesso, forse per via iniziatica, diventando sia un segno di appartenenza a una setta eretica sia un gesto di difesa contro il maleficio. In questa accezione parrebbe essere stato utilizzato dallo scultore che ha realizzato i rilievi presenti nel Giudizio universale del Portale dei principi della cattedrale di Bamberga (anteriore al 1228). Qui il re, che compie il gesto puntando le dita a V della mano destra
verso il basso, è posto tra i dannati, vicino a un vescovo e a un uomo ricco che tiene una borsa piena di soldi, tutti descritti con un sorriso decisamente amaro e tenuti imprigionati dalla catena tirata da un diavolo. Nell’impianto iconografico del portale il gesto non pare avere alcuna utilità, perché il re, punito dal giudizio divino, verrà condotto nell’inferno. Comunque l’artista documenta un gesto che nel Medioevo viene utilizzato per contrastare l’azione del diavolo o per accattivarsi il dio degli inferi. Cfr. J.C. Schmitt, Il gesto nel Medioevo, Bari-Roma 1999, pp. 298-299.
(8) Cfr. E. Verga, Intorno a due inediti documenti di stregheria milanese del secolo XIV, in “Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere”, s. II, vol. 32 (1899), pp. 165- 188; C. Ginzburg, I benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Torino 1972 e 1996, pp. 45-47.
(9) Si veda C. Ginzburg, op. cit., pp. 61-62, e note 2 e 3 a p. 62 con bibliografia sull’argomento.
(10) Alcuni episodi di caccia alle streghe (considerate adoratrici del demonio) sono testimoniati a partire dall’Alto Medioevo. Le donne sono perseguitate con l’accusa di modificare con la magia il tempo atmosferico in modo da danneggiare i raccolti e il bestiame. Gregorio VII ( 1076-1080) invita il re danese Harald a far cessare l’odio contro le donne accusate
di modificare il clima. Il Canon Episcopi, comparso nel De Synodalibus causis et disciplinis ecclesiasticis (906) del benedettino tedesco Reginone di Prüm, è il più antico documento europeo che parla di stregoneria. È una breve istruzione rivolta ai vescovi su come trattare la credenza popolare riguardo alle adepte di Diana che, secondo il mito, sono in grado di
volare per raggiungere di notte la riunione per adorare la dea lunare.
(11) L’opera, ora conservata nella Gemäldegalerie di Dresda, è stata interpretata come Venere dormiente, anche se non ci sono attributi per identificare con la giovane donna la figura della dea greca.
(12) Tenendo con la mano destra il lembo dell’abito, la ninfa di Palma accenna con le dita l’esoterica V, che la segnala come adepta del culto di Diana. Le numerose ninfe nude nel paesaggio potrebbero testimoniare l’adesione di molti artisti neoplatonici alla cosiddetta “religione naturale”, derivata dal “culto solare” degli umanisti ficiniani, una visione incentrata sul riconoscimento della forza

ART E DOSSIER N. 315
ART E DOSSIER N. 315
NOVEMBRE 2014
In questo numero: UTOPISTI E ANTISISTEMA Rotella e gli ''affichistes''; Il Camino di Santiago tra San Francesco e il contemporaneo; Orcadi: una chiesa in prigionia; Ribelli e dissidenti ottocenteschi. IN MOSTRA: Klein e Fontana, Modigliani, Cartier-Bresson.Direttore: Philippe Daverio