GIOVANI SPROVVEDUTI,
ZINGARE E BARI

Georges de La Tour è un pittore caravaggesco? Se per caravaggismo intendiamo il rifiuto operato dal Merisi, a cavallo fra il XVI e il XVII secolo, di ricorrere a consolidati cliché pittorici per cogliere l’individuo e l’azione nella loro naturale singolarità, allora sì, La Tour è un pittore caravaggesco.

Denunciano tangenze innegabili con le opere in chiaro di Caravaggio tutti i dipinti a luce diurna, in cui il lorenese mette in scena azioni e personaggi reali. L’atmosfera sospesa, l’ambiguità delle azioni e delle espressioni e le accurate notazioni ritrattistiche e costumistiche sono tratti comuni ai due pittori. Sebbene non vi siano prove documentarie che la La Tour abbia visto di persona le opere di Caravaggio, egli ne adotta alcuni soggetti caratteristici nell’affascinante serie delle parabole moralizzanti costituita da: La buona ventura, Il baro con asso di fiori (al Kimbell Art Museum di Fort Worth) e Il baro con asso di quadri (al Louvre) la cui controversa datazione oscilla fra il 1619-1625, il 1630-1634 e il 1635-1640.

A lungo ritenuta un falso, La buona ventura è uno degli indiscussi capolavori dell’artista, dipinto forse per un cliente parigino dacché, accanto alla firma, un’iscrizione di pugno del pittore indica Lunéville come luogo di provenienza dell’opera(18).

La scena presentata è, a un tempo, enigmatica e coinvolgente. Una zingara si appresta a leggere la mano di un giovane elegante, il quale, concentrato sull’imminente divinazione non sembra accorgersi di essere la vittima di un doppio furto. Una delle zingare alle sue spalle sta infatti sottraendogli la borsa per passarla discretamente alla compagna dalla mano protesa mentre l’attraente fanciulla accanto a lui è in procinto di troncare la lunga catena a bandoliera per impossessarsene. Gli sguardi denunciano l’atmosfera carica di tensione. La mano al fianco in gesto di impazienza, il giovane guarda la zingara con un’espressione a un tempo curiosa e sospettosa laddove l’anziana gitana, con già in mano il compenso per i suoi servigi, sembra dirgli: «È tutto qui?».


La buona ventura (1620-1625 o prima del 1633), particolare della catena a bandoliera del giovane con le parole «amor» e «fides»; New York, Metropolitan Museum of Art.


La buona ventura (1620-1625 o prima del 1633), particolare della collana e dei bracciali di giaietto di una delle figure femminili; New York, Metropolitan Museum of Art.

(18) In Georges de La Tour, catalogo della mostra, cit., Parigi 1972, p. 150.

Gli straordinari costumi e i copricapi fantasiosi registrati con virtuosismo pittorico descrivono verosimilmente l’aspetto delle zingare dell’epoca, chiamate “egyptiennes”. Tuttavia l’arazzo tessuto agganciato alla spalla, bizzarro capo di abbigliamento gitano già documentato da Caravaggio e da Jacques Callot (1592-1635), compare solamente su tre delle quattro donne. Chi è dunque la restante figura dalla rosea carnagione nordica vestita in abito locale(19)? Si tratta verosimilmente di una complice esterna. Il dato non è irrilevante dacché arricchisce la scena della sensata considerazione che non ci si debba difendere solo da chi si presenta palesemente diverso da noi, poiché talora il nemico si cela dietro a sembianze familiari e seducenti. Il bel viso angelico maschera un’anima nera come la sua collana di lucido giaietto mentre i bracciali gemelli ai polsi, dello stesso materiale, richiamando l’occhio sull’azione criminosa, esprimono una condanna morale appena percettibile. Le parole «amor» e «fides», decorate a smalto sulla catena a bandoliera(20), indicano invece che il tronchese della ladra non sta spezzando solo le auree maglie dell’ornamento ma un probabile legame di amore e fiducia fra i due. La critica ha suggerito che il protagonista possa essere il figliol prodigo colto nel dilapidare il suo patrimonio, ma il pur verosimile riferimento alla parabola evangelica (Luca, 15: 11-32) non sembra necessario affinché l’immagine parli a chi la guarda. Il tema della “buona ventura” vantava un illustre precedente nella versione di Caravaggio al Louvre ed era assai popolare nella prima metà del secolo. Nella stessa Lorena una serie di stampe di Jacques Callot intitolate Les bohémiens mettono in guardia lo spettatore con il seguente commento: «Vous qui prenez plaisir en leurs parolles / gardez vos blancs vos testons et pistolles»(21) (Mentre vi dilettate con le loro parole state attenti ai vostri denari) rendendo così esplicita la denuncia che nell’opera di La Tour è solo accennata. Hanno un precedente caravaggesco anche le due versioni del Baro con asso di fiori (Fort Worth, Kimbell Art Museum) e con asso di quadri (Louvre). L’altissima qualità pittorica qualifica entrambe le opere come originali sottolineando l’abitudine del pittore di produrre più varianti di uno stesso dipinto.


Il baro con asso di fiori (1620-1621 o 1625-1630 o 1632 circa); Fort Worth, Kimbell Art Museum.
È la prima delle due versioni note di questo soggetto caravaggesco. Inebriato dal vino, dal gioco e forse dalla bellezza della cortigiana, la figura col turbante rosso, il giovane è preda di un mondo di disonesti. La cortigiana dirige il trio, invitando con lo sguardo la fantesca a servire il vino e il baro a giocare l’asso nascosto.


Il baro con asso di fiori (1620-1621 o 1625-1630 o 1632 circa), particolare dei gioielli della cortigiana; Fort Worth, Kimbell Art Museum.

Particolare della spilla da cappello del giovane; Fort Worth, Kimbell Art Museum.


Particolare dei bracciali della servetta; Fort Worth, Kimbell Art Museum.


(19) F.G. Pariset, A Newly Discovered La Tour: The Fortune Teller, in “The Metropolitan Museum of Art Bulletin”, n. 7 1961, pp. 198-206.

(20) J.Y. Ribault, Réalisme plastique et réalité sociale: à propos des aveugles musiciens de Georges de La Tour, in “Gazette des Beaux-Arts”, n. 104 1984, p. 2.

(21) In Georges de La Tour, catalogo della mostra, cit., Parigi 1972, p. 150; Princes and Paupers, the Art of Jacques Callot, catalogo della mostra (Houston, Museum of Fine Arts, 31 gennaio-5 maggio 2013), a cura di D.M. Woodall e D. Wolfthal, Houston 2013, p. 126.

Anche qui, dietro alla colorita illustrazione di una “tranche de vie”, l’artista mette in scena la truffa implicitamente invitando lo spettatore a diffidare dei facili piaceri. In entrambe le versioni la vittima è ancora una volta un giovane che il vistoso abbigliamento presenta come un aristocratico facoltoso, amante dei valori della materia efficacemente compendiata nel prezioso tessuto dai ricami serici.

Le due versioni presentano lievi ma significative differenze. In quella di Fort Worth il giovane ha già vinto il gruzzolo di monete d’oro e d’argento sul tavolo e mostra perciò la sua soddisfazione con un lieve sorriso di compiacimento. È, tuttavia, così concentrato sulle carte da non accorgersi della truffa che il giocatore a sinistra ha in serbo per lui, complici la fantesca e la giocatrice al suo fianco. Apparentemente vestita come una gentildonna, la critica non ha esistato a riconoscere in quest’ultima una cortigiana. Lo segnalano con chiarezza i gioielli: sono palesemente autentiche solo le piccole perle al collo e ai polsi della donna, troppo minute per essere considerate pregiate, mentre le gocce alle orecchie e le perle più grosse sul copricapo hanno l’aspetto vetroso delle perle artificiali, già popolari dal secolo precedente. Anche la spilla da cappello è inquietante poiché, seppure vistosa, non reca gemme ma un semplice cristallo il cui scintillio non corrisponde a vera preziosità. Hanno invece un aspetto autentico, per luminosità e taglio, i diamanti incastonati nell’ornamento da cappello del giovane, l’unico vero ricco in questa scena.

È chiaramente la cortigiana a dirigere il trio; è lei che, con lo sguardo sicuro, invita la fantesca a servire il vino e che, presumibilmente, segnalerà al baro quando giocare l’asso nascosto. L’esclusione del giovane dalla comunicazione visiva lo isola rendendolo vittima della situazione.

Il senso è chiaro: inebriato dal vino, dal gioco e forse dalla bellezza della cortigiana il giovane è la preda designata di un mondo impietoso di cui fa parte anche lo spettatore invitato alla connivenza dall’ammiccante sguardo del baro. Nella versione del Louvre la carta della truffa cambia: non è più l’asso di fiori ma l’asso di quadri, un dettaglio simbolicamente rilevante considerato che proprio il gioco è l’azione centrale dell’opera. Alle carte e ai loro significati divinatori è affidato il compito di definire alcuni dettagli della situazione.


Il baro con asso di quadri (1619-1625 o 1630-1634 o 1635-1640); Parigi, Musée du Louvre.
Sostanzialmente identica alla precedente, questa seconda versione reca alcune differenze sottili (oltre al seme della carta) ma volte a rendere più esplicita la scena. Fra queste l’abito meno sfarzoso del giovane, il colore del corpetto della fantesca e il bracciale nonché il vezzo della cortigiana, discreto nella prima versione, più vistoso e falso nella seconda.


Il baro con asso di quadri (1619-1625 o 1630-1634 o 1635-1640), particolare dei gioielli della cortigiana; Parigi, Musée du Louvre.

Particolare dei gioielli della cortigiana; particolare dei bracciali della servetta; Parigi, Musée du Louvre.

Il seme fiori rappresenterebbe l’iniziativa nell’impresa, onesta o fraudolenta che sia, mentre il quadri annuncia l’operazione commerciale fruttuosa e, poiché l’asso corrisponde sempre all’inizio dell’azione e il sette al compimento, siamo informati che la truffa è appena cominciata ma che il successo è certo, dal punto di vista del baro naturalmente. Al truffato con quell’aria scioccamente soddisfatta non resta che giocare le sue picche, annuncio di perdita certa in ambedue le versioni(22).

Nell’opera del Louvre l’abbigliamento del giovane, pur opulento, è meno vistoso laddove l’espressione del volto mostra una lieve giustificata apprensione poiché una parte del suo gruzzolo è già passata alla cortigiana. Anche i colori del corpetto della fantesca sono cambiati, il verde ha sostituito il rosa e il bracciale che nella versione americana era a maglie d’argento, popolare ma autentico, nel dipinto di Parigi reca pietre dure di colore rosso, vistose e prive di valore. Sono invece palesemente false le perle della cortigiana, sparite quelle piccole certamente naturali, queste grandi ovali hanno un aspetto vetroso del tutto in sintonia con chi le indossa e con il tema dell’opera. Gli sguardi parlano più che mai e la cortigiana, direttrice d’orchestra, ci segnala con gli occhi e la mano la sequenza delle azioni invitando la fantesca a servire il vino, dopodiché il baro giocherà il suo asso. La cortigiana appare assai tesa e concentrata mentre il baro sembra qui più rilassato. Lo sguardo rivolto allo spettatore ha indotto la critica a ipotizzare come possa trattarsi di un autoritratto di La Tour, sebbene non vi siano opere che documentano le vere fattezze del pittore. Egli sembra qui un po’ più maturo rispetto all’opera di Fort Worth ma privo dei baffi intesi forse a segnalare il suo appena acquisito stato di vassallo del duca di Lorena(23).Tale suggestiva lettura troverebbe conforto solo nella precoce datazione del primo agli anni 1619-1620 e del secondo al 1620- 1621, ovvero a cavallo del trasferimeno da Vic a Lunéville, compatibile con l’età del personaggio.
Sebbene la critica tenda oggi ad ascrivere i due capolavori agli anni 1625-1630 o 1630-1635 o 1635-1640, togliendo sostegno cronologico all’ipotesi dell’autoritratto, rimane tuttavia affascinante pensare che il pittore possa essersi immortalato nei panni di un truffatore, autodenunciandosi così come artefice di frodi e implicitamente indicando la pittura come arte dell’inganno(24).


Caravaggio, La buona ventura (1594); Parigi, Musée du Louvre.

Caravaggio, I bari (1594); Fort Worth, Kimbell Art Museum.

(22) J.P. Cuzin, Le Tricheur dit Le Tricheur à l’as de trefle, in Georges de La Tour, catalogo della mostra, cit., Parigi 1997, pp.146-148.

(23) B. Nicolson, C. Wright, Georges de La Tour, Londra 1974, pp. 20-21.

(24) M. di Vito, Arte non impetu: Georges de la Tour, i suoi modelli e un autoritratto?, in Georges de La Tour a Milano. L’Adorazione dei pastori, San Giuseppe falegname, catalogo della mostra (Milano, palazzo Marino, 26 novembre 2011 - 8 gennaio 2012), a cura di V. Merlini, D. Salmon, D. Storti, Milano 2011, pp. 96-99.

LA TOUR
LA TOUR
Silvia Malaguzzi
Georges de La Tour (Vic-sur-Seille 1593 - Lunéville 1652), lorenese, rappresenta una versione decisamente personale del caravaggismo che si diffonde in Europa nel corso del XVII secolo. Artista enigmatico, poco testimoniato dai documenti del tempo, ebbe una grande notorietà in vita e un incomprensibile oblio dopo la sua morte. “Ritrovato” solo nella prima metà del Novecento, è ora riconosciuto come un virtuoso della pittura a lume di candela, grazie alle sue quiete e malinconiche scene notturne, popolate di Maddalene penitenti o episodi dell’infanzia di Gesù o della Vergine. Ma non va dimenticata la sua parallela produzione “diurna”, con scene di genere caratterizzate da fulminei giochi di sguardi. A La Tour è dedicata in questi mesi una grande mostra milanese.