GLI INIZI

Un documento conservato fra i registri parrocchiali dell’Archivio municipale del villaggio francese di Vic-sur-Seille, che a La Tour ha dato i natali, attesta che Georges, figlio del fornaio Jean de La Tour e della moglie Sybille, viene battezzato il 14 marzo del 1593(4).

Il padre è un benestante imprenditore la cui attività fiorente assicura al figlio una buona formazione e una vita agiata. Vicsur-Seille, tutt’altro che un villaggio contadino, fa parte del vescovado di Metz, è sotto il protettorato della corona di Francia e sede di alcune attività amministrative e giudiziarie.

Non sappiamo esattamente dove Georges abbia appreso i segreti tecnici dell’arte, nessun documento ci consente di affermare con certezza un apprendistato presso il locale atelier di Claude Dogoz. Del resto, in quegli anni era Nancy, residenza del duca, il centro della Lorena più ricco di vita intellettuale e artistica ed è pertanto possibile che, compiuta la prima formazione, La Tour possa esservisi recato e aver incontrato Jacques Bellange (1575-1616), valente pittore della capitale, le cui ricerche luministiche potrebbero aver esercitato un certo fascino sul giovane artista(5).

Storicamente la Lorena era una terra aperta, un luogo di passaggio all’incrocio di due grandi assi: uno dall’Italia ai Paesi Bassi e l’altro da Parigi all’Impero. La politica dei duchi aveva accentuato questa apertura naturale. In tempi di prosperità la regione accoglieva artisti e artigiani di varie provenienze mentre a Roma si era formata una colonia lorenese la cui esistenza, favorendo gli scambi commerciali e culturali, aveva contribuito a consolidare, presso gli artisti, la pratica del viaggio in Italia. Nessuna prova documentaria, tuttavia, conforta l’ipotesi che La Tour si sia recato a Roma o in altro centro italiano negli anni successivi all’apprendistato. Per contro, un documento del 1613 attesta la presenza a Parigi di un Georges de La Tour verosimilmente identificabile con il nostro pittore. Se si esclude il pur possibile caso di omonimia, l’allora ventenne La Tour avrebbe dunque frequentato la capitale francese con tutte le implicazioni culturali che ciò comportava(6). Sebbene certamente dipinta in Lorena, è da Parigi, forse dalla casa di un collezionista, che giunge ad Albi, nel 1694, la serie degli apostoli destinata ad abbellire la cappella di San Giovanni nella cattedrale(7) e punto di partenza dell’indagine umana di La Tour. Dei tredici personaggi di cui il ciclo si componeva sono stati reperiti solo sei originali: Giacomo minore, Giuda Taddeo, Filippo, Andrea, Tommaso e Giacomo maggiore.

Il ciclo, ascritto al periodo 1614-1615 o al 1620-1622, non era un’assoluta novità iconografica, e tuttavia spicca il potente, inedito realismo dell’interpretazione latouriana che trasforma la serie in una vera e propria galleria di ritratti, una sequenza variata di modelli di fede. Fin dagli esordi l’artista mostra di rifiutare la retorica agiografica manierista e, nel cercare la somiglianza fra l’immagine e il mondo naturale, pone le basi per una personale ed efficace rivitalizzazione dell’immaginario religioso.


San Filippo (1614-1615 o 1620-1622); Norfolk (Virginia), Chrysler Museum of Art.


Sant’Andrea (1614-1615 o 1620-1622).


San Tommaso (1614-1615 o 1620-1622); Tokyo, National Museum of Western Art.


San Giacomo maggiore (1614-1615 o 1620-1622).

(4) J. Thuillier, Biographie et Fortune critique, in Georges de La Tour, catalogo della mostra, cit., Parigi 1972, p. 59.

(5) P. Choné, Georges de La Tour, un peintre lorrain au XVIIe siècle, Tournai 1996, p. 36.

(6) J.P. Cuzin, La Tour en 2005: dix questions, in Georges de La Tour, catalogo della mostra (Tokyo, National Museum of Western Art, 8 marzo-29 maggio 2005), a cura di A. Takahashi, J.P. Cuzin, D. Salmon, Tokyo 2005, p. 206.

(7) J.C. Boyer, San Giacomo Minore, San Filippo, Sant’Andrea, San Giacomo Maggiore, in Georges de La Tour (1593- 1652), catalogo della mostra (Madrid, Museo Nacional del Prado, 23 febbraio-12 giugno 2016), a cura di D. Salmon e A. Ubeda de Los Cobos, Madrid 2016, pp. 88-95.

La critica si è a lungo interrogata sull’origine del suo realismo, spesso individuandola nei possibili rapporti con Caravaggio (1571-1610) o con artisti fiamminghi suoi seguaci come Hendrick Terbrugghen (1588-1629) o Gerrit van Honthorst (1592-1656), coevi a La Tour. Tuttavia, come non vi sono prove di un viaggio in Italia, nessuna evidenza conferma un possibile spostamento di La Tour nei Paesi Bassi. Non era del resto necessario un viaggio per conoscere gli esiti della contemporanea pittura fiamminga. La scena di genere, per la quale gli artisti nordici erano conosciuti e apprezzati, era molto alla moda nel terzo e quarto decennio del Seicento e vantava collezionisti illustri un po’ ovunque. È pertanto ipotizzabile un contatto indiretto ma non per questo meno proficuo fra il lorenese e i caravaggeschi fiamminghi.

Fin dall’inizio dell’attività La Tour si avvicina alla scena di genere accostandosi con essa anche agli aspetti più caratteristici della pittura nordica come la cura del dettaglio, la resa delle consistenze e degli effetti luministici notturni.

Espressioni di “generismo” sono i due dipinti raffiguranti una coppia di anziani, opere giovanili variamente ascritte agli anni 1618-1619 o 1625-1627 e conservate nel Legion of Honor Museum di San Francisco. I protagonisti dai volti intensi ed espressivi, inscenando un muto dialogo denso di sottintesi e complicità, sembrano proporsi come attori di un’efficace pantomima della vita di coppia. Ritratti con oggettiva lucidità, essi marcano la sensibile distanza di La Tour dal sarcasmo caricaturale fiammingo.


Vecchio (1618-1619 o 1625-1627);San Francisco, Fine Arts Museums of San Francisco, Legion of Honor Museum.


Vecchia (1618-1619 o 1625-1627); San Francisco, Fine Arts Museums of San Francisco, Legion of Honor Museum.

Lo stesso sguardo privo di pietà o di derisione si ravvisa in I mangiatori di piselli. È di nuovo protagonista una coppia di anziani, ma questa volta i due sono intenti a consumare in piedi un frugale pasto di legumi. Non si tratta di piselli, tuttavia, ma di inequivocabili lenticchie, disprezzate dagli aristocratici consumatori di carne ma risorsa preziosa dell’alimentazione contadina. La scelta di tale legume carica l’immagine di un possibile riferimento alla storia di Giacobbe, il patriarca che per un piatto di lenticchie acquistò la primogenitura dal fratello Esaù (Genesi 28,1-5). Nel fare di Esaù uno sciocco e della lenticchia la moneta povera di un’improbabile transazione, il rimando biblico contribuirebbe a delineare i due anziani come indigenti. Vicini ma isolati, essi consumano avidamente, in piedi, il loro magro pasto, la complicità di coppia dei Vecchi del museo di San Francisco è sparita e, dalle espressioni concentrate di entrambi, non trapela che solitudine ed egoismo. Con impareggiabile sottigliezza, La Tour denuncia l’ingordigia senza ritegno dell’uomo che si nutre con le mani laddove la moglie, ugualmente affamata, usa un cucchiaio nel tentativo estremo di salvare il decoro. Le palpebre gonfie del personaggio maschile tradiscono una patologia dell’occhio originata dalla malnutrizione(8), un altro dettaglio frutto di virtuosistica sottigliezza.

Senza pietà né derisione La Tour ritrae qui una coppia di anziani intenti a consumare non una porzione di piselli, come recita il titolo, bensì di lenticchie. Lo stesso legume viene usato come moneta da Giacobbe nell’acquisto della primogenitura del fratello.
Scene di genere come questa entrano nel mercato delle opere d’arte soprattutto a partire dal XVI secolo. Sono rappresentazioni popolari di figure tratte dalla vita quotidiana, particolarmente gradite a un pubblico sempre più allargato.


I mangiatori di piselli (1618-1620 o 1622-1625); Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie.

(8) R. Contini, I mangiatori di piselli, in Georges de La Tour (1593-1652), catalogo della mostra, cit., Madrid 2016, p. 104.

Queste prime opere appartengono agli anni a cavallo del trasferimento da Vic-sur- Seille a Lunéville, dove Georges trascorrerà tutto il resto della sua vita. La convinzione del proprio talento e l’ambizione professionale e all’ascesa sociale dovettero essere molle potenti nelle scelte dell’artista.

Nel 1617 aveva sposato Diane Le Nerf e dopo qualche anno di vita matrimoniale a Vic, la coppia si era trasferita a Lunéville (1618-1620), città natale della moglie, non lontana da Nancy, la capitale del ducato lorenese. Il nonno di Diane, commerciante di tessuti, era stato insignito di un titolo nobiliare grazie ai servigi prestati al ducato, mentre il padre era tesoriere del duca(9). Con il trasferimento, il pittore veniva a condividere i privilegi e le parentele eccellenti della famiglia acquisita. È molto probabile, tuttavia, che più dell’ascesa sociale e della pace familiare pesasse su quella decisione l’opportunità di avvicinarsi al duca Enrico II (1563-1624), documentato cliente di La Tour(10), che a Lunéville stava costruendo il suo castello. Prima di lasciare Vic l’artista chiede al duca, con il permesso di trasferirsi da una giurisdizione a un’altra, l’esenzione dagli obblighi fiscali di cui godevano i nobili ottenendo un assenso in virtù della stima ducale per le sue capacità artistiche(11).

Ai primi anni nella nuova residenza appartiene anche il Suonatore di ghironda con cane del museo municipale di Bergues. L’opera, raffigurante un suonatore cieco che chiede la carità accompagnato dal cane, propone un soggetto comune sia alla pittura fiamminga che a quella francese e lorenese.


Suonatore di ghironda con cane (1620 circa o 1622-1625); Bergues (Francia), Musée Municipal - Musée du Mont-de-Piété.


Jacques Callot, Suonatore di ghironda in piedi (1622); Parigi, Bibliothèque Nationale, Cabinet des Estampes.

(9) J. Thuillier, op. cit., pp. 61 e 64.

(10) Ivi, pp. 66-67; P. Choné, Deux autographes de Georges de La Tour, in “Gazette des Beaux-Arts”, n. 129 1997, pp. 37-42.

(11) Ivi, p. 64.

All’inizio del Seicento la Lorena, storicamente contesa fra la Francia e l’Impero, teatro frequente di scontri armati e piagata da epidemie e carestie, offriva quotidianamente all’occhio attento degli artisti scene di degrado umano. La cultura pittorica lorenese aveva pertanto costruito la sua identità intorno a un immaginario antieroico assai peculiare.
Anche nell’opera di Bergues, come nelle precedenti, La Tour sembra aver evitato accuratamente ogni accento di commiserazione. È piuttosto il cane accucciato cui il pittore affida lo sguardo implorante che la descrizione della cecità gli ha permesso di non attribuire al musicante. I suonatori di ghironda di La Tour sono numerosi ma non si tratta di caricature di tipi sociali, bensì di persone presentate con una considerazione e un rispetto che sollecitano un’interpretazione allegorica assai più che letterale(12). Di tutti il più interessante è il Suonatore di ghironda con cappello (o con mosca) conservato a Nantes. Si tratta di un capolavoro di virtuosismo realistico inequivocabilmente sottolineato dalla mosca sullo strumento, un vero trompe-l’oeil alla fiamminga oltre che un esplicito richiamo al codice raffigurativo delle “vanitas”. Segnalando la natura volatile del tempo, la mosca di La Tour ricorda allo spettatore il diabolico potere ingannatorio della pittura che fingendo ciò che non c’è può convincere l’occhio che ciò che vede è vero. La fallacità della vista nella forma della cecità, del resto, è il trait d’union di tutte le versioni del Suonatore di ghironda conosciute; un’insistenza sospetta che la critica non ha mancato di registrare interpretandola come una condizione privilegiata piuttosto che una disabilità(13). Grazie a essa il suonatore è insensibile alla distrazione procurata dall’insetto e può concentrarsi sulla sua attività: produrre la melodia da offrire all’ascolto del pubblico.

Anche lo strumento musicale scelto da La Tour, una costante in tutte le versioni, registra un dato storico. Già alla fine del XVI secolo la ghironda era uno strumento arcaico suonato prevalentemente dai musicisti di strada per chiedere l’elemosina e perciò collegato all’umile condizione dell’accattone(14). Da La Tour raffigurato con gravità e rispetto, questo cieco musicante dal taglio monumentale sembra trascendere la funzione di realistico ritratto di uno dei tanti mendicanti lorenesi. La musica richiama l’udito, l’unico senso dotato, secondo l’esegesi biblica, della capacità di accogliere la parola divina(15). Traslando, pertanto, l’immagine dal piano letterale a quello allegorico l’uomo diviene un designato interprete dell’armonia celeste capace, con il suo strumento povero ma efficace, di educare chi guarda a diffidare della vista per seguire il più onesto senso dell’udito.

(12) D. Judovitz, Georges de La Tour and the Enigma of the Visible, New York 2018, pp. 17-18.

(13) P. Conisbee, An Introduction to the Life and the Art of Georges de La Tour, in Georges de La Tour and his World, catalogo della mostra (Washington, National Gallery of Art, 6 ottobre 1996 - 5 gennaio 1997), a cura di P. Conisbee, J.P. Cuzin, C. Barry, Washington 1996, p. 62.

(14) Ibidem.

(15) Rabano Mauro, PL (Patrologia Latina), CXI, col. 144.

Un tono prosaico, del tutto privo di solidarietà, ha indotto la critica ad attribuire a La Tour la Rissa di musicanti, sebbene la mimica accentuata dei personaggi sembrasse piuttosto condurre ai caravaggeschi fiamminghi. Qui, un anziano suonatore di cornamusa, per provare la falsa cecità di un suonatore di ghironda guercio (ma armato di coltello), gli spreme un limone negli occhi provocandone la reazione tanto violenta quanto rivelatoria. Accanto al finto cieco una vecchia piange e, con le mani giunte sul bastone, sembra raccomandarsi al cielo mentre alla destra un violinista ride guardando verso lo spettatore: reazioni opposte che sottolineano l’atmosfera tragicomica della situazione.

La morale potrebbe essere quello stesso proverbio “Mendicus mendico invidet” (ovvero non è miserabile chi trova uno più miserabile di lui pronto a invidiarlo) posta a commento di una riproduzione a stampa di La rissa di Jacques de Bellange, analoga per tema al dipinto latouriano. È un’opera a lume di notte di recente ricondotta da buona parte della critica ai primi anni di vita a Lunéville ad aver messo in crisi l’iniziale distinzione in periodo chiaro e periodo scuro. Si tratta di Il denaro versato conservato nella Galleria nazionale di L’viv (Leopoli, in Ucraina). La luce notturna e le espressioni gravi dei personaggi conferiscono un tono drammatico così inadatto a una scena di genere da aver indotto la critica a riconoscervi un’enigmatica vocazione di Matteo, oppure una traduzione pittorica della parabola dell’intendente infedele (Luca 16: 1-13), o ancora un tradimento di Giuda(16). Nulla, tuttavia, sembra avvalorare l’ipotesi del tema religioso laddove la teoria più accreditata è che possa trattarsi di una versione del tema: il pagamento delle tasse, non raro nella pittura olandese del Seicento.

Un anziano dall’aria mite sembra contare le ultime monete per completare la cifra da versare all’esattore. Questi è un bravaccio dall’aria truce con accanto un libro che immaginiamo di conti e in mano una borsa in attesa di essere riempita. Alla sua sinistra, sullo sfondo, due personaggi controllano che il vecchio non trattenga nemmeno uno spicciolo del dovuto mentre un terzo legge ad alta voce un documento, forse un impegno sottoscritto dal debitore. Non vediamo il viso del personaggio a sinistra vestito di rosso ma il copricapo piumato e i boccoli biondi fanno pensare a un giovane aristocratico. Gli atteggiamenti e le espressioni dei protagonisti rendono viva la situazione nella quale l’esattore (o usuraio?) non sembra farsi alcuno scrupolo nel togliere all’anziano, dall’espressione mesta, il denaro per la sopravvivenza. La prossima mossa sarà forse consegnarlo al giovane di spalle: un messo reale o un nobile debosciato?

La data lacunosa e variamente interpretata(17) è un’indicazione troppo incerta per permettere di ricondurre la scena a un preciso momento della storia della Lorena, vessata a fasi alterne dalle pretese economiche delle nazioni occupanti.


Gerrit van Honthorst, Allegro violinista (1623); Amsterdam, Rijksmuseum.


Jan Matsys, Il pagamento delle tasse (1539); Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister.


Rissa di musicanti (1625-1630); Malibu, J. Paul Getty Museum.
Nelle scene di genere era d’obbligo una forte componente realistica. Composizioni come questa nascono da modelli diffusi in ambito caravaggesco, con disposizione delle figure a mezzo busto in orizzontale, un focus centrale ad attirare l’attenzione e molta parte del “commento” a quanto accade affidata a una selezionata gradazione di espressioni del volto.

Il denaro versato (1625-1627); L’viv (Ucraina), Galleria nazionale.
Si tratta probabilmente della prima opera a lume di candela di La Tour. L’ambientazione notturna di molte scene di genere diffuse in questo periodo è ritenuta tipicamente caravaggesca, anche se non si conoscono, in realtà, dipinti di Caravaggio in cui compaia una candela a illuminare la scena.

(16) P. Choné, Georges de La Tour…, cit., p. 127.

(17) J.P. Cuzin, L’argent versé, in Georges de La Tour, catalogo della mostra, cit.,Tokyo 2005, pp. 220-221.

LA TOUR
LA TOUR
Silvia Malaguzzi
Georges de La Tour (Vic-sur-Seille 1593 - Lunéville 1652), lorenese, rappresenta una versione decisamente personale del caravaggismo che si diffonde in Europa nel corso del XVII secolo. Artista enigmatico, poco testimoniato dai documenti del tempo, ebbe una grande notorietà in vita e un incomprensibile oblio dopo la sua morte. “Ritrovato” solo nella prima metà del Novecento, è ora riconosciuto come un virtuoso della pittura a lume di candela, grazie alle sue quiete e malinconiche scene notturne, popolate di Maddalene penitenti o episodi dell’infanzia di Gesù o della Vergine. Ma non va dimenticata la sua parallela produzione “diurna”, con scene di genere caratterizzate da fulminei giochi di sguardi. A La Tour è dedicata in questi mesi una grande mostra milanese.