UNA STORIA ESEMPLARE

Solitudine, silenzio, segreto caratterizzano spesso l’attività creativa degli autori brut o outsider. Un caso emblematico è la storia di Henry Darger (1892-1973) e del suo lascito straordinario. Nato a Chicago, orfano di madre, trascorre infanzia e adolescenza in un istituto da cui fugge a diciassette anni.
Dopo alcuni anni di vagabondaggio, attorno al 1920 torna a Chicago dove lavora come lavapiatti in un ospedale in cui resterà tutta la vita.
Conduce un’esistenza abitudinaria e solitaria, abitando in un monolocale.
Nessuno sa della sua incessante attività creativa notturna, che sarà scoperta dal padrone di casa solo 22 nel 1973 quando Darger, ottantenne e malato, deve lasciare l’abitazione per ricoverarsi in una casa di riposo dove morirà poco dopo. In quella stanza da svuotare c’è un tesoro: una saga illustrata di quindicimila pagine intitolata Nei regni dell’irreale.
Il padrone di casa è un fotografo surrealista, Nathan Lerner, che ha l’occhio giusto per valutare l’eccezionalità di quei fogli, che un altro avrebbe gettato via come cartastraccia. Le magnifiche illustrazioni sono strisce orizzontali lunghe da due a tre metri, create mescolando collage, gouache, acquerello e calchi con carta carbone. Vi si racconta una lunga e crudele guerra tra bambini e un esercito di adulti malvagi, i Glandeliniani, in un mondo  parallelo a tratti edenico, ma funestato anche da terremoti e cicloni. Le sette Vivian Girls sono le eroine ermafrodite che liberano i bambini dalla schiavitù e dai soprusi.
Il riferimento agli abusi vissuti probabilmente da Darger nell’istituto è palese. Con la sua fantasia traspone, riscatta e vendica le torture subite, e non gli basta una vita.
La storia, scrive il suo autore, «coinvolge le nazioni di un mondo sconosciuto o immaginario, o paesi, aventi la nostra Terra per Luna […] Questo pianeta immaginario è mille volte più grande del nostro mondo». Le sue fonti sono le immagini ritagliate dalle riviste, i quotidiani, i fumetti, le pubblicità, i libri per l’infanzia, che incolla sul foglio o ricalca con la carta carbone ricombinandole nelle scene della sua epopea, sicché nelle illustrazioni, di cui ciascuna costituisce un’opera a sé, si può rintracciare un vero repertorio della cultura visiva popolare americana tra gli anni Venti e gli anni Sessanta.
Forse questo aspetto, insieme alla singolarità di questa creazione, ne ha decretato il successo post mortem: la stanza dove visse per quarant’anni, con gli oggetti originali e l’archivio di riviste che consultava, è stata interamente ricostruita a Chicago presso il Center Intuitive and Outsider Art, e le sue opere, rimaste di proprietà dei padroni di casa, che le hanno valorizzate ma purtroppo smembrando l’insieme, raggiungono nelle aste quotazioni molto alte per un artista brut.
Inoltre, hanno varcato la frontiera che separa l’universo dei musei di arte contemporanea dalle collezioni specializzate in creazioni marginali: si trovano infatti non soltanto nella Collection de l’Art Brut di Losanna, ma anche al Museum of Modern Art di New York e al Musée d’Art Moderne di Parigi.
Il destino di Darger, artista autoreferenziale e clandestino, è comune a molti altri autori, la cui opera viene ritrovata per caso dopo la morte. Perché si compia è altresì necessaria la figura di uno scopritore avveduto che ne riconosca la qualità e se ne prenda cura. L’Art Brut è sempre anche una storia di incontri e di adozioni.

Henry Darger, Senza titolo (1940-1960); New York, American Folk Art Museum.

Henry Darger, Senza titolo (1940-1960 circa); Londra, Museum of Everything.

ART BRUT
ART BRUT
Eva di Stefano
Grezzo, puro, naturale, senza edulcoranti... Brut, insomma, come lo champagne. Nel nostro caso come l’arte prodotta al di fuori dei contesti professionali, scolastici, culturali e commerciali prestabiliti, opere di artisti irregolari e a volte perturbanti. La definizionedi Art brut è del pittore francese Jean Dubuffet, che alla metà del XX secolo cerca e promuove i prodotti creativi dei pazienti psichiatrici, dei carcerati, degli incolti, di quei “nuovi primitivi” che, liberi da condizionamenti, possono restituire all’arte un bagliore di verità. Non parliamo qui di arte naïf – che, nata come movimento spontaneo, è stata poi fortemente condizionata dalle spinte del mercato – ma di manifestazioni marginali che nascono da un impulso creativo interiore.