VOCI DELL’“ALTROVE”

Sono molti i creatori, e soprattutto le creatrici, che sostengono di essere guidati da spiriti o voci.

Si può supporre che queste “voci” siano prodotte da un bisogno subliminale di emancipazione che il contesto sociale non consente a queste persone, e che quindi può essere liberato solo a patto di essere autorizzato da un’autorità oltremondana: la voce o il sogno darebbero licenza di esprimersi a chi non è socialmente legittimato a farlo. La medianità, dunque, come alibi sociale soprattutto per le donne, a cui garantisce il rispetto per la loro attività grafica in un’epoca in cui lo spiritismo è molto in voga, spesso collegato a movimenti libertari e utopisti. Ancora negli anni Venti, nell’Europa a lutto, devastata dalla febbre spagnola e dai tanti morti della prima guerra mondiale, lo spiritismo gode di un rinnovato fervore, offrendo conforto alla gente e alle donne un ruolo compensativo ed emancipatorio.
L’inglese Madge Gill (1882-1961), di estrazione operaia, inizia a disegnare nel 1918 dopo la morte di uno dei figli.
«Guidata da una forza invisibile» a cui darà il nome di Myrninerest (probabile ritrascrizione fonetica dell’inglese “My Inner Rest,” ovvero “il mio riposo interiore”), lavora di notte in semioscurità e in stato di trance sia su piccoli formati che su rotoli di stoffa lunghi anche dieci metri. Nei suoi intarsi geometrici semiarchitettonici, tra scale multiple e scacchiere
dai punti di vista contraddittori, appare incastonata una fantasmatica e multipla figura femminile sempre uguale, forse rappresentazione del suo spiritoguida e allo stesso tempo espressione di sé al di là dei traumi che hanno ferito l’esistenza terrena dell’autrice. Proprio in ragione del contesto favorevole allo spiritismo, e per iniziativa del figlio maggiore, le sue opere saranno esposte ogni anno, dal 1939 al 1947, presso la Whitechapel Gallery di Londra riscuotendo molto interesse, ma la Gill rifiutò sempre di venderle, in quanto appartenenti non a lei ma a Myrninerest, a cui era forse destinato l’abito sontuoso creato dalla Gill, che realizzava anche lavori tessili e ricami, e che da quasi mezzo secolo attende sul suo manichino al museo di Losanna di essere indossato.
Il frequente disinteresse per l’autorialità, il trauma esistenziale da cui si origina una imprevedibile creatività a un’età già matura, la produzione prolifica e compulsiva, sono caratteristiche ricorrenti.

Madge Gill, Senza titolo (1952).


Madge Gill fotografata mentre lavora a una sua opera nel 1947.

Più di cinquecento disegni, prevalentemente in inchiostro blu, furono ritrovati su un marciapiede parigino un giorno del 1965 davanti alla casa di Laure Pigeon (1882-1965) appena svuotata dopo la sua morte, e attirarono l’attenzione di Dubuffet. Anche il ritrovamento fortuito di opere eseguite in clandestinità e considerate senza valore, salvate dall’oblio o dalla distruzione da parte di un osservatore dallo sguardo anticonformista e
consapevole, è un fenomeno ricorrente in queste storie del margine.
Guidata anche lei dalle voci degli spiriti, Laure Pigeon inizia a disegnare e scrivere in solitudine dopo la dolorosa separazione da un marito infedele. La sua mano segue la vibrazione interiore senza vincolarsi alla rappresentazione, e traccia con inchiostro blu eleganti reti filiformi rampicanti nel vuoto, animate talora da enigmatiche parole scritte. In una fase più tarda (i fogli sono tutti datati a documentare le sue esperienze paranormali), il segno erratico si infittisce e si condensa in superfici compatte ma pulsanti al loro interno, come forme per sempre in gestazione, brani di un tessuto d’inchiostro che cela i suoi messaggi segreti modulando lo spazio.
L’astrazione geometrica caratterizza le opere della guaritrice svizzera Emma Kunz (1862-1963), donna indipendente di origini contadine che mise al servizio degli altri le sue riconosciute capacità terapeutiche. Si tratta di diagrammi e mandala realizzati, con la mano guidata da un pendolo, su carta millimetrata senza intenzione artistica: per la Kunz si trattava infatti di catalizzatori di energia, strutture cosmiche e strumenti del suo rituale guaritore. Forme e colori avevano per lei un significato ben preciso, relativo di volta in volta al caso in esame.


Madge Gill, Abito ricamato con fili di cotone e lana (senza data), Losanna, Collection de l’Art Brut.
Laure Pigeon, 22 aprile 1953 (1953); Losanna, Collection de l’Art Brut.

Laure Pigeon, 28 marzo 1955 (1955); Losanna, Collection de l’Art Brut.

Oggi, scollate dalla funzione originaria, vengono fruite nella loro cristallina valenza estetica: recentemente nella mostra World Receivers (Lenbachhaus, Monaco 2018) le sue opere sono state accostate ai dipinti dell’artista coetanea Hilma af Klint (1862-1944), pioniera svedese dell’astrattismo, influenzata dalla teosofia e anche lei dotata di capacità medianiche.
Il sigillo dell’ispirazione metapsichica presiede anche alle creazioni floreali della ceca Anna Zemánková (1908-1986), odontotecnica e poi madre di famiglia, vissuta prima a Brno e in seguito a Praga. A metà della vita, in preda a una forte depressione, si rifugia spontaneamente nella pittura che la aiuterà anche a superare drammi successivi come l’amputazione delle gambe a causa del diabete. Lavora alle sue opere in maniera automatica e sempre all’alba, tra le quattro e le sette di mattina, quando riesce a «captare le forze magnetiche». Uno straordinario erbario fantastico, più spirituale che semplicemente decorativo, prende vita nei suoi disegni a matita o tempera, a volte perfino ricamati su carta. Peculiare è la loro qualità tattile talora a rilievo, che ottiene ricalcando le linee sul retro del foglio.
A questa galleria, soltanto parziale, di donne ispirate va aggiunta una scoperta più recente, che testimonia oltretutto l’attuale ampliarsi delle ricerche di Art Brut nel mondo intero. Guo Fengyi (1942-2010), operaia cinese costretta a trentanove anni a ritirarsi dal lavoro per un’artrite debilitante, si dedica inizialmente a una pratica della medicina cinese tradizionale, il “qigong”, che la illumina sui flussi di energia che attraversano il corpo umano.
Inizia a disegnare sul retro di vecchi calendari e in seguito su lunghi rotoli di carta, quasi allo scopo di visualizzare le sue scoperte. Ma l’attività grafica in stato di meditazione profonda diventa presto totalizzante: come radiografie visionarie, i disegni mostrano l’interno del corpo umano e i flussi tra gli organi - cuore, colonna vertebrale, sesso - con simmetrie e raddoppiamenti che trascendono la realtà. Anche in questo caso prive di intenzioni artistiche, le immagini hanno un valore terapeutico, «servono da intermediari », dice lei, «verso spazi mistici».

Emma Kunz, Drawing no. 100 (senza data); Würenlos, Emma Kunz Zentrum.


Anna Zemánková, Senza titolo (1965-1973).


Guo Fengyi, Guan Yin (25 ottobre 1991); Losanna, Collection de l’Art Brut.

ART BRUT
ART BRUT
Eva di Stefano
Grezzo, puro, naturale, senza edulcoranti... Brut, insomma, come lo champagne. Nel nostro caso come l’arte prodotta al di fuori dei contesti professionali, scolastici, culturali e commerciali prestabiliti, opere di artisti irregolari e a volte perturbanti. La definizionedi Art brut è del pittore francese Jean Dubuffet, che alla metà del XX secolo cerca e promuove i prodotti creativi dei pazienti psichiatrici, dei carcerati, degli incolti, di quei “nuovi primitivi” che, liberi da condizionamenti, possono restituire all’arte un bagliore di verità. Non parliamo qui di arte naïf – che, nata come movimento spontaneo, è stata poi fortemente condizionata dalle spinte del mercato – ma di manifestazioni marginali che nascono da un impulso creativo interiore.