Studi e riscoperte. 1
Changall e l'antico

il giallo
delle nozze

Pura coincidenza o possibile modello? Dal confronto tra Le nozze di Chagall e il Cassone Adimari di Giovanni di Ser Giovanni Guidi detto lo Scheggia emerge almeno un indizio favorevole all’ipotesi che il pittore russo abbia tratto qualche ispirazione dall’opera
del Quattrocento fiorentino.

Gloria Fossi


anche Chagall, fra gli artisti più autonomi del Novecento, ha avuto un suo intimo, “petit musée”. Non ne ha mai fatto mistero: «Rembrandt, Monet, Caravaggio, Masaccio, Cimabue, Watteau, ecco i miei idoli!», dichiarava nel 1967, dopo aver “rivisitato” il “suo” Louvre con Pierre Schneider(1). In una fotografia degli anni Ottanta, in uno scorcio della biblioteca nella sua casa a Saint-Paul de Vence, riconosciamo, in ordine sparso, libri sulla pittura medievale, le miniature armene, le Apocalissi romaniche, e ancora, su Ravenna, i cavalli di San Marco a Venezia, El Greco, Picasso, Picabia, Kokoschka, e anche il catalogo della mostra giottesca di Firenze del 1937(2). Nei primi ricordi autobiografici, pubblicati a Parigi nel 1922 (Ma vie) nella traduzione dal russo della moglie Bella e di André Salmon, Chagall accennava a Giotto e Masaccio. E pure a El Greco, le cui riproduzioni stavano sparse nel 1911 sul pavimento del suo studio parigino, tra scatolette di aringhe e lenzuola tagliate che gli servivano per dipingere. Ma ha sempre rivisitato i suoi idoli con originalità di vedute. Se Picasso pare abbia detto: «Io non copio, rubo», Chagall avrebbe potuto aggiungere: «Io osservo, riconosco analogie in mondi diversi dai miei, sogno la Russia ma guardo all’Occidente, poi faccio di testa mia». C’è un quadro giovanile, Svad’ba (Le nozze, olio su tela di lino, 99,5 x 188,5 cm), che mostra somiglianze troppo forti, per esser pura coincidenza, con un dipinto familiare agli studiosi del Quattrocento, meno ai critici delle avanguardie. È Scena di danza (noto come Cassone Adimari), mai menzionato nella vasta bibliografia su Chagall: dal saggio sulla rivista “Montjoie” (Parigi, marzo 1914) diretta dall’amico Ricciotto Canudo, al primo studio critico in russo, su “Apollon” (1916) fino alle monografie più recenti, non ne abbiamo trovato traccia. Le nozze risale alla primavera del 1911 (nonostante la data 1910 e la firma che in origine l’artista non aveva messo). Del quadro si era appropriato Léopold Zborowski (pare lo avesse trovato sotto al letto nello studio parigino della Ruche, quando Chagall era tornato in Russia). Verso il 1923 Zborowski chiese al giovane russo di nuovo a Parigi di firmare la tela. Lui si rifiutò, come scrive, ormai anziano, in una delle formidabili note autobiografiche finora inedite, pubblicate adesso nel catalogo della mostra milanese Chagall a cura di Claudia Zevi con Meret Meyer (v. pp. 42-43), un testo importantissimo che riserverà non poche sorprese. Chagall recuperò la tela dal collezionista svizzero Obersteg, al quale Zborowski l’aveva ceduta, e vide ritoccati i tetti d’argento e d’oro delle casette («i colori erano freschi»). Riprese la tela e ripristinò i suoi colori. E la tenne sempre con sé fin quando, nel 1988, gli eredi la donarono, con molte altre, al Pompidou. Il giovane aveva già sperimentato a San Pietroburgo un Matrimonio russo su tela (1909, ora a Zurigo, collezione Bührle), e tornò poi in vario modo sulle nozze e gli sposi. Il nostro dipinto si distacca però da tutti gli altri (disegni e incisioni successivi compresi) e anche dal precedente: i colori, non più malinconicamente giocati su toni bruni, rammentano qui le vibrazioni cromatiche sperimentate a Parigi da Robert Delaunay o gli squillanti, smaltati colori fauves di Derain e Matisse, per quanto questi avessero già virato verso stilistiche individuali. Il corteo nuziale procede ora in una strada meno riconoscibile di quella del Matrimonio russo. Nonostante mostri influenze cubiste, vi si respira tuttavia l’atmosfera di una cittadina, uno “shtetl” come Vitebsk. Gli sposi sono preceduti dai musicisti, fra cui l’immancabile violinista, e si dirigono verso una porta con l’insegna “lafka” (“bottega”). Tornano figure già sperimentate come il portatore d’acqua, mentre la donna che indica la porta è forse la madre, che a Vitebsk gestiva presso la dimora degli Chagall una bottega di alimentari (il gesto di lei è però tipico del Quattrocento). Il quadro ha sempre destato sorpresa per l’insolita disposizione orizzontale, scandita, forse anche simbolicamente, in più parti. Si è detto che Chagall si è qui ispirato ai Funerali a Ornans di Courbet che molto amava (1849, all’epoca al Louvre, ora al Musée d’Orsay). Ma il confronto con il Cassone Adimari è ben più evidente. L’opera quattrocentesca era in quegli anni un “homeless painting”, per usare l’espressione cara a Berenson - senza casa e senza nome. Era già stata descritta, sulla metà del XVIII secolo, come «la pubblica festa» di due sposi fiorentini del Quattrocento(3), rappresentata «nel mezzo di un’antica grandiosa spalliera di legno, ornata d’intagli e dorature». La scena fu cioè dipinta su una di quelle tavole che rivestivano le stanze fiorentine per ripararle dall’umido. Rappresenta «la piazza e il tempio di San Giovanni [il battistero fiorentino] con casamenti, e muraglie coi merli». Al centro, «alcune coppie [che si tengono] per la mano, vestite [e] guarnite d’oro, di perle, di vai, passeggiano in ordinanza in atto di ballare dentro ad un recinto di panche coperte di arazzi, con altri spettatori in piedi mentre i Trombetti della Signoria di Firenze sedendo sopra gli scalini della Loggia del Bigallo suonano le loro trombe».



I colori rammentano le vibrazioni cromatiche sperimentate a Parigi da Robert Delaunay e gli squillanti, smaltati colori fauves di Derain e Matisse



Da queste pende la bandiera bianca («il pendone») col giglio rosso di Firenze. Sotto la loggia «alcuni fanti con bacili ed altri vasi entrano in una porta delle contigue [case] degli Adimari ». La piazza è «tutta coperta di teli rossi e bianchi, che cominciando dalla loggia, si estende sino al canto della via de’ Martelli». Dal Settecento a oggi, almeno su un punto, non ci sono mai stati dubbi: l’immagine raffinata e gioiosa ricca di dettagli di una Firenze in parte (ma non troppo) idealizzata, corrisponde al Cassone Adimari, dal 1826 alla Galleria dell’Accademia di Firenze. Dipinta su tavola (88,5 x 330 cm), l’opera fu così denominata perché vi si riconosceva una scena di danza per le nozze di Boccaccio Adimari e Lisa Ricasoli, avvenute nel 1420. Dopo la sua pubblicazione nel monumentale studio di Paul Schubring sui cassoni (1915), il dipinto fu ritenuto fronte di un cassone e non più spalliera, come invece doveva esser stato, data la dimensione, e come già riportavano le fonti.

Nella tela parigina di Chagall colpisce la coincidenza di quel cielo di panni sospeso, che a Firenze si usava per coprire dal sole durante le feste estive



Quest’opera deliziosa divenne alla fine dell’Ottocento tanto popolare e amata da entusiasmare gli anglosassoni (e non solo loro), come ricordava, rievocando i suoi primi anni fiorentini, Bernard Berenson(4). Del Cassone Adimari circolavano stampe all’albumina del fotografo Anderson (Berenson ne possedeva una, incollata su tela, tuttora nella fototeca della Harvard University, villa I Tatti, Settignano, che fu la sua dimora). Quelle perfette riproduzioni (che su richiesta venivano anche colorate a mano) erano vendute in Francia, come ancora risulta dal catalogo del 1907 della ditta Anderson in francese (ne esistevano anche di precedenti). Prima ancora di Schubring avevano accennato al Cassone Adimari il franco-belga Jacques Mesnil, in una nota rivista in lingua francese (la “Revue de l’art flamand et hollandais”, 1906), e Attilio Schiaparelli, nel suo celebre studio sulla casa fiorentina (1908). Poi se ne occupò Roberto Longhi, e finalmente Luciano Bellosi, che nel 1969 ne precisò l’autore: Giovanni di Ser Giovanni Guidi detto lo Scheggia (1406-1486), fratello di Masaccio(5). Il dipinto si data ormai alla metà del XV secolo, e cade per questo l’identificazione con le nozze Adimari - Ricasoli (anzi, c’è chi dubita che sia una scena di nozze - noi abbiamo invece prove per non dubitarne). Allo Scheggia si attribuiscono altri deschi da parto, dipinti e cassoni. Il nucleo più consistente è al Musée national de la Renaissance di Ecouen in Francia, ma dalla seconda metà del XIX secolo alla seconda guerra mondiale era esposto nella sala 22 (ora 25) del Musée de Cluny nel cuore di Parigi; non è improbabile che Chagall lo abbia visitato nel suo primo soggiorno parigino, quando, lo racconta lui stesso, passava ore nei musei. Certo i cassoni rinascimentali gli erano familiari dai tempi dei suoi studi giovanili a San Pietroburgo. Diversi di questi, confluiti all’Ermitage, erano esposti nella scuolamuseo del barone Stieglitz, descritta da Chagall in Ma vie. Fra le molte similitudini delle sue Nozze col Cassone Adimari (e anche con due figure di uno dei dipinti dello Scheggia ora al Musée di Ecouen) colpisce la coincidenza di quel “cielo di panni”, che a Firenze riparava dal sole nelle feste estive. Chagall forse vide la stampa Anderson, o una delle fotografie pubblicate nei primi studi sull’argomento. Utilizzò lo schema antico delle nozze, dove le coppie procedono al ritmo della bassadanza, ma raffigurò un suo mondo, mantenendo alcuni gesti delle figure originali. Mutò in parte i colori del “cielo di panni”, probabilmente perché non li conosceva (visiterà Firenze la prima volta nel 1937). La fotografia può essere il primo ma non l’unico indizio, come si dirà presto con altre prove, cui qui si è potuto solo accennare.


Marc Chagall, Le nozze (1911 circa), particolare, Parigi, Musée national d’art moderne, Centre Pompidou.

Giovanni di Ser Giovanni detto lo Scheggia, Scena di danza sul cosiddetto Cassone Adimari (1450 circa), Firenze, Galleria dell’Accademia.

Marc Chagall, Le nozze (1911 circa), Parigi, Musée national d’art moderne, Centre Pompidou.

Giovanni di Ser Giovanni detto lo Scheggia, dettagli della Scena di danza sul cosiddetto Cassone Adimari.

Giovanni di Ser Giovanni detto lo Scheggia, dettagli della Scena di danza sul cosiddetto Cassone Adimari.

Qui sotto, Marc Chagall, Le nozze (1911 circa), particolare, Parigi, Musée national d’art moderne, Centre Pompidou.

Ringrazio il Centre Pompidou - Musée National d’Art Moderne di Parigi, in particolare: Camille Morando, documentaliste principale des collections modernes; la Bibliothèque Kandinsky; Laurence Gueye, Aurelien Bernard; la Biblioteca Berenson di villa i Tatti, The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies, in particolare Giovanni Pagliarulo.

(1) P. Schneider, Louvre, mon amour (1967), ed. it. Milano 2012, p. 34.
(2) S. Forestier, Gli Chagall di Chagall, Milano 1988, fig. 33 (fotografia di G. Dettori).
(3) B. Berenson, Quadri senza casa. Il Quattrocento fiorentino, I, in “Dedalo”, 1932/VII, p. 532.

(4) S. Salvini, Istoria de’ Canonici Fiorentini, manoscritto (perduto) citato in M. Lastri, L’Osservatore fiorentino sugli edifici della sua patria per servire alla storia della medesima, Firenze 1777, pp. 100-101. Salvini vide la spalliera in casa del cavaliere Pompeo Comparini, membro dell’Accademia del Disegno. Nel 1782 risulta invece di proprietà degli eredi del letterato Giovanni di Poggio Baldovinetti (A. Lumachi, Memorie storiche della antichissima basilica di San Giovanni Battista di Firenze, Firenze 1782, pp. 133-134).
(5) Per la vasta bibliografia sul Cassone Adimari, si veda da ultimo L. Sbaraglio, in Virtù d’amore, catalogo della mostra (Firenze, Galleria dell’Accademia - Museo Horne, 8 giugno - 1° novembre 2010), Firenze 2010, pp. 163-165.a

ART E DOSSIER N. 313
ART E DOSSIER N. 313
SETTEMBRE 2014
In questo numero: L'EBRAISMO E L'OCCIDENTE; CHAGALL E I SUOI MODELLI Primo Novecento: i collezionisti; Ebraismo e Rinascimento; Roma: le catacombe israelitiche; Gli affreschi di Europos-Dura. IN MOSTRA: Chagall, Artiste ebree, Equilibrium.Direttore: Philippe Daverio