Il fatto per noi decisivo è che tutto questo si è tradotto nell’acquisto delle loro opere. Quindi questo primo collezionismo è stato un caso tra i più significativi di quella che Roberto Longhi ha felicemente definito, in alternativa alla teoria e alla critica d’arte scritta, la critica «in atto» che, con una scelta concreta come l’acquisto di un’opera, ha saputo comprendere e consacrare artisti ignorati o incompresi.
Una serie di articolate ricerche ci ha dunque consentito di fare emergere, in molti casi dal nulla, un fitto e variegato universo di sostenitori, mecenati e collezionisti che va dai loro colleghi pittori più fortunati - come nel caso di di artisti quali Cristiano Banti, Michele Gordigiani, Ernesto Bertea, o lo scultore Rinaldo Carnielo - agli amici mecenati che li hanno addirittura accolti nel seno della propria famiglia, come i Cecchini, i Batelli e i Bandini che sono stati un supporto fondamentale nella tormentata vicenda biografica di Silvestro Lega, tra tutti quello che ha più sofferto l’ostilità e l’emarginazione degli ambienti ufficiali.
Un ruolo particolare lo hanno avuto i critici e i letterati che li hanno sostenuti non solo con i loro scritti ma anche acquistandone i dipinti. Tra costoro occupa un posto assolutamente speciale il grande Diego Martelli, personaggio di caratura internazionale, pensando solo alla sua conoscenza diretta dell’arte francese, maturata nei soggiorni a Parigi, ma anche alla sua comprensione degli impressionisti.
È stato il primo e unico a parlarne in Italia, dove essi erano sconosciuti. Si deve a lui il merito, ospitandoli generosamente nella sua tenuta di Casti glioncello, vicino a Livorno, di farli dialogare e lavorare insieme, tentando così di riunire in un movimento vero e proprio esperienze diverse. Questi soggiorni nella luce incantata di quella campagna affacciata sul mare hanno prodotto tra i loro quadri più belli, paesaggi puri, di cui abbiamo splendidi esempi in mostra. Martelli è stato anche il loro primo e forse in assoluto migliore collezionista, le opere da lui raccolte costituiscono fortunatamente, oggi, il nucleo più importante delle raccolte della Galleria d’arte moderna di palazzo Pitti a Firenze.
L’ultimo caso in ordine di tempo è quello di un grande critico e divulgatore come Ugo Ojetti, cui non solo si deve l’inizio della loro riabilitazione novecentesca, ma che per quanto riguarda la sua raccolta può considerarsi il prezioso “trait d’union” tra collezionismo antico e moderno, quando le opere del macchiaioli sono finite sul mercato, passando dalle vecchie «quadrerie private e raccolte toscane», ricordate con rimpianto da Emilio Cecchi che aveva fatto in tempo a visitarle, al vivace e ambizioso collezionismo del Nord imprenditoriale.
Ora oltre cento dei dipinti appartenuti ai primi sostenitori e collezionisti dei macchiaioli sono stati identificati e riportati alla luce in questa occasione, in una mostra composta in gran parte, tranne alcuni prestiti importanti della Galleria d’arte moderna fiorentina, da pezzi provenienti da raccolte private. Si tratta dunque di un’opportunità unica per confrontarsi con una serie di opere, tra cui alcuni capolavori, ancora poco note.