La pagina nera 


PIRANESI VIOLENTO
INCIDE
UN ESCREMENTO

di Fabio Isman

È il 1769: Wolfgang Amadeus Mozart inizia il primo dei suoi viaggi in Italia per una serie di concerti che ne sanciranno la fama; sta invece per andarsene Giambattista Tiepolo, e sono spariti da poco Canaletto e il musicista napoletano Nicola Porpora. L’abate francese Bertrand Capmartin de Chaupy (1720- 1798) pubblica tre tomi (Découverte de la maison de campagne d’Horace) sulla scoperta che gli conferirà qualche fama: ha trovato la casa di campagna di Orazio, in Sabina, vicino a Licenza, oltre Tivoli; esiliato a lungo a Roma, il francese ne ha approfittato il suo mestiere di archeologo. 

Di Giovan Battista Piranesi, suo coetaneo che morrà nel 1778, sono già apparsi i volumi e le tavole che lo renderanno agiato; dal 1758 è papa Clemente XIII, che perirà proprio nel 1769: il concittadino veneziano, pur se i Piranesi provenivano forse da Pirano in Istria, Carlo della Torre di Rezzonico; e per l’incisore e architetto, gli incarichi (e le prebende) si moltiplicano. Però, i tre tomi dell’abate De Chaupy gli piacciono davvero assai poco: li trova infarciti di svarioni; soprattutto, la scoperta, o presunta tale, è priva di qualsiasi disegno o misura. E ormai, l’architetto veneziano è così famoso, da potersi permettere qualunque stravaganza: perfino qualche goliardata dallo stampo abbastanza infantile, anche se è già quasi sui cinquant’anni.


Giovan Battista Piranesi, vignetta satirica che prende di mira Bertrand Capmartin de Chaupy, tratta da Diverse maniere d’adornare i cammini ed ogni altra parte degli edifizi desunte dall’architettura egizia, etrusca e greca, con un ragionamento apologetico in difesa dell’architettura egizia, e toscana (1769), esemplare conservato al British Museum di Londra.

Sempre nel 1769, dà alle stampe il suo penultimo volume, dal titolo prolisso, come usava: Diverse maniere d’adornare i cammini ed ogni altra parte degli edifizi desunte dall’architettura egizia, etrusca e greca, con un ragionamento apologetico in difesa dell’architettura egizia, e toscana. Opera meno nota, e più rara, delle altre sue: altro che le Vedute di Roma, o le Carceri d’invenzione

Trentacinque pagine di testo in tre lingue e, complessivamente, settantuno tavole. C’è chi dice: «Il massimo del suo estro». Caminetti d’ogni fattura, di solito monumentali; orologi; mobili, e tutti i tipi di suppellettili; anche alcuni egittizzanti arredi interni del Caffé degli inglesi in piazza di Spagna a Roma, all’angolo con via dei Due Macelli, tra i più rinomati nella capitale dei pontefici, insieme con quello “al Buon Gusto”, al numero 82 (sempre in piazza di Spagna), il primo a introdurre l’illuminazione a gas e quei panini cui John Montagu, diplomatico e IV conte di Sandwich, aveva conferito il nome. La dedica è per «monsignor Giovambatista Rezzonico nipote e maggiordomo» del papa, nonché priore dei Cavalieri di Malta, della cui chiesa più importante Piranesi aveva da poco rinnovato il volto. 

Dopo la dedica, il “Ragionamento apologetico”; poi tre tavole fuori testo, con conchiglie, templi, vasi, decori vari; e, a chiudere l’introduzione, un’incisione più piccola delle altre: forse aggiunta in extremis, nello spazio rimasto bianco, senza didascalia. Sulla figura centrale è iscritta la dicitura «Ruine della villa d’Orazio»; ma non le ritrae: quella che si vede, è chiaramente una grossa deiezione, come se fosse la tavola di uno dei tre tomi sottostanti. Per chiarire ancor meglio, uno ha il nome dell’abate come autore; e, per titolo, «Non merita risposta ». Sulla costa di un altro volume, Piranesi scrive, con un palese gioco di parole dedicato al particolare cognome di Capmartin de Chaupy, «Capo confuso». 

Questa incredibile “vendetta artistica” ha trovato un esiguo spazio, quando non nessuno, nei testi ufficiali: «Molti ne hanno scritto; ma prudentemente, senza sbilanciarsi, evitando di fiutare qualcosa, come a naso tappato», dice Francesco Scoppola - sessantotto anni, fino a poco tempo fa direttore generale del Ministero per i beni culturali, e oggi titolare del corso di Organizzazione del cantiere di restauro all’Università romana della Sapienza, facoltà di Architettura -, che ha studiato questa vignetta. Elenca altre diciture visibili sull’incisione: «Accademia de’ Fanatici»; «per ben disegnare queste ruine era necessaria l’assistenza del celebre antiquario Chaupy»; «Vi avverto a prender consiglio prima di stampare».


Questa incredibile “vendetta artistica” ha trovato un esiguo spazio, quando non nessuno, nei testi ufficiali


Giovan Battista Piranesi, tavola tratta da Diverse maniere d’adornare i cammini ed ogni altra parte degli edifizi … (1769), esemplare che riproduce un interno del Caffé degli Inglesi a Roma e conservato al Metropolitan Museum of Art di New York.

E, se non bastasse: «Una fonte secca e pochi muri infranti hanno prodotto tre grossi tomi. Che ne dici o mio Baretti? Dov’è la frusta?», alludendo a quella «letteraria» che Giuseppe Baretti pubblicava, infarcita di toni accesi e di scatti polemici; «A Ninfa aspetto voi col vostro cavallo antiquario». 

«E concludiamo», prosegue Scoppola, «con altre scritte che compaiono: “Passi corrotti”, “Errata pag. XX”; “L’autore era gravido, compatitelo”, e “Il terzo tomo tratta degli odori”: appunto quelli della figura al centro nella vignetta piranesiana. Insomma la demolizione di un’opera in piena regola, e così accesa, che è raro riscontrare nell’intera storia dell’arte». Ne segue un contenzioso tra i due: evidentemente litigano; Piranesi afferma che non c’è archeologia senza un rilievo, che una “scoperta” ha bisogno di disegni e di misure; mentre il francese lo nega, difendendo strenuamente l’opera più importante da lui scritta. 

Spiega ancora Scoppola: «Ma questo disegno, diciamo così, assai poco protocollare, contiene anche una serie di messaggi; o, almeno, io lo credo. Intende dirci che il libro in sé non è buono né cattivo: dipende dall’autore e dal contenuto; alcuni libri e teorie possono essere di scarto, e vanno perciò valutati con attenzione: allora, bisogna avere il coraggio di darli alle fiamme (e guarda caso, il testo riguarda proprio i camini). Ma, ancora: quanto non giova, nuoce e va rigettato con decisione, espulso quasi fosse veleno; le diverse opinioni vanno illustrate con coraggio e chiarezza, senza il ricorso a eufemismi; e quanto è sotto gli occhi di tutti, spesso non viene visto affatto. Si potrebbe continuare: quanto abitualmente si nasconde o si ignora per decoro, comunque esiste e incide; ed è difficile cogliere la differenza quotidiana e sottile tra lo sporco che imbratta e l’ornato; inoltre, ogni opinione, anche la più assurda, può essere sostenuta da apparenze inoppugnabili; e l’esasperazione degli architetti straripa per certa autoreferenziale astratta archeologia». Insomma, questa sferzata invereconda nasconde molto più di quanto non si legga. 

Resta il fatto che un’illustrazione tanto “osée” costituisce una rarità assoluta, il cui contenuto è spesso coperto dal pudore. Per esempio, il Metropolitan di New York ne possiede un esemplare: non è esposto; e nel catalogo ragionato, viene definito semplicemente «vignetta satirica»; si racconta contro chi e perché è stato concepito, ma non ci si azzarda minimamente a chiarirne il contenuto. Piranesi, di cui un paio di mesi fa abbiamo celebrato i tre secoli dalla nascita, «siamo ormai abituati a vederlo addomesticato, quasi rivolto alla Grecia, nel ritratto postumo che Pietro Labruzzi (1739-1805) realizza poco dopo la morte, mentre impugna il rilievo dei tre templi di Paestum», dice Scoppola; e incontrarlo invece come umanista, architetto e incisore tanto vivo e polemico, quasi infantilmente gioioso, fa indubbiamente un certo effetto. Talora si firmava Salcindio Tiseio: il suo nome tra gli Arcadi; ma noi potremmo soprannominarlo Cambronne: il generale francese Pierre-Jacques-Étienne, famoso non soltanto per aver risposto con un sonante «merde» all’intimazione di resa a Waterloo, ma anche per aver spiegato che «la vecchia guardia muore, però non si arrende mai».


Pietro Labruzzi, Ritratto di Giovan Battista Piranesi (1779), Museo di Roma.

ART E DOSSIER N. 382
ART E DOSSIER N. 382
DICEMBRE 2020
In questo numero: ATTIVISMO, ARTE E SOCIETA': Intervista a William Kentridge. Banksy: l'artista invisibile. IN MOSTRA: Banksy a Roma, Enzo Mari a Milano, Cartier-Bresson a Venezia, Derain/Le Corbusier a Mendrisio, I Macchiaioli a Padova, Michelangelo a Genova.Direttore: Philippe Daverio