Grandi mostre. 1 
Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist with Francesca Giacomelli a Milano

DIRE, FARE,
CAPIRE

Una grande mostra alla Triennale di Milano, curata da Hans Ulrich Obrist, celebra Enzo Mari, artista e designer, scomparso pochi giorni prima dell’inaugurazione. Le opere, i giochi, le installazioni, gli allestimenti testimoniano il suo inesausto lavoro di discussione e di progettazione, lungo una vita intera.

Marcella Vanzo

Falce e martello a pezzi, pezzi di marmo. Un puzzle, un rompicapo, da ricomporre attraverso una poesia di Leonetti. Così si apre la mostra di Enzo Mari in Triennale a Milano, a cura di Hans Ulrich Obrist, resa più definitiva dalla sua dipartita a pochi giorni dall’inaugurazione. 

I pezzi sono quarantaquattro su altrettanti piedistalli, i versi anche, il simbolo irriconoscibile. È un lavoro del 1976 che si chiama 44 valutazioni

La vena critica di Mari ci accoglie immediatamente già dalle prime didascalie che ci spiegano a cosa servono le didascalie: l’asterisco indica «se l’opera nasce dalla libera esigenza espressiva dell’autore di indagare la forma e la realtà», la mezzaluna indica «se l’opera nasce dalla richiesta di aziende o altre istituzioni». 

Poi veniamo avvisati che altri progetti sono in mostra solo come fotografie incorniciate per raggruppamenti tematici - denominate Cornicette - selezionati dallo stesso Mari. Questa è la prima sezione dell’esposizione, quella che riproduce filologicamente la mostra del 2008-2009 di Mari alla GAM Galleria civica d’arte moderna e contemporanea di Torino, mostra di cui egli stesso aveva seguito curatela, allestimento e catalogo. Qui le opere sono ordinate cronologicamente. 

Nella seconda sezione, a cura di Francesca Giacomelli, vengono presentati approfondimenti tematici specifici estratti dall’archivio, donato da Enzo Mari al Casva - Centro di alti studi sulle arti visive del Comune di Milano. Archivio tra l’altro donato a condizione che non sia accessibile agli interessati per quarant’anni dalla morte del designer, perché a suo avviso «solo dopo questo lasso di tempo una nuova generazione di designer potrà farne un uso consapevole». 

La terza sezione è diffusa per tutto il piano terra del Palazzo dell’arte e ospita le opere di artisti e progettisti di tutto il mondo, chiamati a rendere omaggio a Enzo Mari, tra cui Adrian Paci, Virgil Abloh, Tacita Dean, Adelita Husni-Bey, Dominique Gonzalez-Foerster, Mimmo Jodice, Dozie Kanu, Rirkrit Tiravanija, Barbara Stauffacher Solomon, Danh Vō e Nanda Vigo. 

Entrando nella prima sala ci accolgono diversi studi di colore e volume, nuove proposte per la lavorazione del marmo a mano, vasi e i giochi per bambini, mini e maxi puzzle, carta, legno, cartone.


La serie della natura, n. 1: la mela con Elio Mari (1961).

Mari è un intellettuale estremamente sperimentale, estremamente artista, quindi per capire ci insegna come fare. Tutta la prima sezione della mostra è tentativo di comprendere, schematizzare e riprodurre ordine e caos all’interno della natura per poi riportarlo nel mondo del progetto sotto forma di struttura. 

Ci troviamo velocemente di fronte all’Oggetto a composizione autocondotta (1959), una scatola quadrata trasparente, una cornice, interrotta all’interno da una linea verticale intorno a cui far cadere i moduli di legno. Vanno shakerati per ottenere un equilibrio estetico ogni volta diverso, frutto del caos e delle leggi che governano la materia. Guardare e non toccare. È davvero difficile trattenersi da: 

«1) Afferrare la cornice e spingerla verso l’alto 

2) Ruotare in senso antiorario 

3) Riappoggiarla e valutare esteticamente la composizione 

4) Ripetere l’operazione varie volte». 

Queste sono le istruzioni di Mari. 

La numero 5 dice: «Le composizioni sono casualmente diverse ma la loro qualità estetica è uguale». Giocando ci ha spiegato come, giocando ci ha spiegato perché. Forse Mari gioca a essere dio, anzi Dio, e a riprogettare il mondo attraverso i propri modelli. 

Noi ci sforziamo di fare entrare i suoi display nei nostri post, le sue strutturine di cartone fanno parte di grandi collezioni. 

Capire, carpire, costruire. Questo è il grande lavoro intellettuale di Mari che poi ci viene restituito in oggetti quotidiani: calendari, vasi, manifesti, portaombrelli, divani, letti, librerie e fruttiere che riecheggiano l’eterno. 

È nientemeno che Umberto Eco a presentare l’installazione di Enzo Mari alla Biennale di San Marino del 1967. Una struttura di laminato bianco a forma di sette, Piattaforma di ricerca 8, dello stesso anno, pare una scultura ma in realtà è una «macchina per sperimentare le reazioni di un visitatore alla mostra di arte contemporanea». 

Non ci lascia mai in pace Mari, qui l’invito è a guardare, a guardarci e a rispondere: cos’è quest’oggetto? Mi piace? Cosa significa? E ci dà anche le risposte tra cui scegliere. Il suo sguardo non è mai sazio o compiaciuto, vuole capire, capire, capire e la sua installazione è una sperimentazione attiva del mondo che include le domande per il visitatore.


Un tentativo di comprendere, schematizzare e riprodurre ordine e caos della natura per riportarlo nel mondo del progetto


44 valutazioni (1976-2008), veduta dell’installazione in mostra.

E dopo l’incontro col nostro sguardo ci troviamo al centro di un villaggio africano, dove in un ottagono perfetto otto statue ci fissano, ognuna di fronte alla porta della sua capanna. È Vudun: African Vodoo, una riproduzione esatta dell’allestimento di Enzo Mari per l’omonima mostra d’arte africana del 2011 alla Fondation Cartier a Parigi. 

Andiamo avanti: capire, guardare e poi fare. L’“autoprogettazione” di Mari è qui per noi, davanti a noi, schede di progetti fatte perché ognuno possa costruirsi un tavolo, un letto, una sedia, gli elementi essenziali alla vita. E tutta l’opera grafica, libri che sono nelle nostre librerie da anni, intere serie, le copertine che conosciamo bene progettate da lui. Anche un’agenda, che è esattamente il librone che oggi pensavo che mi serve per organizzare la mia vita, eccolo qui. I giorni tutti uguali, la domenica senza ore. L’aveva progettato per Olivetti nel 1967. E ora è un pezzo da collezione. Intonso. 

C’è talmente tanto in questa mostra che sui divani e le poltrone esposte viene voglia di stendersi e rilassarsi un momento. E, alzando la testa, un manifesto ci racconta la storia di un monumento creato con i più importanti artisti milanesi dell’epoca per commemorare uno studente ucciso dalla polizia nel 1973. Nel 1976 Mari, che coordina il gruppo di artisti, fa installare davanti all’università Bocconi di Milano un «enorme maglio in disuso del peso di 50 tonnellate». Monumento che il 23 gennaio 2013 viene ufficializzato come tale dal sindaco Pisapia e continua a ricordarci Roberto Franceschi e i suoi compagni di lotta, monumento davanti a cui continuiamo a passare. Ammetto che fino a oggi non ne conoscevo la storia.


Piattaforma di ricerca 8 (1967).


Oggetto a composizione autocondotta (1959-2006).

La mostra poi si chiude con l’Allegoria della dignità, un grande specchio di fronte a cui possiamo inginocchiarci. Inginocchiarci di fronte a noi stessi allo specchio, dove vediamo riflesso il lavoro alle nostre spalle: l’Allegoria della morte, ovvero le tombe di tre grandi utopie: comunismo, nazismo e cristianesimo, seppellite sotto a tanta terra e macchinine variopinte. Mi alzo per uscire. Non lo facciamo tanto spesso di inginocchiarci. 

Con un’altra falce e martello vorrei chiudere questo articolo, quella esposta alla Galleria Milano, fino al 30 gennaio, in Falce e martello, tre modi in cui un artista può contribuire alla lotta di classe che riproduce fedelmente la mostra inaugurale della galleria, aperta con Enzo Mari nel 1973. 

Qui si parte da Giotto, il dettaglio di una croce lignea retta dal retro, ripreso dal Presepe di Greccio, che si sporge dall’alto forse all’interno di una chiesa, forse in cima a una piazza. Mari ci svela il dispositivo espositivo, la sagoma del potere, la sua impostura e la sua importanza, mai disgiunte. E in galleria espone - al rovescio - una grande falce e martello, la stampa in multiplo su stoffa, la studia nel dettaglio. 

In queste due mostre l’alfa e l’omega di Mari, da vedere entrambe, per continuare a capire cosa serve per creare.


Formosa (1963), calendario perpetuo da parete e da tavolo.

Vodun: African Voodoo, riproduzione dell’allestimento dell’omonima mostra (2011) alla Fondation Cartier di Parigi.


Allegoria della morte (1987).

A Milano, Galleria Milano: Falce e martello (1972-1973), serigrafia su carta;


Falce e martello (1972-1973), bandiera in lana.
Le altre opere in questo articolo sono in mostra a Milano, Triennale.

Enzo Mari

curated by Hans Ulrich Obrist
with Francesca Giacomelli
Milano, Triennale
fino al 18 aprile 2021
orario 12-20, chiuso lunedì
catalogo Electa
www.triennale.it

ART E DOSSIER N. 382
ART E DOSSIER N. 382
DICEMBRE 2020
In questo numero: ATTIVISMO, ARTE E SOCIETA': Intervista a William Kentridge. Banksy: l'artista invisibile. IN MOSTRA: Banksy a Roma, Enzo Mari a Milano, Cartier-Bresson a Venezia, Derain/Le Corbusier a Mendrisio, I Macchiaioli a Padova, Michelangelo a Genova.Direttore: Philippe Daverio