Musei da conoscere
Mathaf, Arab Museum of Modern Art
a Doha

AL CROCEVIADEI MONDI

Il Mathaf, Arab Museum of Modern Art di Doha possiede la raccolta più grande del mondo di opere d’arte moderna nordafricana, mediorientale e di cultura araba.
Ne abbiamo parlato con il direttore del prestigioso museo.

Riccarda Mandrini

Nell’ambito di un percorso che ci ha condotto a conoscere e dialogare con i patron e i direttori di musei internazionali, tra cui Palais de Lomé, in Togo, Kiran Nadar Museum of Art a Nuova Delhi, questa volta abbiamo deciso di incontrare Abdellah Karroum, direttore del Mathaf, Arab Museum of Modern Art di Doha, in Qatar. Karroum ci ha accompagnato attraverso le sale del museo, presentato le opere degli artisti compresi nella raccolta permanente e introdotto a una parte di storia moderna di alcuni paesi arabi del Medio Oriente, in un racconto che qui riproponiamo. 

«Mathaf», riferisce Karroum, «ospita la più grande collezione al mondo di opere (novemila tra dipinti, sculture e installazioni) di artisti moderni nordafricani, mediorientali e di cultura araba. Il Qatar è un paese all’avanguardia, con una popolazione cosmopolita. Storicamente si trovava sulla “via della Seta” ed è stato il crocevia degli scambi culturali e commerciali tra Oriente e Occidente. In epoca moderna le “routes” mediorientali sono quelle della “via del Petrolio”. Noto per la ricchezza delle sue risorse naturali, oggi il Qatar con i suoi musei svolge un ruolo culturale determinante nell’ambito della composita area storico-geografica di cui fa parte».


Il Mathaf, Arab Museum of Modern Art di Doha, e nelle pagine successive alcune opere della collezione.

Percorrere le sale del Mathaf è più che un incontro con l’arte, è un incontro con la storia moderna di differenti paesi mediorientali, nordafricani e di cultura araba. Colonie che a partire dalla fine degli anni Quaranta del Novecento iniziarono le lotte per la propria indipendenza. Forti della loro cultura, gli artisti scelsero di guardare al presente e parlare in prima persona in modo autentico di una realtà e un mondo che fino a quel momento era stata raccontata dagli occidentali secondo le loro regole e i loro gusti. Per decenni una parte della storia dell’arte mediorientale moderna non è stata scritta. Mathaf, con la sua collezione e la sua progettualità, è la risposta a questa assenza. 

«Il metodo scelto per la presentazione della collezione non segue una scansione cronologica ma tematica», prosegue Karroum, «perché per una questione di spazio non possiamo esporre più di duecento opere al contempo. Si concentra su determinate vicende della storia moderna dei diversi paesi trattate nelle opere degli artisti». 

Iniziamo così la nostra visita nelle gallerie dedicate alla raccolta del museo (dalla 7 alla 11, perché le prime sei sono dedicate alle mostre temporanee). La galleria 7 si chiama emblematicamente “Women in Society”. 

«Il ruolo della donna nelle società arabe è un tema complesso e ricorrente che è stato affrontato da numerosi autori moderni e contemporanei». Karroum ci mostra la scultura bronzea Lungo il Nilo. «Fu realizzata», ci spiega, «dall’artista egiziano Mahmoud Mukhtar (Cairo 1891-1934) nel 1930. È un’immagine moderna della figura femminile, ispirata al modello delle rappresentazioni classiche dell’Egitto. Quest’opera è una dedica alle donne e alla loro bellezza che travalica il tempo». 

«Nel decennio Cinquanta-Sessanta», continua, «in diversi paesi del Nord Africa emerse il lavoro di numerose artiste donne, molte impegnate politicamente». 

Ci mostra le tele di Inji Aflatoun (che si firma Inji Efflatoun, Cairo 1924-1989), artista, attivista, femminista, «nel 1951 partecipò con altre donne attiviste alla organizzazione della Women’s Committee for Popular Resistance. Qualche anno dopo, nel 1959, fu arrestata sotto il periodo della presidenza Nasser. Durante la detenzione produsse un vasto corpus di opere, molti ritratti di donne», puliti, essenziali, veri, nulla a che vedere con immagini esotiche e stereotipate.


L’installazione «è una forma di “j’accuse” alle politiche machiste, che limitano la libertà delle donne»


Manal AlDowayan, Suspended Together (2011).

Nella stessa sala è difficile non essere attratti dal colore deciso delle tele di Paul Guiragossian (Gerusalemme 1925 - Beirut 1993), che al mondo femminile dedicò gran parte del suo lavoro. Delle donne l’artista seppe cogliere soprattutto l’essenza e la spiritualità immortalata in una numerosa serie di ritratti iconici. Poco oltre incontriamo le opere dell’artista sudanese Ibrahim el-Salahi (Omdurman 1930), caratterizzate dal tratto naturalista. 

«Fu un innovatore, negli anni Sessanta si legò alla Khartoum School of African Modernisme e lavorò con il gruppo di calligrafi dell’Hurufiyya Art Movement. Nei suoi dipinti il soggetto femminile è molto presente ed è ritratto secondo canoni narrativi lirici, che sfiorano l’astrazione», chiarisce. 

Suspended Together è l’opera dell’artista saudita Manal AlDowayan (Dhahran 1973) che, come precisa il direttore, «è una forma di “j’accuse” alle politiche machiste, che limitano la libertà delle donne». 

L’installazione è composta da duecento colombe in fibra di vetro. Sul corpo di ogni uccello, simbolo di pace, è stato riprodotto il permesso di viaggio che le donne in Arabia Saudita devono avere per muoversi da sole. 

La galleria 8 “New Vocabularies in Post-Independence Contexts” è dedicata all’arte astratta espressa attraverso la scrittura, in un ampio range di forme basate sull’uso delle lettere e dei simboli berberi. 

«È una tendenza nota come “littératie arabe libertaire”», spiega Karroum «l’appropriazione da parte degli artisti moderni dei simboli appartenenti alla scrittura iniziò negli anni Cinquanta e proseguì nel decennio successivo. Fu una scelta stilistica legata alla post colonizzazione: in quel periodo molti autori erano alla ricerca di un modo autentico di parlare delle diverse realtà dei loro paesi, cercando un modello di rottura rispetto al loro passato coloniale».


Ibrahim el-Salahi, Behind the Mask 1 (2010).


Saloua Raouda Choucair, Poem (1960).


Ahmed Nawar, Jabal Abu Ghneim (1979).

Tra le numerose opere pittoriche emerge Poem (1960), una scultura dell’artista libanese Saloua Raouda Choucair (Beirut 1916-2017). Donna cosmopolita, pioniera dell’arte moderna mediorientale, utilizzò media differenti, realizzando molti lavori, spesso astratti, in sinergia con le istanze culturali del suo tempo e i suoi personali interessi, quali la matematica, la calligrafia e le decorazioni classiche dell’arte islamica. 

«La scelta di lavorare con la scrittura è praticata ancora oggi da diversi autori», continua Karroum. Rachid Koraïchi o il graffitista eL Seed, facciamo notare. «Esattamente», conclude. 

Entriamo nella galleria 9, dove le opere esposte sono raccolte attorno al tema “Re-Invention of Materials”, dedicata a opere prodotte con materiali riciclati. 

«Sono diversi gli autori che pur utilizzando materiali riciclati operarono in un’ottica culturale lontana dal modello occidentale. Essi cercarono i materiali utili al loro lavoro, nei luoghi dove vivevano e diedero vita a una narrazione del loro tempo, disincantata e autentica». Tra questi troviamo Shakir Hassan Al Said (Samawah 1925 - Baghdad 2004), artista e intellettuale. Nel 1951 scrisse il Manifesto per il Baghdad Modern Art Group e nello stesso anno organizzò la prima mostra di autori moderni iracheni. 

La tela esposta, Title Unknown, non ha in realtà un titolo. Perché? «Numerose opere della collezione del museo sono acquisite direttamente dalle organizzazioni che gestiscono il patrimonio degli artisti di proprietà delle loro famiglie. Il nostro team curatoriale, per ogni singola opera conduce una ricerca per documentarla. Quando non trova riferimenti riguardo al titolo originale, mantiene la dicitura Title Unknown, come in questo caso», spiega Karroum. 

Con il direttore entriamo nella galleria 10. «Questa galleria, “Portraits of Changing Societies, Witnessing and Reading Histories”, testimonia come in epoca moderna numerosi artisti hanno rappresentato la società nel momento storico in cui stava cambiando. Una delle principali ragioni di questi cambia menti fu la scoperta del petrolio in tutta la regione mediorientale.


In epoca moderna numerosi artisti hanno rappresentato la società nel momento storico in cui stava cambiando


Abdulla Al Muharraqi, Oil Exploration (1953).

Fu una scoperta che rivoluzionò la vita delle persone. Uomini che fino ad allora erano stati pastori divennero operai, modificando completamente la loro esistenza». 

Data 1953 Oil Exploration, il dipinto firmato da Abdulla Al Muharraqi (Manama, Bahrein 1939). Poco distante incontriamo Al Zaim w Ta’mim Al Canal (Nasser and the Nationalization of the Canal), una tela di Hamed Owais (Beni Suef 1919 - Cairo 2011), fortemente realista, in cui è raffigurato il presidente egiziano Nasser nel momento in cui presentava il canale di Suez alla gente a seguito della nazionalizzazione (26 luglio 1956). 

L’ultima galleria, la 11, “Mathematics, Mosaics, and Universal Systems of Perception”, contiene opere astratte profondamente narrative che, ancora una volta, hanno come sfondo la storia dei differenti paesi espressa attraverso la personale esperienza degli artisti. Tra queste troviamo la scultura Jabal Abu Ghneim realizzata in resina chiarissima dall’egiziano Ahmed Nawar (Gharbiyah 1945). Un’opera che incarna la percezione assoluta dell’assenza e della perdita, che Nawar ha voluto dedicare ai territori palestinesi occupati di Jabal Abu Ghneim. A seguire vi sono le tele dell’artista turca Fahrelnissa Zeid (Büyükada 1901 - Amman 1991). «Alla fine degli anni Dieci, Zeid frequentò l’Accademia di belle arti di Istanbul. Nella sua vita viaggiò molto, i lavori esposti sono ispirati ai mosaici bizantini e fanno parte di una serie, di grandi dimensioni, che l’artista realizzò nel decennio Cinquanta-Sessanta», riferisce Karroum. E ancora le tele dell’artista di origini armene Gebran Tarazi (Damasco 1944 - Beirut 2010). Un occidentale vi potrebbe trovare una certa familiarità con l’Op Art, spieghiamo. «Questi lavori sono stati realizzati negli anni Novanta. Si tratta di un genere di astrazione minimalista ispirata ai decori armeni libanesi», riferisce il direttore. 

La visita alle gallerie è terminata, ma Karroum continua: «A volte usiamo le gallerie temporanee per ospitare un genere di mostre che chiamiamo “focus collection”. Sono mostre antologiche dedicate ad artisti presenti nella grande collezione del museo che possiede, tra le altre, più di duecento opere di Fahrelnissa Zeid e Dia Azzawi, più di cento lavori di Farid Belkahia e Youssef Ahmed. Decine di opere di Shirin Neshat, Mohamed Melehi, Inji Aflatoun e artisti contemporanei quali Sophia Al Maria, Mounira Al Solh, Walid Raad, Wael Shawky». La riflessione di Karroum ci lascia un po’ disorientati, ci sembrava di avere già visto molto gli facciamo notare. 

«Molto di quello che non è esposto lo si può vedere online. Sul nostro sito, inoltre, puoi trovare la sezione “Mathaf Encyclopedia” con le schede biografiche di ogni artista presente nella collezione, l’elenco delle opere acquisite e le date di acquisizione. Mathaf collabora con molti musei di tutto il mondo. In futuro auspichiamo di ampliare le nostre partnership internazionali con un maggior numero di istituzioni museali e culturali». 

Musei italiani? «Assolutamente sì», conclude Karroum.


Hamed Owais Al Zaim w Ta’mim Al Canal (Nasser and the Nationalization of the Canal) (1957).


Inji Efflatoun, Textile Worker (1971).

ART E DOSSIER N. 382
ART E DOSSIER N. 382
DICEMBRE 2020
In questo numero: ATTIVISMO, ARTE E SOCIETA': Intervista a William Kentridge. Banksy: l'artista invisibile. IN MOSTRA: Banksy a Roma, Enzo Mari a Milano, Cartier-Bresson a Venezia, Derain/Le Corbusier a Mendrisio, I Macchiaioli a Padova, Michelangelo a Genova.Direttore: Philippe Daverio