Fu una scoperta che rivoluzionò la vita delle persone. Uomini che fino ad allora erano stati pastori divennero operai, modificando completamente la loro esistenza».
Data 1953 Oil Exploration, il dipinto firmato da Abdulla Al Muharraqi (Manama, Bahrein 1939). Poco distante incontriamo Al Zaim w Ta’mim Al Canal (Nasser and the Nationalization of the Canal), una tela di Hamed Owais (Beni Suef 1919 - Cairo 2011), fortemente realista, in cui è raffigurato il presidente egiziano Nasser nel momento in cui presentava il canale di Suez alla gente a seguito della nazionalizzazione (26 luglio 1956).
L’ultima galleria, la 11, “Mathematics, Mosaics, and Universal Systems of Perception”, contiene opere astratte profondamente narrative che, ancora una volta, hanno come sfondo la storia dei differenti paesi espressa attraverso la personale esperienza degli artisti. Tra queste troviamo la scultura Jabal Abu Ghneim realizzata in resina chiarissima dall’egiziano Ahmed Nawar (Gharbiyah 1945). Un’opera che incarna la percezione assoluta dell’assenza e della perdita, che Nawar ha voluto dedicare ai territori palestinesi occupati di Jabal Abu Ghneim. A seguire vi sono le tele dell’artista turca Fahrelnissa Zeid (Büyükada 1901 - Amman 1991). «Alla fine degli anni Dieci, Zeid frequentò l’Accademia di belle arti di Istanbul. Nella sua vita viaggiò molto, i lavori esposti sono ispirati ai mosaici bizantini e fanno parte di una serie, di grandi dimensioni, che l’artista realizzò nel decennio Cinquanta-Sessanta», riferisce Karroum. E ancora le tele dell’artista di origini armene Gebran Tarazi (Damasco 1944 - Beirut 2010). Un occidentale vi potrebbe trovare una certa familiarità con l’Op Art, spieghiamo. «Questi lavori sono stati realizzati negli anni Novanta. Si tratta di un genere di astrazione minimalista ispirata ai decori armeni libanesi», riferisce il direttore.
La visita alle gallerie è terminata, ma Karroum continua: «A volte usiamo le gallerie temporanee per ospitare un genere di mostre che chiamiamo “focus collection”. Sono mostre antologiche dedicate ad artisti presenti nella grande collezione del museo che possiede, tra le altre, più di duecento opere di Fahrelnissa Zeid e Dia Azzawi, più di cento lavori di Farid Belkahia e Youssef Ahmed. Decine di opere di Shirin Neshat, Mohamed Melehi, Inji Aflatoun e artisti contemporanei quali Sophia Al Maria, Mounira Al Solh, Walid Raad, Wael Shawky». La riflessione di Karroum ci lascia un po’ disorientati, ci sembrava di avere già visto molto gli facciamo notare.
«Molto di quello che non è esposto lo si può vedere online. Sul nostro sito, inoltre, puoi trovare la sezione “Mathaf Encyclopedia” con le schede biografiche di ogni artista presente nella collezione, l’elenco delle opere acquisite e le date di acquisizione. Mathaf collabora con molti musei di tutto il mondo. In futuro auspichiamo di ampliare le nostre partnership internazionali con un maggior numero di istituzioni museali e culturali».
Musei italiani? «Assolutamente sì», conclude Karroum.