Il senso nascosto


l’umanista
illuminato

di Marco Bussagli

Quando si osserva quel capolavoro che Raffaello eseguì per Tommaso Inghirami, ritraendolo, affiora immancabilmente in noi l’ovvia riflessione sulla felice capacità dell’artista urbinate di dissimulare l’evidente difetto fisico - un vistoso strabismo - del grande umanista(1). Capacità che potremmo paragonare a quella di Piero della Francesca il quale, nei ritratti di Federico da Montefeltro, aveva evitato con altrettanta accuratezza di far vedere l’occhio offeso del duca di Urbino. Quando ho avuto la fortuna di avere fra le mani la splendida tavola dipinta dal Sanzio, che ritraeva Tommaso a quarant’anni ormai compiuti, per collocarla sulle pareti della mostra dedicata al Rinascimento a Roma (che ho curato un paio d’anni or sono insieme a Maria Grazia Bernardini), a furia di riflettere su quale potesse essere la posizione migliore, mi sono reso conto che il maestro marchigiano doveva aver pensato a qualche cosa di più rispetto a un semplice accorgimento d’immagine(2). Non è improbabile che la tavola sia stata realizzata per celebrare la nomina del grande umanista a prefetto della Biblioteca apostolica vaticana che resse dal 17 luglio 1510 fino al 5 settembre 1516, quando passò a miglior vita(3). Il che vorrebbe dire un festeggiamento del personaggio, come custode del più grande patrimonio di scienza e teologia della cultura religiosa romana. 


A cosa allude la posizione del Ritratto di Tommaso Inghirami dipinto da Rafaello?


Bisogna infatti ricordare che, in quegli anni, sotto il pontificato di Giulio II (che chiederà a lui di scrivere la propria orazione funebre, come veramente accadde) non c’era contraddizione fra la passione per la letteratura e l’arte dell’antichità classica e il credo cristiano. Le due realtà culturali s’intrecciavano e s’integravano a vicenda, sicché non c’era conflitto fra quegli aspetti della personalità di Tommaso Inghirami che l’avevano portato a interpretare una figura tragica come quella di Fedra (che gli valse il soprannome) nella tragedia di Seneca - messa in scena grazie alla “regia” di Giovanni Antonio Sulpizio, detto il Verolano - e l’Inghirami canonico di San Giovanni in Laterano(4). Così, se osserviamo il ritratto con attenzione, vediamo che la luce scende da sopra, come se entrasse da una finestra collocata in alto a sinistra (guardando il quadro) e, quindi, a destra del protagonista dell’opera, ossia dalla parte verso cui Inghirami volta il capo. Sulla scrivania intarsiata, Fedra ha il completo da scrittoio, il calamaio, un libro aperto che consulta al bisogno, ma, soprattutto, ha davanti a sé una risma di fogli bianchi su cui, prima o poi, si dovrà decidere a scrivere i suoi pensieri. Pensieri importanti, alti, aulici, come quelli che s’intrecciano in quel De morte Christi Domini Deique nostri deque eius tormentis (Sulla morte di Cristo Signore e Dio nostro e sui suoi tormenti), non troppo distanti dall’orazione d’identico argomento declamata al cospetto di Erasmo da Rotterdam nel 1509, oppure simili agli scritti che il nostro letterato dedicò, in forma di panegirico, a San Tommaso d’Aquino(5). Fedra (o Fedro, come lui stesso si chiamava usando il genere maschile) era così: da una parte si dedicava al teatro e alla messa in scena di testi latini, come il Poenulus di Plauto, rappresentato al Campidoglio, dove ebbe pure il ruolo di regista e, dall’altra, guardava alla teologia e alla fede, come fossero l’altra faccia della stessa medaglia. Allora, la posizione scelta da Raffaello, per il ritratto di Tommaso, serviva sì a mascherare il difetto fisico, ma come più di qualcuno ha sottolineato, si riferiva a quei modelli accreditati fin dall’epoca medievale che mostravano gli evangelisti, miniati sui codici multicolori, guardare verso l’alto in attesa di ricevere l’illuminazione. Gli esempi possono essere diversi: dal San Giovanni evangelista del Vangelo della Sainte-Chapelle, al San Marco del Vangelo di Fulda, fino all’Evangelista del codice di York, tutti realizzati entro l’XI secolo(6). In questi casi (che si potrebbero moltiplicare), la testa del personaggio miniato è rivolta verso l’alto, per ricevere il dettato divino, così come accade, per esempio, al San Giovanni a Patmos scolpito da Donatello nel medaglione del pennacchio della Sacrestia vecchia di San Lorenzo a Firenze, oppure, di nuovo, al San Giovanni, dipinto verso il 1540, nella cappella Marciac della chiesa di Trinità dei Monti a Roma, fino al celeberrimo San Matteo di Caravaggio nella cappella Contarelli(7). Allora, il senso nascosto del ritratto di Fedra Inghirami finisce per essere questo: testimoniare l’altissima qualità intellettuale di Tommaso ispirato da una luce, fra naturale e divino, che lo rende quasi evangelista.


Scuola tedesca (entro il secolo XI), San Marco, particolare, miniatura dal Vangelo di Fulda, Fulda (Germania), Landesbibliothek.


Raffaello, Ritratto di Tommaso Inghirami detto Fedra (1513 circa), Firenze, palazzo Pitti, Galleria palatina.

(1) Sulla tavola di palazzo Pitti: P. De Vecchi, Raffaello, Milano 2002, pp. 231-232.
(2) Il Rinascimento a Roma. Nel segno di Michelangelo e Raffaello, catalogo della mostra (Roma, Fondazione Roma Museo, palazzo Sciarra, 23 ottobre 2011 - 13 febbraio 2012), a cura di M.G. Bernardini, M. Bussagli, Milano 2011.
(3) S. Benedetti, s. v. Inghirami Tommaso, detto Fedra, in Dizionario biografico degli italiani, LXII, Roma 2004, pp. 125-148.
(4) S. Benedetti, op. cit., pp. 128-129.
(5) I. Inghirami, Notizie dei codici, degli autografi e delle stampe riguardanti le opere dell’umanista..., estratto in “Rassegna Volterrana”, XXI-XXII-XXIII, 1955, pp. 33-41. Si veda pure S. Benedetti, op. cit., p. 128.
(6) Sui codici appena citati: J. Grodecki, F. Mütherich, J. Taralon, F. Wormald, Le siècle de l’an mil, Parigi 1973; tr. it., Il secolo dell’anno mille, Milano 1981, pp. 132, 170 e 239. A considerare questa derivazione dall’iconografia degli evangelisti hanno pensato già P. De Vecchi (op. cit., p. 232) e P. Franzese (Raffaello, Milano 2008, p. 65).
(7) Sulla Sacrestia vecchia: L. Berti, A. Cecchi, N. Natali, Donatello, fascicolo monografico in “Art e Dossier”, n. 3, 1986, pp. 45-51. Sulla chiesa di Trinità dei Monti: G. Leone, Meridionali a Roma nel Rinascimento: di nuovo sulla cappella Turchi e la cappella Marciac nella chiesa della Santissima Trinità dei Monti, in Il Rinascimento a Roma, cit., p. 144. Sulla cappella Contarelli: F. Cappelletti, Caravaggio. Una vita somigliante, Milano 2009, pp. 100 sgg. Sulla tavola di Raffaello, si veda: C. L. Frommel, Scheda 33, in Il Rinascimento a Roma, cit., p. 277.

ART E DOSSIER N. 311
ART E DOSSIER N. 311
GIUGNO 2014
DIn questo numero: IL REALE IL FANTASTICO I bambini di Murillo, i ritratti di Moroni e i ''brutti'' sabaudi, le visioni di Dau al Set. IN MOSTRA: Italian Fashion, Soffici, Van Gogh, Michelangelo.Direttore: Philippe Daverio