InternI / esternILa pIttura dI genere

Un numero considerevole di dipinti olandesi del Seicento ha come soggetto momenti di vita quotidiana, in interno o in esterno:

riunioni di famiglia, scene di mercato, feste di paese, avventori di taverne, gruppi di musicanti, scene di bordello, attività domestiche, incontri galanti. Il rimando più immediato è alle feste paesane di Pieter Brueghel il Vecchio, ma anche in Italia, Spagna, Germania e Francia soggetti analoghi cominciano a essere diffusi a partire dalla fine del Cinquecento. In realtà l’attrattiva del dettaglio realistico era molto presente nella tradizione nordica già dal Tre-Quattrocento, basti pensare alle miniature di certi libri d’ore con scene di lavori dei campi, o alla cura dei particolari di un interno nella pittura di Jan van Eyck o di Robert Campin. 

In ogni caso è nell’Olanda secentesca che il genere conosce un’accelerazione mai vista prima. 

Va subito detto che quei dipinti - indiscutibilmente realistici - non sono “spaccati di realtà” nel senso in cui lo sono i reportages giornalistici o le indagini antropologiche. Le scene raffigurate non sono casuali, anzi ci troviamo di fronte a una ristretta casistica di soggetti; a selezionarli ha provveduto il mercato, e i pittori hanno volentieri creato delle situazioni paradigmatiche, convenzioni ripetitive cui attenersi. Si tratta in ogni caso di un genere - “il genere” per eccellenza - comunemente considerato inferiore alla pittura ispirata a vicende o personaggi religiosi, storici, mitologici o letterari. Il pittore e teorico Samuel van Hoogstraten - autore di nature morte, ritratti e scene di interni - nel suo Inleyding tot de hooge schoole der schilderkonst (Introduzione all’accademia della pittura, 1678) colloca questa categoria negli ultimi posti della scala gerarchica, poco sopra la natura morta e i paesaggi. 

Per comprendere le ragioni del loro successo è necessario chiedersi qual era lo scopo di simili raffigurazioni. Gli olandesi affidano alle opere d’arte una parte del compito di “rappresentarli”; in un contesto abitativo di strutture non troppo dissimili fra loro, in una società che (almeno per la prima metà del secolo) non vede di buon occhio esibizioni troppo appariscenti di benessere e veste quasi invariabilmente di nero, l’interno della casa è considerato come l’unico luogo in cui fornire sobrie indicazioni supplementari circa il proprio status, i propri gusti e le proprie aspirazioni. Ma la domanda cui è più difficile rispondere è: cosa vedevano in quei quadri?


Samuel van Hoogstraten, Interno (Le pantofole) (1670 circa); Parigi, Louvre.

Jan Vermeer, La merlettaia (1669-1671); Parigi, Louvre.


Jan Vermeer, Ragazza con orecchino di perla (1665-1667); L’Aja, Mauritshuis. La pittura di Vermeer può essere considerata “di genere” solo per esigenze di semplificazione. In realtà la pittura di interni o di figure intente a un’attività è la tipologia che prevale nei pochi titoli del suo catalogo, ma tra gli altri compaiono straordinari esempi di vedute urbane e raffigurazioni di volti come questo “tronie”: non un ritratto in senso stretto quanto tipizzazione di una figura insieme reale e astratta.

La rappresentazione della loro quotidianità li appagava ed esauriva le loro richieste nei confronti dell’arte? Faceva la differenza come la scritta “tratto da una storia vera” condiziona la fruizione da parte nostra, oggi, di un film o di un romanzo? 

Si è spesso sostenuto che le scene di genere nascondessero simbologie ben comprensibili in quel tempo e in quella cultura; l’interpretazione “emblematistica” ne rintraccia le chiavi di comprensione nella letteratura moralizzante molto diffusa in Olanda, per esempio nei testi di Jacob Cats, così come nei proverbi e nella pubblicistica popolare. Si tratta di scene cui è difficile applicare le categorie iconologiche panofskyane modellate sulla cultura italiana rinascimentale; lo stesso Erwin Panofsky parla di un significato simbolico «completamente assorbito dalla realtà»(8). Eddy de Jongh accoglie questa interpretazione e parla di «simbolismo nascosto» dietro sembianze realistiche(9)

Svetlana Alpers(10) connette la tendenza descrittiva e non-narrativa dell’arte olandese del Seicento all’approccio tendenzialmente “visivo”, empirico, che dominava in quella società. 

La questione non è risolta, in ogni caso pochi fra i testi teorici olandesi dell’epoca insistono sui simbolismi nascosti, mentre frequenti sono le considerazioni circa la capacità tecnica dei diversi artisti; se una competizione era in corso era sul terreno del virtuosismo, del talento mimeticoillusionistico, sulla capacità di fornire al pubblico uno specchio in cui guardarsi. 

Quel che è evidente è anche l’adesione empatica degli artisti ai soggetti, la partecipazione sentimentale, verrebbe da dire, ma anche ironica e divertita al mondo che li circonda. 

Possiamo collocare fra i pittori di interni anche l’artista che condivide con Rembrandt la condizione di grande outsider nella pittura olandese del tempo, Vermeer. 

Johannes (Jan) Vermeer (1632-1675) nasce a Delft in una famiglia protestante di condizione economica medio-bassa, di locandieri e mercanti di quadri. Non è chiaro se si sia formato in città con Leonaert Bramer o altri artisti locali, oppure a Utrecht. Certamente percorre l’iter previsto di sei anni di apprendistato che lo condurranno a entrare nella gilda di San Luca, la congregazione degli artisti e dei mercanti d’arte. Nell’aprile 1653 Jan sposa Catharina Bolnes, cattolica, discendente da una famiglia di magistrati e borgomastri. Le nozze trovano un’iniziale opposizione da parte della madre della sposa, Maria Thins; opposizione che si scioglie, probabilmente, con la conversione al cattolicesimo dello stesso Jan. Nel 1660 gli sposi si stabiliscono nella casa di Maria Thins.


Jan Vermeer, La lattaia (1658-1661); Amsterdam, Rijksmuseum.


Jan Vermeer, La stradina (1657-1661); Amsterdam, Rijksmuseum.

(8) Cfr. Van Eyck’s “Arnolfini” Portrait, in “Burlington Magazine”, n. 64, 1934, p. 127.
(9) In Zinne-en minnebeelden in de schilderkunst van de zeventiende eeuw, Amsterdam 1967, cit. in W. Franits, Dutch Seventeenth-Century Genre Painting, New Haven-Londra 2004, p. 4.
(10) In op. cit.

A Vermeer vengono attribuiti non più di trentacinque-trentotto quadri in circa ventidue anni di attività: meno di due l’anno. Forse Jan è troppo preso dall’attività di mercante di opere altrui, ma è probabile che fosse il suo modo di dipingere a essere lento e metodico: un quadro alla volta, una cura maniacale - più che dei particolari - delle luci, dei toni di colore. Vermeer sembra accettare di rado qualche committenza, non gli si conoscono allievi né tantomeno collaboratori. Una parsimonia di mezzi e di attività che si specchia nelle generalmente piccole dimensioni dei suoi quadri e nella limitata varietà dei soggetti. 

Le prime tre opere attribuibili a Jan Vermeer sono pitture “di storia”, una molto incerta Santa Prassede (1655), Diana e le ninfe (1653-1656 circa), anch’essa non universalmente assegnata a Vermeer, Cristo in casa di Marta e Maria (1654-1655 circa). Apparentemente, il pittore abbandona poi del tutto i soggetti religiosi; salvo un’eccezione, l’Allegoria della fede, di circa quindici anni più tarda. 

Il primo dipinto di Vermeer che rappresenta una scena di vita quotidiana - ambito che rimarrà costante a delimitare l’orizzonte dei suoi interessi pittorici e che giustifica il suo inserimento in questo capitolo - è La mezzana (1656). Una scena di interno in cui un uomo alletta una fanciulla con una moneta sotto lo sguardo attento di una donna anziana; a sinistra, guarda verso di noi con aria complice un altro uomo, con un bicchiere di vino in mano, probabilmente il pittore stesso. 

In Giovane donna assopita (1657 circa), una ragazza siede addormentata a una tavola, ricoperta da un tappeto, sulla quale compaiono un vassoio con della frutta, una brocca e un bicchiere di vino. Alle sue spalle appare una porzione di quadro, alla parete, raffigurante verosimilmente un Cupido con una maschera ai suoi piedi; la sua presenza allude a implicazioni sentimentali: in questo caso, forse - ma in Vermeer il messaggio morale è sempre appena accennato -, messe in pericolo dal vino, o dall’accidia. L’immagine di una giovane, di solito una serva, che trascura i propri doveri o mette a repentaglio la propria virtù a causa del vino o della pigrizia è frequente nella pittura di genere olandese (se ne trova un esempio in Nicolaes Maes, La serva pigra, 1655). 

Ciò che distingue Vermeer da Maes, Steen, de Hooch e dagli altri maestri della pittura di interni sono lo scarso interesse per l’aspetto aneddotico, per l’ammiccamento complice o per il compiacimento moralistico; e, dal punto di vista formale, il rilievo dato al protagonista del quadro, sempre di dimensioni più grandi rispetto a quelli che compaiono in scene analoghe di altri artisti.


Dirk Hals, Donna che strappa una lettera (1631); Mainz, Mittelrheinisches Landesmuseum.

Jan Miense Molenaer, L’olfatto (dalla serie dei Cinque sensi) (1637); L’Aja, Mauritshuis.


Adriaen Brouwer, Un compito spiacevole (1631); Dresda, Gemäldegalerie. I pittori di genere trattano con umorismo e disinvoltura temi che un artista italiano o francese del tempo non si sarebbe mai sognato di affrontare.

Donna che legge una lettera davanti alla finestra (1657-1659 circa) accoglie molti degli elementi e dei temi ricorrenti nella pittura di Vermeer: la finestra - sempre a sinistra, e qui aperta - come sola fonte di luce nell’ambiente; una donna assorta in un’occupazione qualunque, in un’atmosfera sospesa; un grande tappeto a ingombrare il primo piano; un piatto con della frutta. 

La lattaia (1658-1661) rappresenta un punto di svolta nella pittura di Vermeer. È il primo dipinto in cui appare con evidenza la scelta di una tecnica che sarà soltanto sua, una sorta di via mediana, alternativa sia alla pittura “fine” da cui era partito che alla “maniera ruvida” rembrandtiana. Vermeer opta per un approccio “tattile” al colore che aiuti la rappresentazione nella simulazione illusionistica del vero senza però rinunciare alla cura meticolosa dei dettagli. Nella Lattaia la protagonista è una solida donna del popolo, con le maniche rimboccate e intenta ai lavori domestici, bloccata nel suo gesto di versare latte da una brocca; non ritratto ma espressione di un concetto, quello della dignità delle occupazioni più quotidiane, fondamento della morale olandese. L’ambientazione è austera; sul tavolo pochi oggetti di uso comune e due simboli tradizionali della semplicità: il pane e il latte. L’attenzione e la cura dell’artista si sono concentrati soprattutto sulle gocce di latte che imperlano il bordo della brocca e sui tocchi di luce che increspano la superficie del pane; piccole pennellate volutamente irregolari, al servizio di una visione altrettanto volutamente confusa, con riflessi di luce distorti frutto forse dell’utilizzo di una camera oscura (strumento ottico che da tempo era diffusamente utilizzato dai pittori in tutta Europa) ma certamente essenziali all’orchestrazione degli effetti che Vermeer vuole mettere in scena: la rappresentazione dell’imperfezione, del dettaglio accidentale come garanzia della naturalità della visione. 

Insieme alla Veduta di Delft (che vedremo nel capitolo sul paesaggio), La stradina (1657-1661) è il solo dipinto di Vermeer giunto fino a noi che raffiguri un esterno. 

Una normale via di Delft, con due bambini che giocano, una donna che cuce sulla soglia di casa e un’altra che lava qualcosa in un mastello nel cortile di casa. Niente di più anonimo e al tempo stesso di più incantato, quasi un manifesto della “poetica del quotidiano” di Vermeer. 

Nel 1662 Vermeer viene nominato decano della gilda dei pittori di Delft. È all’apice della sua maturità artistica, ma la situazione economica non accenna a migliorare. La famiglia in qualche modo lo isola dai problemi ma il gran numero di figli (Jan e Catharina ne avranno quindici, dei quali undici ancora in vita alla morte del padre nel 1675) costringe i due giovani coniugi a debiti e sacrifici. In questi anni si rivela fondamentale, per Jan, l’aiuto concreto di un estimatore della sua pittura, Pieter van Ruijven, ricco borghese di Delft che acquista buona parte dei suoi quadri. 

Tra gli altri, Donna con bilancia (1662- 1665). In questo dipinto è centrale un elemento ricorrente nella pittura di Vermeer: la perla, emblema di semplicità e purezza. In uno dei quadri più “scuri” del pittore emergono infatti dal buio proprio alcuni fili di perle, posti su un tavolo in un portagioie. Questo dipinto, come Donna in blu che legge una lettera (1662-1665) e Donna con collana di perle (1662-1665), è una perfetta rappresentazione del mondo chiuso in se stesso cui Vermeer guarda con un’attenzione quasi esclusiva; un mondo prevalentemente femminile riservato, autonomo, a parte. 

L’Allegoria della pittura (1662-1668) è tra le opere di Vermeer più note. La scena si svolge nell’atelier del pittore, raffigurato di spalle mentre dipinge con una giacca scura a listelli già vista nella Mezzana; una modella coronata di alloro regge la tromba della Fama e il libro, attributo di Clio, musa della Storia; la grande carta geografica alla parete raffigura i Paesi Bassi nella loro integrità precedente la guerra con la Spagna; un ampio tendaggio si apre come un sipario e una sedia ingombra il primo piano. Il quadro - realizzato con una cura dei dettagli e dell’effetto complessivo perfino superiori al consueto - è certamente un orgoglioso omaggio a se stesso e alla pittura.

La Ragazza con orecchino di perla (1665- 1667) è il più noto dei quadri di Vermeer. Una fama conquistata con pochi elementi comunicativi: uno sguardo carico di fascino e mistero, la bocca socchiusa, le labbra umide, un atteggiamento naturale - quasi un’istantanea -, il lampo di luce della perla nel buio. In questo “tronie” si evidenzia la mancanza di ogni disegno preliminare sulla tela. Vermeer dipinge direttamente sul supporto; il profilo del naso è dato da una differenza di colore dell’incarnato rispetto a quello della guancia, il profilo destro emerge dal buio senza soluzione di continuità, anzi, è il buio che prosegue nel nero dell’occhio. 

Vermeer cancella ogni distinzione tra generi; dipingere un paesaggio, una strada, una scena di carattere religioso, un volto per lui è la stessa cosa; non contano neanche la penetrazione psicologica del personaggio o l’ammaestramento morale, ciò che conta è la pittura. Per la prima volta nell’arte europea la pittura è l’oggetto esclusivo della ricerca dell’artista, tutto il resto passa in secondo piano. 

Due dipinti a pendant costituiscono un’incursione di Vermeer nell’ambito scientifico: L’astronomo (1668) e Il geografo (1668-1669). Nel protagonista dei due quadri è ritratto probabilmente un personaggio reale, un uomo di scienza del tempo, Antoon van Leeuwenhoek, che potrebbe essere anche il committente delle due opere. 

Con La merlettaia (1669-1671) Vermeer torna a raffigurare una donna intenta alle sue occupazioni domestiche, emblema di dedizione, diligenza, affidabilità. 

Chiudono idealmente la produzione dell’artista quattro opere di tema “musicale”: La suonatrice di chitarra (1670-1672), Giovane donna al virginale (1670 circa); Donna in piedi al virginale (1670-1673) e Donna seduta al virginale (1670-1675). 

Intanto, nel 1672 una nuova guerra giunge a destabilizzare il fragile quanto redditizio equilibrio che gli operosi Paesi Bassi avevano conquistato. Il re di Francia, Luigi XIV, dichiara guerra all’Olanda. Ne segue una grave crisi economica, e il fino allora florido mercato dei quadri crolla.


Pieter Roestraten, La proposta (1665-1670 circa); Haarlem, Frans Hals Museum.


Judith Leyster, La proposta (1631); L’Aja, Mauritshuis.


Gerard ter Borch, Il soldato galante (1662-1663 circa); Parigi, Louvre.

Jan Vermeer muore improvvisamente nel dicembre 1675. Catharina resta sola con la madre e undici figli a carico. Una sua memoria dell’anno successivo racconta che Jan «per tutta la durata della lunga e rovinosa guerra con la Francia non riuscì a vendere, non solo la propria arte, ma neppure i quadri di altri maestri in cui era solito commerciare e che gli rimasero a carico con suo grave danno. In conseguenza di ciò, nonché del pesante onere rappresentato dai figli, e trovandosi del tutto sprovvisto di mezzi propri, era caduto in tale angoscia e prostrazione da passare in un sol giorno, un giorno e mezzo, dalla piena salute alla morte». Si colgono in queste poche parole la frenesia di quegli ultimi anni e il dramma di un uomo che probabilmente riproduceva nei suoi dipinti un isolamento - dal mondo, dalle sue angosce, dal suo frastuono - al quale invano aspirava. Vermeer viene sepolto nella Oude Kerk di Delft il 16 dicembre 1675. 

Tra gli altri protagonisti del genere, Dirk Hals (1591-1656) - fratello e allievo del più noto Frans, uno dei maggiori ritrattisti del secolo - dipinge feste in giardino, “allegre compagnie” (gruppi festosi di amici intenti a suonare, cantare, bere e mangiare) e interni. 

Il suo Donna che strappa una lettera (1631) introduce a un tema molto diffuso, una scena che si svolge in una stanza, con una donna e una lettera come protagonisti; lo ritroveremo altrove, come abbiamo visto in Vermeer, insieme alla luce che filtra da una finestra sulla sinistra e a un dipinto sulla parete con una nave nel mare in tempesta, allusione ricorrente alle pene d’amore. 

Adriaen Brouwer (1605-1638), nato e vissuto in terra di confine, è uno dei tramiti tra la tradizione e la cultura fiamminghe e quella olandese. È attivo nella vivacissima Haarlem, anch’egli allievo di Frans Hals. La sua specializzazione, se così possiamo dire, sono i contadini, i giocatori, gli ubriachi, i fumatori, le risse da taverna, soggetti tipici di Brueghel il Vecchio ma trattati nello stile di Hals. Le sue scelte tematiche tendono a livellarsi al gradino più basso e, come scrive un cronista del tempo, egli stesso «vive la vita che dipinge», eppure la sua notorietà fa sì che alcune sue opere finiscano nelle collezioni dei due principali artisti del periodo, Rubens e Rembrandt. 

Cavadenti, ciarlatani, contadini e barbieri hanno una tradizione nordeuropea che arriva fino a Bosch, ma nel Seicento olandese proliferano in modo considerevole. Ne troviamo, ancora a Haarlem, in Adriaen van Ostade (1610-1685) e in Jan Miense Molenaer (1610- 1668), che sceglie di dipingere scene paesane al momento di stabilirsi ad Amsterdam, per ragioni di mercato, ma che nel suo repertorio ha anche gruppi di musicisti e molte scene con bambini, altri veri protagonisti del genere; temi condivisi con la moglie Judith Leyster (1609-1660). Quest’ultima - tra le poche donne nel mondo maschile dei pittori, unica a figurare nella gilda degli artisti della sua città, ancora Haarlem - offre un punto di vista femminile a un soggetto diffusissimo, la scena di seduzione. Ne abbiamo un esempio nel bellissimo notturno a lume di candela intitolato La proposta (1631), in cui vediamo un’ombra di imbarazzo sul volto di una ragazza intenta a cucire e a cercare di ignorare la presenza di un insistente corteggiatore con tanto di monete nella mano. Basta confrontare la scena col dipinto dallo stesso titolo (1665-1670 circa) del suo concittadino Pieter Roestraten (1627-1700) per cogliere la differenza di impostazione. Qui la ragazza è un po’ alticcia e già cedevole; una scimmia, simbolo di impudenza, sbircia sotto la sua gonna e il corsetto è già slacciato. Da una finestra un vecchio si affaccia e ha un gesto ammonitore, ma anche qui il gioco è ambiguo: è un dipinto dal messaggio moraleggiante o una tela ammiccante e compiaciuta, giusto rivestita della foglia di fico del vegliardo per sfuggire a un’eventuale nota di biasimo?

Gerard ter Borch (1617-1681), figlio di un pittore, ha occasione di viaggiare in Italia, Francia, Spagna, Germania, Inghilterra, e negli anni Quaranta e Cinquanta usa la sua esperienza e padronanza della tecnica per innovare il genere. Lavora per una clientela di alto livello, perlopiù ad Amsterdam, Haarlem, Deventer (dove diventa borgomastro) e Delft, dove il suo nome compare in un documento del 1653 accanto a quello del giovane Vermeer. Dipinge scene di interni e ritratti, ma la sua principale capacità sta nella resa dei materiali. Le sue pennellate brevi e veloci di colori limpidi individuano con efficacia il raso di una gonna, la trasparenza di una coppa, la trama di un tappeto. È un mondo di case ben arredate, uomini e donne ben vestiti, dai modi sobriamente cerimoniosi, spesso intenti a scrivere, leggere o ricevere lettere; riesce a far aleggiare un certo senso del decoro anche nelle scene di bordello. 

Come stiamo vedendo, la pittura di genere esclude lo straordinario per l’ordinario, non mette in scena santi ed eroi per fare posto a uomini e donne che compiono azioni qualunque. L’antieroe più apprezzato nella cultura olandese del Seicento è la donna; intesa come incarnazione delle virtù domestiche, signora del luogo in cui meglio si custodisce la forza morale di un popolo, la casa. A questa considerazione - che non appare particolarmente innovativa rispetto alla tradizione occidentale - le leggi e le consuetudini dei Paesi Bassi associavano una particolare tutela sul piano legale e un ruolo sociale superiore a quello vigente nel resto d’Europa, anche nella gestione dei beni di famiglia. La pittura riflette questa condizione, e le tele si riempiono di madri, bambini, cuoche, cibo, stanze ben tenute e di strumenti per tenerle in ordine. In questo senso la pittura olandese può apparire farcita di allegorie; ma il gioco è come abbiamo visto al tempo stesso scoperto e nascosto. Una scena in cui la serva dorme, il gatto si mangia il pasticcio di carne e i bambini giocano pericolosamente è un evidente ammaestramento e un’implicita riprovazione di certi comportamenti; così pure un’allegra compagnia che si ubriaca in un bordello è manifestamente da catalogare tra le cose “sbagliate”. Eppure è evidente che il senso del quadro non si esaurisce nel suo messaggio morale, e qualche volta è chiaro che il piacere della raffigurazione ne contraddice gli intenti.


Jan Steen, Nella lussuria, fa’ attenzione (1663 circa); Vienna, Kunsthistorisches Museum. Il consueto, divertito campionario steeniano di comportamenti disdicevoli. Il sonno della padrona lascia al cane il pasticcio di carne, i bambini si lanciano in giochi pericolosi, un maiale grufola in un angolo, una scimmia (incarnazione di follia e sensualità) altera il tempo giocando con l’orologio, la ragazza al centro, un po’ su di giri per il vino, sorride ammiccante e tiene un calice – simbolo del sesso femminile, come le ostriche o la pipa – all’altezza del cavallo dei pantaloni del giovane che le siede accanto.


Jan Steen, Donna alla toeletta (1659-1660); Amsterdam, Rijksmuseum. Le calze rosse, il vaso da notte e il contesto ci dicono che la ragazza è una prostituta, ma quel che colpisce è il dettaglio realistico insistito, inessenziale alla descrizione ma significativo della maniacale attenzione olandese al reale: le gambe hanno entrambe, al di sopra del polpaccio, il segno evidente dell’elastico delle calze appena tolte. Cura del dettaglio cui non si sottrae neanche Rembrandt, che ci mostra Susanna nell’atto un po’ goffo di schermirsi, con un piede scompostamente sopra una ciabatta e ancora una volta il segno di una calza appena sfilata.

Rembrandt, Susanna (1636); L’Aja, Mauritshuis.


Jan Steen, La mangiatrice di ostriche (1658-1660); L’Aja, Mauritshuis. Sale, pepe, ostriche, un calice di vino... questo minuscolo dipinto (appena 14,5 cm per 20,5) accumula una serie di allusioni al sesso femminile e all’erotismo in genere, ma già lo sguardo della ragazza non lascia dubbi sul messaggio e sul contesto.

La pittura di Jan Steen (1626-1679), a questo proposito, è emblematica. Alcuni dei suoi dipinti rappresentano quanto di più chiassoso, ammiccante ed esuberante abbia prodotto la pittura olandese; tuttora, nei Paesi Bassi, di una situazione o un ambiente particolarmente caotico si dice che “sembra un quadro di Jan Steen”; un trionfo di ubriachi e prostitute, trattati con umorismo, curiosità e umana partecipazione. I suoi dipinti sono ricchi di rimandi simbolici che consentono una lettura “morale” della scena, un agile esercizio di decifrazione per i suoi contemporanei, capaci di leggere allusioni all’atto sessuale in una brocca rovesciata o nell’offerta di un calice. Spesso si tratta di trasposizioni di proverbi correnti. Ma è evidente che ciò a cui tiene davvero l’artista è l’accuratezza del risultato: una tavolozza dai colori caldi, un’assoluta padronanza della tecnica, l’ineccepibile costruzione prospettica degli ambienti. 

La donna è decisamente al centro della pittura di Gabriel Metsu (1629-1667), artista di successo, capace di padroneggiare con sicurezza i più elaborati effetti di luce o un effetto d’ombra sulle pieghe di un tessuto, e come tale graditissimo al pubblico esigente della principale città olandese, Amsterdam. Col mutare della clientela, cambiano i soggetti dei suoi quadri di genere, e dai mercatini di periferia passa a ritrarre le belle case del centro. Nelle sue figure femminili è rintracciabile una speciale partecipazione (Il bambino malato, Donna che legge una lettera), le sue donne intente a leggere o a suonare il virginale, come quelle di Vermeer (che dovette avere un influsso sulla sua pittura), sono immagini di assoluto equilibrio e armonia. 

Gli interni olandesi come oasi di pace, “enclave” femminili al riparo dalle vicissitudini esterne, sono tipici anche della pittura di Jacob Ochterveld (1634-1682), Jacobus Vrel (1630 circa - dopo il 1662), Nicolaes Maes (1634-1693), Pieter Elinga (1623-1682), Gerrit Dou (1613-1675). Quest’ultimo, allievo di Rembrandt, si distingue per i suoi quadri di piccole dimensioni e il virtuosismo da vero “fijnschilder”, per le scene notturne e gli interni accuratissimi. Alla sua scuola è da collegare anche Frans van Mieris (1635-1681), come il maestro capace di nascondere ogni traccia di pennellata dalla superficie delle sue tele. 

Da alcune di queste opere di genere emerge un’implicazione etica collegabile alla filosofia di Baruch Spinoza, massimo esponente del razionalismo olandese (ed europeo) del XVII secolo: il riconoscimento di un valore ai gesti più umili (e a qualunque oggetto, come vedremo nel capitolo sulla natura morta), alle occupazioni apparentemente più insignificanti; la possibilità di vedere bellezza e senso in ogni particella del creato. È una nuova idea di bellezza che si impone in un continente che fino allora aveva escluso decisamente certe scene dall’elenco dei soggetti pittorici possibili. 

Ci consente questa riflessione anche solo una superficiale analisi di alcuni quadri di Pieter de Hooch, a conclusione di questa breve carrellata sulla pittura di genere del periodo preso in esame. De Hooch (1629- 1684) lavora molto a Delft, il che spiega il legame evidente con la pittura di Vermeer e di Carel Fabritius. Nei suoi quadri si coglie il ritratto della borghesia olandese del tempo, ma è nell’intimismo delle scene domestiche che rivela il suo tratto più caratterizzante. 

Dipinti come Donna che allatta con bambina e cane (1658-1660) o Donna che sbuccia una mela (1663 circa) sono esemplari della sua attenzione per una dimensione quotidiana che prescinde dall’appartenenza sociale, fatta di azioni quotidiane elevate a paradigma comportamentale: belle e ordinarie al tempo stesso. Le sue tele sono luminose, con stanze aperte su altri ambienti e verso l’esterno, pervase di atmosfere radiose, popolate di bambini sorridenti e individui in uno stato perenne di quiete operosa: veri e propri manifesti della “dutch way of life”.


Gerrit Dou, Scuola di notte (1660-1665 circa); Amsterdam, Rijksmuseum. Un bel notturno a lume di candela che rivela nel soggetto (una delle piccole scuole diffuse per l’insegnamento delle basi della lettura e dell’aritmetica) l’importanza attribuita nelle Province Unite all’educazione e al mondo dell’infanzia, in un paese dove l’analfabetismo era pressoché inesistente.


Gabriel Metsu, Il bambino malato (1660-1665); Amsterdam, Rijksmuseum.


Pieter de Hooch, Interno con due donne presso l’armadio della biancheria (1663); Amsterdam, Rijksmuseum. Un elogio della pulizia e dell’ordine domestico, fondamento della concordia familiare e dell’etica della nazione.

PITTURA OLANDESE. IL SECOLO D'ORO
PITTURA OLANDESE. IL SECOLO D'ORO
Claudio Pescio
Un dossier dedicato al secolo d'oro della pittura olandese. In sommario: Un mondo a parte; Interni /esterni. La pittura di genere; “Le plat pays”. Marine, città, paesaggi; La natura morta; Il ritratto. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.