Un mondo a parte

Il “Secolo d’oro” olandese, il XVII, appare come un’irripetibile coincidenza di fattori politici, economici e culturali.

Tutto accade molto in fretta. Nel giro di pochi decenni - tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento - si assiste al fenomeno inusuale della nascita di una nazione e della sua contemporanea ascesa ai vertici mondiali nella navigazione, nei commerci, nella ricerca scientifica e tecnologica. Allo stesso tempo, in quel territorio, alcune città praticamente prive di radicate tradizioni di studi (la prima università viene fondata a Leida nel 1575, la successiva a Utrecht cinquant’anni dopo) diventano crocevia di filosofi, teologi, geografi e naturalisti, luogo di scambi e sperimentazioni teoriche. In quelle stesse cittadine fioriscono scuole pittoriche, gilde, botteghe, tendenze e generi inediti; soprattutto, una nazione intera sembra interessarsi alle arti figurative, e una nuova generazione di artisti volta le spalle al modo in cui si concepisce e si fa arte nel resto d’Europa per crearne uno proprio. Un momento eccezionale, paragonabile al Rinascimento per l’Italia o all’impressionismo per la Francia, come scrive Todorov(1), un periodo in cui, aggiunge, «anche pittori di talento mediocre dipingono capolavori». 

I Paesi Bassi del Nord (dei quali l’Olanda rappresenta la regione principale), a maggioranza calvinisti, si rendono autonomi dai Paesi Bassi del Sud - cattolici e governati dalla Spagna - di fatto nel 1581, dopo anni di rivolte e battaglie sotto la guida di Guglielmo d’Orange, detto il Taciturno. Si danno un assetto statale repubblicano guidato da uno “statolder”, capo di un governo nominato dagli Stati generali delle Sette Province Unite che costituiscono il paese. L’indipendenza del nuovo Stato viene riconosciuta nel 1648 con la pace di Münster. 

In questo XVII secolo “d’oro” una provvidenziale sintesi di tolleranza religiosa e opportunità economiche attira nei Paesi Bassi del Nord commercianti, artigiani, uomini di scienza, filosofi da ogni parte d’Europa, molti dei quali ebrei o protestanti in fuga da nazioni meno ospitali. Grazie alla costruzione di dighe e a una capillare canalizzazione del territorio sempre nuove terre vengono sottratte al mare, mentre la flotta olandese traccia nuove rotte commerciali in concorrenza con Inghilterra, Spagna, Francia e Portogallo. Come scriverà Diderot, «gli olandesi sono formiche umane: si spargono in tutti i paesi della Terra, raccolgono tutto ciò che trovano di raro, di utile, di prezioso, e lo portano nei loro magazzini. È in Olanda che il resto d’Europa va a cercare quanto gli manca. [...] Qui la ricchezza è senza vanità, la libertà senza insolenza, le imposte senza vessazioni né miseria»(2)

Gli olandesi del XVII secolo vivono nel costante tentativo di conciliare lusso e modestia, esibizionismo e pudore, ostentazione e sobrietà, egoismo e solidarietà, autorealizzazione e dovere civico. È quello che Simon Schama definisce «il disagio dell’abbondanza»(3). Una contraddizione che si inscrive nella dialettica calvinista tra peccato e redenzione. Nella particolare accezione olandese del protestantesimo (una variante umanistico-erasmiana, tollerante e non puritana)(4), il cittadino attinge alla certezza della grazia divina attraverso la realizzazione di sé, condizione essenziale della sua propria libertà. Un’ideologia che tende a cancellare, o almeno a mettere in secondo piano, le differenze di classe, che pure ci sono, in un miracoloso gioco di equilibrio che per più di un secolo riesce a proteggere da lacerazioni eccessive la vita della repubblica. Nelle Province Unite, caso unico in Europa, fra i pochi ricchi e i non troppi poveri staziona la borghesia più ampia, livellata e coesa del continente(5)

In questo contesto di particolare - e diffuso - benessere si sviluppa una produzione artistica indirizzata non più alla Chiesa (le autorità calviniste avversano le immagini religiose) o alla corte (molto ridimensionata nel suo potere) ma a quella che si va affermando come la nuova classe dirigente: la borghesia, appunto. Della situazione beneficiano soprattutto la pittura e, in misura minore, arti decorative, ceramica, tessuti, suppellettili, ambiti economicamente più accessibili a un pubblico vasto rispetto alla scultura e all’architettura. Il mercato chiede soprattutto quadri di piccole dimensioni, una forte aderenza alla rappresentazione della realtà (tendenza del resto già presente nella pittura fiamminga, e nei Paesi Bassi in generale, fin dal XV secolo), temi legati alla vita quotidiana, mentre diminuisce la richiesta di storie mitologiche o religiose; si diffonde invece la pittura di genere: pittori, botteghe e interi centri di produzione si specializzano in nature morte, paesaggi, fiori, ritratti, interni domestici o scene di taverna. 

Chi dipinge ha come riferimento non più un committente ma il mercato, con le sue oscillazioni del gusto che favoriscono ora un genere ora un altro, ma sempre all’interno di una generale inclinazione alla descrizione più che alla narrazione(6).


Carel Fabritius, Il cardellino (1654); L’Aja, Mauritshuis.


Pieter Codde, Amanti dell’arte nello studio di un pittore (1630 circa); Stoccarda, Staatsgalerie.

Jan Miense Molenaer, L’atelier dell’artista (1631); Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie.

Alcune parti di questa introduzione e del testo su Vermeer sono comparse nel dossier Vermeer, di chi scrive, allegato ad “Art e Dossier”, n. 282, ottobre 2012.
(1) S. Todorov, Eloge du quotidien, Parigi (1993) 2009, p. 143.
(2) D. Diderot, Voyage en Hollande, stesura 1772, pubblicato a Parigi nel 1818.
(3) Al tema è dedicato fin dal titolo il saggio di S. Shama, Il disagio dell’abbondanza. La cultura olandese dell’epoca d’oro, Milano 1988.
(4) Un’analisi del calvinismo olandese è in J. Huizinga, La civiltà olandese del Seicento, Torino (1967) 2008, pp. 46-61.
(5) Sul tema cfr. C. Pescio, Dentro e fuori dalla grazia di Dio, in “Art e Dossier”, n. 281, ottobre 2011.
(6) Sull’argomento rimandiamo a S. Alpers, Arte del descrivere. Scienza e pittura nel Seicento olandese, Torino 1984.

David Teniers il Giovane, La galleria dell’arciduca Leopoldo Guglielmo a Bruxelles (1651 circa); Vienna, Kunsthistorisches Museum.


Jan Steen, Lezione di disegno (1665 circa). Paesi Bassi spagnoli e Province Unite vedono entrambi il proliferare di botteghe e collezioni d’arte. Molti artisti olandesi del tempo, come Steen e Vermeer, sono cattolici in un mondo protestante; il fatto è spiegabile anche con l’avversione calvinista per le immagini, alla quale i cattolici erano estranei.

Due personalità emergono - per il livello straordinario della loro arte - nel folto gruppo dei pittori olandesi del Seicento: Rembrandt e Vermeer. Artisti diversissimi fra loro, tanto il primo è prolifico, estroverso, irruento, quanto il secondo è un appartato, introverso autore di pochi, perfetti dipinti (circa una quarantina, contro i trecento attribuiti con certezza al maestro di Leida, autore anche di duemila disegni). 

La “nuova” pittura olandese si sviluppa rapidamente a partire dalla fine del Cinquecento dalla tradizione tardomanierista radicatasi soprattutto nelle Fiandre. 

La proliferazione della pittura di genere - nel resto d’Europa ritenuta “inferiore” alla pittura religiosa o “di storia” - non cancella le vecchie gerarchie, semplicemente le scavalca. Nessun pittore olandese del Seicento pensa che dipingere contadini ubriachi stia sullo stesso piano del dipingere una scena biblica o il trionfo di un condottiero; semplicemente, conosce bene il pubblico a cui si rivolge e orienta la propria produzione in funzione dei suoi gusti. Tanto è vero che i soggetti tradizionali, finché e dove c’è mercato, continuano ad avere fortuna (Rembrandt e bottega ne produrranno sempre, lo stesso faranno Abraham Bloemaert, Pieter Lastman). Così come non tutti gli artisti taglieranno i ponti con la tradizione europea, in particolare con la pittura italiana, modello indiscusso di eleganza, prestigio e buona tecnica: la scuola dei caravaggisti di Utrecht (Gerrit van Honthorst, Hendrick ter Bruggen, Dirk van Baburen) ne è un esempio. 

Gusti e mode presentano variazioni da città a città, si susseguono frenetici alla rincorsa di un mercato in movimento; molti artisti passano con disinvoltura da un genere all’altro, altri si stabilizzano in una sola tipologia. Se è vero che lo scopo dichiarato di tutti i pittori del tempo, nei Paesi Bassi, è rappresentare la realtà nella maniera più illusionistica possibile, sul piano della tecnica le tendenze in gioco sono fondamentalmente due, caratterizzate da un differente approccio: quella dei “fijnschilders”, fautori di una pittura “fine”, nitida e levigata, e i pittori della “maniera ruvida”, costruita su grumosi tocchi di colore grezzo, superfici scabre, pennellate e spatolate decise. Tra questi ultimi anche Rembrandt, artista che in realtà era in grado di dominare entrambe le tecniche. 

Alla metà del XVII secolo il mercato è dominato dai pittori che lavorano sulla resa meticolosa dei particolari come Gerrit Dou, Gabriel Metsu, Gerard ter Borch, Frans van Mieris; veri prestigiatori del colore che hanno adocchiato una nicchia di mercato formidabile nei ricchi mercanti che mostrano di apprezzare quel genere. In particolare si vendono bene scene di interni borghesi di alto livello; i quadri di questa categoria spuntano i prezzi più alti, rispetto alle scene campestri, alle osterie o alle nature morte. 

Anche perché il prezzo di un dipinto è determinato spesso dalle ore-lavoro che comporta. Il prezzo medio di un quadro di semplice fattura va dai sei-sette ai cinquanta fiorini. 

Un “tronie” di Vermeer (non veri e propri ritratti ma una di quelle che in Italia vengono chiamate “teste di carattere”; lo è, per esempio, la Ragazza con orecchino di perla) può valere quarantacinque-cinquanta fiorini. Per avere un termine di paragone si deve pensare che in Olanda, al tempo, lo stipendio di un sarto o di un carpentiere è di un fiorino al giorno (l’equivalente di cinque chili di pane); un mantello costa trentasei fiorini, un letto matrimoniale sessanta. Per questa ragione molti artisti fanno anche un altro mestiere. Jan Steen e Gerard Houckgeest i birrai; Jan de Capelle il lavandaio; Meindert Hobbema a trent’anni diventa ispettore addetto ai controlli delle importazioni di vino e fa di quello il suo lavoro principale, pur continuando a dipingere paesaggi tra i più belli della pittura olandese; Ferdinand Bol e Albert Cuyp sposano ricche ereditiere e sostanzialmente smettono di sporcarsi le mani di colore; Judith Leyster (una delle poche pittrici), invece, sposa un collega e da quel momento cessa di avere una carriera propria per diventarne l’assistente. Alcuni, anche famosi - Rembrandt, Frans Hals, Jan van Goyen, Vermeer -, vanno incontro al tracollo economico. 

È un paese, l’Olanda, dove la ricchezza è diffusa e poco concentrata. Il livellamento calvinista impedisce che nascano regge nobiliari sul tipo di quelle che danno lavoro a schiere di artisti in Italia o in Francia, o in Inghilterra. 

Le abitazioni hanno dimensioni contenute, si trovano quasi tutte nei centri abitati, e si somigliano tutte fra loro. La differenza sociale si annida nei dettagli; tra questi, quadri più o meno raffinati. Ma ovunque vive una borghesia operosa che desidera specchiarsi in ciò che la circonda: tavole imbandite, domestiche al lavoro, bambini, madri, spose, ragazze che suonano o scrivono lettere, filano, cucinano, leggono. Così ai soggetti sacri o mitologici si sostituisce la realtà: paesaggi e marine, città e campagne, mercati e osterie. Gli uomini appaiono nelle loro professioni: medici, pubblici amministratori, insegnanti, mercanti, astronomi, pittori. Anche le scene di guerra appaiono singolarmente latitanti, in un paese che di guerre ne ha conosciute molte, in quei tempi; eppure i soldati nei dipinti olandesi fanno di tutto meno che combattere: dormono, bevono, corteggiano le ragazze. 

La pittura olandese del Seicento appare come una glorificazione della vita quotidiana, delle virtù e delle cose domestiche. Una scena può anche contenere ammaestramenti morali - del resto questo accade nella pubblicistica religiosa e nella letteratura popolare olandese, fondata spesso su massime e proverbi -, oggetti e situazioni possono avere anche funzioni simboliche o allegoriche, ma mai come nella pittura di questo tempo e di questo luogo si ha la sensazione di assistere a una momentanea, provvisoria, quasi incredula liberazione delle cose dalla necessità di essere qualcos’altro. 

Nei dipinti di Vermeer, Vrel, Ter Borch il messaggio del quadro, quel che comunicano i personaggi fra loro, appare spesso enigmatico. Come scrive Svetan Todorov, Ter Borch «vuole farci sognare» su ciò che vediamo, «ma non che possiamo risolvere l’enigma»(7)

Si ha la sensazione che quei pittori amino il mondo che rappresentano almeno quanto lo amano i destinatari dei loro quadri. Prima che un raggiungimento o una convinzione estetica è una conquista morale: la bellezza non è in un sistema codificato di forme definito da una tradizione ma è nelle cose stesse. 

Il pittore la cerca, la isola e la ripropone in un contesto artistico; è lui a decidere se un certo gesto, un certo oggetto avranno dignità pittorica. 

In queste poche pagine, nell’impossibilità di dare conto approfonditamente dell’enorme varietà della produzione del periodo, cercheremo di concentrare la nostra attenzione sulla nuova e singolare fortuna dei generi pittorici che più caratterizzano il Secolo d’oro olandese e la sua orgogliosa, sorprendente alterità rispetto al contesto europeo.


Gerrit van Honthorst, Il rinnegamento di Pietro (1618-1620); Rennes, Musée des Beaux-Arts.


Gérard de Lairesse, Apollo e Aurora (1671); New York, Metropolitan Museum. La tela compariva nel soffitto di una ricca abitazione di Amsterdam. È fra i non molti esempi di pittura decorativa di stile classico nell’Olanda del tempo.

(7) S. Todorov, op. cit., p. 98.

PITTURA OLANDESE. IL SECOLO D'ORO
PITTURA OLANDESE. IL SECOLO D'ORO
Claudio Pescio
Un dossier dedicato al secolo d'oro della pittura olandese. In sommario: Un mondo a parte; Interni /esterni. La pittura di genere; “Le plat pays”. Marine, città, paesaggi; La natura morta; Il ritratto. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.