Blow up


UNIFORM INTO THE WORK/
OUT OF THE WORK

di Giovanna Ferri

Nelle sale della Fondazione Mast a Bologna un ampio progetto espositivo documenta con oltre seicento scatti la varietà di abiti indossati da lavoratori in epoche e contesti diversi. A cura di Urs Stahel, Uniform into the Work/out of the Work (fino al 3 maggio, www.mast.org) propone un doppio percorso: La divisa da lavoro nelle immagini di 44 fotografi e Ritratti industriali, un racconto visivo monografico dedicato a Walead Beshty (1976), artista britannico, residente a Los Angeles.

Nel primo percorso, sviluppato attraverso gli scatti di autori storici come Irving Penn, Herb Ritts, August Sander, Walker Evans e contemporanei quali Song Chao, Paola Agosti, Hans Danuser, Helga Paris, Paolo Pellegrin, Sebastião Salgado, colpisce l’abilità con la quale ognuno è riuscito a trasmettere in modo limpido una sintesi delle condizioni di lavoro dei protagonisti raffigurati. Ponendo l’enfasi non solo sull’abbigliamento ma anche su un gesto, un movimento, un’espressione del volto, i fotografi, come nel caso di Clegg & Guttmann, offrono inquadrature inaspettate. È quanto ricaviamo soffermandoci su Group Portrait of the Executives of a Worldwide Company (1980), dove cinque dirigenti di una multinazionale sono immersi in uno sfondo scuro.

La luce è concentrata esclusivamente sui loro visi, sui colletti bianchi e sulle loro mani. Pochi elementi grazie ai quali lo sguardo dell’osservatore può cogliere informazioni utili per comprendere il tipo di funzione incarnata da ciascun soggetto rispetto al ruolo ricoperto nell’azienda. Riconoscibile la figura del direttore, vestito in modo più sobrio e informale rispetto agli altri ma con un’espressione sicura, autorevole e al contempo neutra. «Immagini», come affermato dal curatore, «che richiamano alla mente le rappresentazioni dei primi borghesi illuminati, consapevoli di sé e del proprio potere, nella pittura fiamminga del XVII secolo».

E ancora, le donne riprese nelle fabbriche da Paola Agosti che sembrano esprimere l’orgoglio di lavorare come operaie, indossando la tipica tuta blu; o le infermiere, con i camici bianchi e blu, in cerchio sulla scala del Roosevelt Hospital di New York, ritratte da Alfred Eisenstaedt, che danno l’idea di quanto una uniforme possa rappresentare, di per sé, un forte simbolo di appartenenza, sicurezza e condivisione di valori. Nello stesso tempoperò l’uniforme, se da una parte include, dall’altra eslcude chi non la indossa. Nell’etimologia del termine “divisa” (dal francese “diviser”), infatti, non a caso troviamo appunto la dimensione che indica separazione, distacco. L’uniforme, inoltre, come testimoniano sette grandi fotografie scattate da Rineke Dijkstra a un ragazzo, Olivier Silva - la prima quando è stato reclutato nella Legione straniera, le altre sei durante i tre anni di addestramento -, mostrano un progressivo indurimento nell’espressione facciale del giovane uomo. Effetto collaterale o effetto auspicato? Per noi è la prima ipotesi e non la seconda. Ma, nell’ambiente militare, il nostro pensiero non riceverebbe certamente un largo consenso.

Nel secondo percorso, composto da ben trecentosessantaquattro fotografie, Walead Beshty presenta un campione più che rappresentativo di persone con cui negli ultimi dieci anni circa è entrato in contatto per motivi di lavoro. Un campione che non vuole essere una celebrazione delle immagini ma una sorta di «archivio», così lo definisce Stahel, su come, a oggi, è strutturato il settore dell’arte. Troviamo così curatori, direttori, artisti, collezionisti, galleristi, consulenti ma anche operatori preposti all’allestimento di eventi e mostre, dei quali sono omessi nome e cognome ma indicati funzione, luogo e anno dello scatto.

Ciò che interessa Beshty, infatti, sono gli individui nei loro ambienti professionali. Niente e nessuno, a suo parere, ha valore fuori da un contesto o da un sistema. E allora in questo insieme visivo, che potrebbe essere definito come «una specie di ritratto di una specifica realtà industriale», quale importanza ha l’uniforme? Alcuna. Anzi, contro qualsiasi consuetudine di seguire comuni modi di vestire, ognuno tacitamente mette in pratica un codice dell’anti-uniforme. Anche se, forse, l’ostinazione di non voler apparire, a tutti i costi, come tutti gli altri, può rischiare, a sua volta, di diventare un comportamento forzato e stereotipato.


Paola Agosti, Giovane operaia in cantiere, Forlì, 1978.

Irving Penn, Macellai (1950).

IN BREVE:

Biennale della fotografia femminile
Mantova, dal 5 al 29 marzo
www.bffmantova.com
Yael Bartana. Cast Off,
Modena, Fmav - Fondazione Modena Arti visive, fino al 13 aprile
www.fmav.org

ART E DOSSIER N. 374
ART E DOSSIER N. 374
MARZO 2020
In questo numero: RISCOPERTE E RIFLESSIONI: Daverio: La luce di La Tour in un'Europa in guerra. Saffo nel Parnaso di Raffaello. La scultura performativa di Mary Vieira. . RESTAURI A FIRENZE: La Porta sud del battistero. IN MOSTRA: 3 Body Configutations a Bologna, Gio Ponti a Roma, Divisionismo a Novara, Tissot a Parigi, La Tour a Milano.Direttore: Philippe Daverio