Grandi mostre. 4 
L’arte italiana degli anni Venti a Genova

RITRATTO DI UN’EPOCA


Italia, anni Venti del Novecento: un decennio sconvolgente tra la tragedia della Grande guerra e la crisi economica mondiale, seguita, poi, dallo sviluppo dei regimi dittatoriali. E l’arte, in questo clima, che tipo di risposte ha fornito? Molteplici, dal senso di angoscia a quello di attesa, dal desiderio di fuga al rimpianto del passato.


Matteo Fochessati

Nel nostro immaginario collettivo gli anni Venti - rielaborati attraverso il filtro delle suggestioni culturali d’oltreoceano e l’inquadramento critico di alcune recenti esposizioni dedicate alle arti in Italia nel periodo tra le due guerre e, in particolare, al fenomeno déco - ci appaiono in genere come un decennio ruggente e sfavillante, attraversato da atmosfere glamour e da una diffusa celebrazione del lusso, dell’eleganza e dell’edonismo.
In realtà questa fase storica rappresentò per l’Italia un’epoca complessa e convulsa, improntata su una generale sensazione di inquietudine e incertezza. Stretto tra l’epilogo della sanguinosa ecatombe della Grande guerra e la crisi economica internazionale provocata nel 1929 dal crollo di Wall Street, questo decennio sembra inoltre scardinare i propri limiti cronologici, riflettendo o anticipando gli snodi più drammatici della storia della prima metà del Novecento. Se infatti le ripercussioni traumatiche del primo conflitto mondiale continuarono ad aleggiare nel corso di tutti gli anni Venti e alimentarono, inasprite dal mito dannunziano della “vittoria mutilata”, quel risentimento sociale su cui il regime fascista cementò il proprio sostegno popolare, il crollo del 1929 trascinò con sé le ultime salde fondamenta di un delicato equilibrio politico, dando così avvio, nell’esasperazione delle tensioni nazionalistiche, alla progressiva affermazione di regimi dittatoriali che condussero il mondo a un ancora più tragico conflitto.


Gino Severini, Maternità (1916), Cortona (Arezzo), Museo dell’Accademia etrusca e della città di Cortona.


Anche nell’ambito delle principali tendenze artistiche del tempo è possibile riscontrare una dilatazione dei fenomeni, come già attestato negli anni Dieci dalle significative e, apparentemente, contraddittorie anticipazioni del clima del “ritorno all’ordine” nel contesto dell’avanguardia futurista, dove peraltro il manifesto Ricostruzione futurista dell’universofirmato nel 1915 da Balla e Depero, ebbe un’incisiva influenza sui successivi sviluppi espressivi del movimento fondato da Marinetti; mentre, in opposta direzione temporale, le variegate espressioni linguistiche, condensate entro la generica definizione di “Novecento”, rimasero dominanti nel panorama italiano sino alla svolta estetica, culturale e politica scaturita dalla pubblicazione, nel dicembre del 1933, del Manifesto della pittura murale, firmato da Sironi, Funi, Carrà e Campigli.
Nell’impostare, dunque, il progetto della mostra Anni Venti in Italia. L’età dell’incertezza, insieme a Gianni Franzone, abbiamo provato a immaginare un taglio critico che, attraverso una mirata selezione di opere, mettesse in rilievo la complessità dei fattori storici, politici e culturali caratterizzanti questo intenso e tormentato decennio. Tale impostazione ci ha portato a scandire il percorso espositivo attraverso una serie di sezioni tematiche che, strutturate come capitoli di uno “storytelling”, offrissero un racconto del decennio aperto a più chiavi di lettura: una narrazione in cui le inquietudini e le ossessioni dell’epoca - la dominante sensazione di attesa, l’aspirazione a una fuga verso universi spirituali, irrazionali e onirici o la persistente nostalgia per il passato - trovassero una diretta corrispondenza col recupero artistico, in chiave moderna, di forme classiche e arcaiche.

Felice Casorati, studio per il Ritratto di Renato Gualino (1922-1923);

Ardengo Soffici, Millenovecentodiciannove (Il reduce) (1929-1930), Prato, Museo di Palazzo pretorio.

Nell’affrontare l’esegesi di questa «moderna classicità», per utilizzare la felice definizione coniata da Margherita Sarfatti, una tra le voci critiche più autorevoli e influenti del periodo, siamo stati accompagnati dalla lettura di testi poetici dell’epoca - Trucioli di Camillo Sbarbaro (1920), Canzoniere di Saba (1921) e Ossi di seppia di Eugenio Montale (1925) - e di alcuni, per noi significativi, romanzi come Con gli occhi chiusi di Federigo Tozzi (1919), Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello (1926) e Gli indifferenti di Alberto Moravia (1929); così come altrettanto suggestiva è stata l’eco delle pagine del recente romanzo di Antonio Scurati M. Il figlio del secolo (2019).
Il percorso espositivo che è andato quindi prendendo forma, grazie a questa complessiva lettura del periodo, integrata nel catalogo da interventi a tutto campo di Fabio Benzi, Andrea Cortellessa, Patrizia Dogliani, Teresa Bertilotti e Ferdinando Fasce, ha messo in evidenza una dominante rappresentazione di figure.
Di fronte a un mondo che appariva sempre più enigmatico e incomprensibile, la figura umana assunse infatti negli anni Venti una nuova centralità che in pittura e in scultura, attraverso la ripresa del principio rinascimentale della gerarchia dei soggetti, conferì al ritratto un posto di primo piano.
La mostra si apre così con una fitta galleria di volti che, con le loro peculiari espressioni fisiognomiche e i loro marcati caratteri identitari, riflettono una variegata rappresentazione della società dell’epoca. Trasponendo dal pensiero filosofico di Nietzsche il tema dell’«eterno ritorno» e condividendo in larga misura la determinazione operativa del Ritorno al mestiere, titolo di un fondamentale articolo pubblicato nel 1919 da de Chirico sulla rivista “Valori Plastici”, tutti questi ritratti sono accomunati da pose, inquadrature, abbigliamenti e manufatti che mescolano modernità e tradizione.


In tram (1923), Roma, Galleria nazionale di arte moderna e contemporanea.

L’impatto della crescente alienazione urbana, le suggestive e inquietanti visioni distopiche


Apre questa sequenza di dipinti Maternità di Gino Severini del 1916, opera chiave della cultura figurativa italiana del Novecento e tappa cruciale e precorritrice della svolta classicista che, di lì a poco, avrebbe improntato il generale clima del “ritorno all’ordine”.
Connotata, nell’indefinitezza dello spazio e nella sua estatica sospensione temporale, da una disciplinata sintesi compositiva tra i richiami ai primitivi toscani e una rigorosa costruzione geometrica dell’immagine di matrice cubista, quest’opera introduce alle diverse espressioni del tema dell’attesa, qui esemplificato - tra le altre opere di Sironi, Casorati, Donghi e Cagnaccio di San Pietro - dal grande dipinto In tram di Virgilio Guidi.
A seguire poi, attraverso le sculture di Baroni e Rambelli e i dipinti di Soffici, Viani e Potente, le ripercussioni determinate dal trauma della guerra e il disagio sociale del ritorno dei reduci e dei mutilati; quindi l’impatto della crescente alienazione urbana che oltre a un dipinto come Un caduto di Leonardo Dudreville - tangente per la sua cifra analitica ai modelli linguistici della Nuova oggettività tedesca - ispirò anche suggestive e inquietanti visioni distopiche.
E, ancora, le fughe nell’irrazionalità e le atmosfere di angoscia, incubo e mistero dei dipinti di Alberto Martini, Scipione e Gigiotti Zanini o l’aspirazione di evasione nel passato, ricorrente in maniera esplicita nei rimandi classici delle opere di Carena, Funi e Dudreville.
A documentare le emergenti trasformazioni della società e i nuovi atteggiamenti identitari, si prosegue dunque con la sezione dedicata al tema della maschera, della marionetta e dell’uomo meccanico e con quella relativa agli stereotipi e alle trasgressioni di genere.
La mostra si conclude infine con l’altra faccia del ventennio, rappresentata dal gusto déco e dalla sua precipua inclinazione - a esorcizzare il dolore e l’angoscia di un futuro incerto - verso il lusso, il glamour e l’edonismo, come testimoniato dai seducenti ritratti femminili di Balla, Oppi e Bucci.
Per il prologo e l’epilogo del nostro racconto espositivo ci siamo invece affidati a un unico interprete: Arturo Martini, di cui si propongono, all’ingresso, il bassorilievo La tempesta che, esposto alla Biennale di Venezia del 1926, rappresenta una coinvolgente allegoria della perigliosa navigazione di quei giorni di inquietudine, e in chiusura, nell’affascinante involucro affrescato della Cappella dogale, La pisana e La lupa ferita, vitali e distruttive incarnazioni di Eros e Thanatos e della controversa complessità dell’età dell’incertezza.


Ubaldo Oppi, I chirurghi (1926), Vicenza, Museo civico di palazzo Chiericati;


Leonardo Dudreville, Un caduto (1919), Milano, Museo del Novecento.


Ferruccio Ferrazzi, L’Idolo del prisma, (1925), Genova, Wolfsoniana - Palazzo ducale Fondazione per la cultura.

Anni Venti in Italia. L’età dell’incertezza

Genova, Palazzo ducale, Appartamento del doge
e Cappella dogale
a cura di Matteo Fochessati e Gianni Franzone
fino al 1° marzo
orario 10-19, lunedì chiuso
catalogo Sagep
www.palazzoducale.genova.it

ART E DOSSIER N. 373
ART E DOSSIER N. 373
FEBBRAIO 2020
In questo numero: ART BRUT, ORDINE E CAOS. L'editoriale di Philippe Daverio. La Biennale di Art Brut a Losanna. In volume L'opera omnia di Ligabue. L'ARCHITETTO UMANISTA. Il centenario di Leonardo Ricci. ANIMALI SAPIENTI. Parodia e satira nel Medioevo. IN MOSTRA: Steeve McQueen a Londra. Arte italiana a Mänttä. Anni Venti a Genova. Collezione Thannhauser a Milano. Natura in posa a Treviso.Direttore: Philippe Daverio