La pagina nera 


ROMA, QUEI
PALAZZI AVITI
SONO ORMAI
SOLO INIBITI


Un copione che si ripete, questa volta nella capitale, con tre edifici storici snaturati, decaduti, abbandonati. Stiamo parlando della ex Zecca, dello stabile del Servizio geologico, entrambi liberty, e dell’immobile rinascimentale voluto dal cardinale Nardini al centro di storie intricate dove soldi e trascuratezza hanno avuto la meglio rispetto a memoria e cultura.


di Fabio Isman

A Roma, per i palazzi famosi, è una mezza strage. Vuoti da decenni, magari “rinascono” con mire che guardano assai più ai quattrini che alla cultura. Vanno in vendita, e diventano centri residenziali.
Quanto c’era prima, tutto cancellato. Ci sono casi clamorosi. Cominciamo dalla Zecca. Nella capitale, la sede della monetazione ha origini remote. Sappiamo di cambiavalute nei Fori già dal IV secolo a.C. Nel III a.C. le fonti situano la Zecca sul Campidoglio, vicino al tempio di Giunone Moneta. Moneta di Fabio Isman significa ammonitrice (dal latino “monere”): da quel giorno, invece, vorrà dire ben altro. Poi lo stabilimento si trasferisce al Celio, finché Giulio II della Rovere, nel 1504, lo vuole più vicino al Vaticano: dall’altra parte del Tevere, in quello che è il palazzo del Banco di Santo Spirito. Bramante adatta un edificio che già c’era. Però, dura poco: dal 1541, la Zecca pontificia viene trasferita in Vaticano, e quel sito diventa la Zecca vecchia. Facciamola breve: dopo l’Unità d’Italia, l’officina si disloca all’Esquilino: nel 1911, la inaugura Vittorio Emanuele III, il “re numismatico”, per la produzione, la Scuola dell’arte della medaglia (l’unica struttura rimasta lì) e un museo. Tutto trasferito altrove, decenni di abbandono. Ora diverrà un “polo museale”, ma i lavori sull’immobile inizieranno solo tra due anni: speriamo.
Intanto, e da tempo, la monetazione aveva però cambiato un’altra volta casa: a piazza Verdi, va nell’elegante quartiere dei Parioli. Un immobile immenso, edificato da Garibaldi Burba tra il 1913 e il 1919 per la Corte dei conti, che però non lo gradisce.


La facciata fatiscente di palazzo Nardini (1475) in via del Governo Vecchio.

La vendita ai privati di palazzo Nardini, almeno quella, è annullata; ma adesso, che ne sarà?


L’Istituto poligrafico dello Stato, creato nel 1928, nel 1978 acquisisce la Zecca; nel 1982 inventerà le monete bimetalliche, di cui detiene ancora il brevetto. Ma dal 2010 cambia sede e possiede una nuova officina più in periferia: in via Tuscolana dal 1968, progetto di Pierluigi Nervi; e per le monete, dal 1999, un impianto nel quartiere Appio Latino, in via Capponi.
L’ex Zecca sembrava destinata al futuro di un albergo di lusso: duecento stanze, centosettanta appartamenti e uffici; come prima cosa, propedeutico alla nuova destinazione, ecco un parcheggio interrato per quattrocento veicoli. All’ultimo, però, non se ne fa più nulla: i cinesi, proprietari anche dell’Hôtel de Crillon di Parigi, in place de la Concorde, e pronti a sborsare (si dice) 250 milioni di euro, rinunciano.
Così, i diciassettemila metri quadrati su sette piani, esempio del Liberty romano, diverranno in parte spazi residenziali e commerciali, e, per un terzo, sede dell’Enel. Adriano La Regina, per decenni soprintendente nella capitale (ora presiede l’Istituto di archeologia e storia dell’arte), dice: «Avrebbe potuto ospitare un Museo della moneta, come a Parigi o a Madrid, sistemandovi anche la collezione di re Vittorio, la massima nella penisola, oggi assai trascurata nel Museo nazionale romano, quello d’archeologia».


L’interno totalmente abbandonato di palazzo Nardini;

Nella capitale, esiste(va) anche un altro palazzo insigne: quello del Servizio geologico, voluto da Quintino Sella e inaugurato da Umberto I, in largo di Santa Susanna: pieno centro. Nell’ex convento di Santa Maria della Vittoria, dal 1873 al 1881, lo realizza l’ingegnere Raffaele Canevari, con tecnologie innovative: riutilizza i muri del Seicento e, per il museo, crea sale sorrette da pilastri in ghisa, un ballatoio che sormonta il salone maggiore, urne, vetrine e scaffali. Tutto chiuso dal 1995. Poi nel 2010, durante i lavori di ristrutturazione, viene trovato nel sottosuolo un tempio del VI secolo a.C. Sentiamo ancora La Regina: «Dei musei geologici esistono a Londra, Parigi, Berlino, San Pietroburgo; ma questo è stato smantellato, e i materiali sono finiti in casse, privando così l’Italia di una gloria scientifica ». Come mai? Banale: per vendere l’immobile, nel quadro delle dismissioni dell’allora ministro Tremonti, era il 2004. Quindici anni più tardi, dopo infinite discussioni, si è deciso che sarà la sede del nuovo Fondo nazionale Innovazione, voluto dal ministro Di Maio. Però un altro bellissimo edificio liberty è stato svilito; quindicimila materiali di rilevante interesse paleontologico, mineralogico, petrografico, e numerosi plastici sono rimasti nelle cantine fino al 2012, poi sparpagliati in varie zone della città, e infine accumulati (e invisibili) all’Ispra - Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
A questi piccoli omicidi urbanistici se ne può aggiungere almeno un altro, non meno grave e anche più annoso: palazzo Nardini, in via del Governo Vecchio. Il nome della strada deriva proprio dalla funzione che l’edificio ha avuto per centotrent’anni, fino al 1755. È un raro esempio di architettura del Quattrocento, abitato da parecchi celebri porporati, sede della pretura e poi della Casa delle donne, da tempo in stato di terribile abbandono. Se ne era perfino iniziata la vendita (probabile destino, l’ennesimo hotel di lusso), però scongiurata in extremis dalla Soprintendenza; ma il suo futuro resta tenebroso. Ed è un vero peccato. Lo vuole, nel 1475, Stefano Nardini, cardinale e arcivescovo di Milano e poi governatore di Roma. Aveva già chiesto a papa Paolo II Barbo di acquistare una residenza sull’allora via Papalis, ma i proprietari non volevano cederla.
Impone la vendita il neoeletto Sisto IV della Rovere, e il cardinale spende trentamila ducati d’oro, una fortuna, nei lavori. Dona il tutto all’Ospedale lateranense del Santissimo Salvatore. Lo ricorda una targa marmorea sulla facciata di palazzo Nardini.
L’atto ne proibisce la vendita e con i proventi degli affitti obbliga a conservare il collegio nato con il palazzo e soppresso però nel 1760. Il portale era in via del Governo Vecchio «tra i più grandi, belli e ricchi del Rinascimento, per la purezza dei profili, il buon gusto e gli ornamenti», dice Paul Letarouilly, architetto e incisore francese (1795-1855), che illustra i tesori di Roma in un’opera celebre. Palazzo Nardini occupa un intero isolato, ventottomila metri quadrati: stanze, saloni, scale, gallerie; più volte rimaneggiato secondo gli inquilini e le destinazioni d’uso, e in modo sostanziale nell’Ottocento da Francesco Vespignani. Dal 1627 al 1755 era la sede del Governatorato di Roma, con gli uffici del tribunale, portati poi a palazzo Madama (già dei Medici: dove vivevano il cardinal del Monte e Caravaggio) insieme alla polizia e al fisco. E subito iniziano gli anni bui. Tutto è frazionato in appartamenti. Decade: lo mostra anche un acquerello di fine Ottocento di Ettore Roesler Franz. Vincolato dal 1954, era in vendita quando, a inizio 2019, la Soprintendenza aggiorna il vincolo.
La cessione dello stabile, che era stato pure sede della pretura, almeno quella, è annullata; ma adesso, che ne sarà? Tre casi soltanto, per celebrare la capitale d’Italia.
O dell’incuria?


Un dettaglio del palazzo dell’ex Zecca, in piazza Verdi, edificato da Garibladi Burba tra il 1913 e il 1919.

Una parte della facciata del palazzo del Servizio geologico (1873-1881) voluto da Quintino Sella e realizzato da Raffaele Canevari. Chiuso dal 1995, attualmente sottoposto a ristrutturazione, diverrà la sede del nuovo Fondo nazionale Innovazione.

ART E DOSSIER N. 373
ART E DOSSIER N. 373
FEBBRAIO 2020
In questo numero: ART BRUT, ORDINE E CAOS. L'editoriale di Philippe Daverio. La Biennale di Art Brut a Losanna. In volume L'opera omnia di Ligabue. L'ARCHITETTO UMANISTA. Il centenario di Leonardo Ricci. ANIMALI SAPIENTI. Parodia e satira nel Medioevo. IN MOSTRA: Steeve McQueen a Londra. Arte italiana a Mänttä. Anni Venti a Genova. Collezione Thannhauser a Milano. Natura in posa a Treviso.Direttore: Philippe Daverio