L'oggetto misterioso      


UNA FINESTRAAPERTA SUL VUOTO

di Gloria Fossi

Gioia di vivere o assenza? La finestra di Charlotte Salomon è tragedia intima, potente, emotiva, sullo sfondo dell’olocausto.
Illustra una delle ottocento tavole di un romanzo assoluto, Vita? O teatro?, oggi in mostra al Jewish Museum di Londra.

Una finestra aperta. Impercettibili variazioni cromatiche dal blu all’azzurro. Pennellate leggere, veloci. Qualche tocco di verde, ottenuto con i colori primari: gli unici, insieme al bianco, utilizzati per questa tempera che magnetizza. È un’immagine meditativa, quasi astratta, a parte due minuscoli dettagli realistici, degni di un fiammingo del Quattrocento: i gancetti per fermare le ante. Il parquet sottolinea la prospettiva irregolare, squinternata. Caillebotte, Matisse, Friedrich vengono in mente in ordine sparso. Soprattutto Matisse, con le sue aperture sulle palme di Tangeri, sul mare della Costa Azzurra. Qui, però, nessun ameno paesaggio a volo d’uccello, nessuna serena melodia marina. Niente palme. Solo le tegole scarlatte di una casa vicina spiccano dal cielo solcato da nuvole lievi, di quelle che passano veloci. Lo sguardo corre dal profilo del battiscopa alle fughe fra le doghe del parquet: linee bordeaux, come inquietanti rivoli di sangue. Il commento, scritto su una velina che in origine doveva sovrapporsi all’immagine dipinta, recita: «Ora lei non sta più qui. Ahimé, in un luogo diverso ora risiede». Cosa significa? Chi stava alla finestra? E perché adesso abita altrove? La gouache fu dipinta in Costa Azzurra da una giovane ebrea berlinese, Charlotte Salomon. Realizzò mille tavole in diciotto mesi, fra 1941 e 1942, in parte in una pensione di Jean-Cap-Ferrat, in parte a Nizza. Poi ne selezionò ottocento, per comporre un’opera d’arte totale: Leben? oder Theater? (Vita? O teatro?), ora conservata al Joods Historisch Museum di Amsterdam. L’edizione integrale è uscita in Italia da Castelvecchi (Vita? O teatro?, vedi recensione in “Art e Dossier”, n. 372, gennaio 2020, p. 83).
Duecento di quelle tavole sono esposte fino al 1° marzo al Jewish Museum di Londra. Qui, in una serata d’inverno, mentre fuori il vento rovescia gli ombrelli, passiamo da una tavola all’altra, con passo felpato. Le illustrazioni e i testi prendono un poco per volta, poi t’invadono. È un romanzo assoluto, un monumentale libro d’artista, mai rilegato, nel quale Charlotte ripercorre la sua vita. Era nata nel 1917, fu uccisa a Auschwitz nel 1943, incinta di cinque mesi. Nel Preludio, un antefatto del 1913: il suicidio della zia materna, diciottenne, dalla quale Charlotte avrebbe ereditato il nome.
I personaggi sono reali, ma i nomi in gran parte fittizi. Oggi vengono evocati, giustamente, l’espressionismo, i fauve, Friedrich, Chagall, Kandinskij. Noi aggiungeremmo Matisse ma anche Tiziano per alcuni triplici, inquietanti ritratti, come quello, frontale, della madre Franziska, ossessionata dal duplice volto di profilo della sorella suicida. Parenti, amici, tate, insegnanti di scuola e di disegno, il mondo di Charlotte anima lo spazio delle tempere in modo in apparenza caotico: diacronico, sincronico, dall’alto, dal basso, di lato, di sghimbescio, con tagli fotografici alla Degas, registri sovrapposti, serpentine, losanghe. Perfino fotogrammi, antesignani di un moderno “graphic novel”, come sempre si dice. Il commento è dipinto sul foglio oppure si legge in sovrimpressione, da un lucido di carta velina: un fiume ininterrotto di pensieri, citazioni, rime, allusioni a melodie, canti popolari, Bach, Schubert, Mozart, Bizet. I testi sono a fumetto, a epigrafe, molti i calligrammi. Oggi è semplice rivivere tutto questo in un unico momento, anche senza il dono della sinestesia. Charlotte concepì il suo lavoro come un “singspiel” (recita musicata e cantata); così in mostra, su un apparato multimediale, si ascoltano le melodie suggerite nelle tavole, riproposte anche nel sito web del Joods Historisch Museum di Amsterdam.
Talvolta lo scenario lugubre del nazismo si contrappone a episodi in cui la comunità ebraica berlinese tenta di salvaguardare la propria cultura. Esiste più di una chiave di lettura, e ci si sbaglierebbe, crediamo, a considerare Vita? O teatro? solo un’intensa testimonianza della barbarie nazista, anche se utile, in questi brutti tempi di rinnovato antisemitismo.

La finestra vuota. Le gouache qui riprodotte provengono dalla mostra Charlotte Salomon: Life? or Theatre? (Londra, Jewish Museum, fino al 1° marzo) e fanno parte della serie Leben? oder Theater? Ein Singspiel (1941-1942), conservata Joods Historisch Museum di Amsterdam.

Franziska Knarre, madre di Charlotte, ossessionata dal fantasma della sorella;

Mamma Franziska, nel lettone con Charlotte, le racconta la bellezza del Paradiso;

Scene dell’infanzia di Charlotte;

Charlotte davanti al mare inizia la sua opera “Leben oder Theater” (Vita o Teatro).

Vorremmo non sapere che Charlotte sarebbe morta ad Auschwitz.
Vorremmo non fosse mai accaduta una tragedia così grande, per lei e per milioni di altre persone. La prospettiva cambia, ma ci sforziamo di guardare queste immagini come le dipinse Charlotte, ignorando la sua fine, anche se forse la presagì o quantomeno la temette. Charlotte aveva voglia di vivere, forse anche fretta di vivere. E di dipingere. Nella villa L’Ermitage, a Villefranche-sur-Mer dove fu ospite, con i nonni materni, di una signora americana, Charlotte sorride, nella fotografia con un canovaccio a proteggere l’abito bianco, la tela poggiata fra le ginocchia e una sedia. Amava dipingere.
Aveva studiato all’Accademia di Berlino, ultima ebrea ammessa. Appassionata di letteratura, poesia, musica, le aveva coltivate grazie ai nonni materni, coi quali, dopo aver perso la madre, aveva visitato Roma, Venezia e altre città d’arte. In casa la musica non era mai mancata. Charlotte ricorda mamma Franziska al piano, mentre suona. La vediamo in una delle ottocento tavole con sei scene dell’infanzia su registri sovrapposti: la scuola, il compleanno, il Natale, i giochi invernali. Una bimba felice in una famiglia felice. Ma poi, qualcosa era cambiato. In un’altra tavola mamma Franziska abbraccia Charlotte nel lettone, e le dice quanto sarebbe bello se la mamma volasse in cielo come un angiolo.
In una figurazione che ci ricorda l’Apoteosi di Delacroix di Cézanne (1894 circa), Franziska sale effettivamente in cielo, per poi ridiscendere in veste di angelo, e lasciare alla finestra di Charlotte una lettera: gliel’ha promessa, per descriverle la vita meravigliosa da angelo. Ma poi, quando muore davvero, la piccola attende invano di notte, insonne, alla finestra. Infinite volte. Infinite finestre vuote. Qualcosa si è rotto per sempre.
Charlotte rivive l’assenza materna; il matrimonio del padre con una celebre cantante lirica, con cui ha un ambivalente rapporto d’ammirazione e malinconica gelosia; l’amore per la pittura e il disegno; l’avvento di Hitler. Quando si rifugia in Francia, inviata dal padre che così spera di salvarla, Charlotte vive un’altra tragedia familiare. Davanti ai suoi occhi la nonna si uccide, lanciandosi dalla finestra. Con cinico realismo descrive il piedino che si muove ancora, negli ultimi spasmi dopo la morte, e i rivoli di sangue. La nonna ultrasensibile si è uccisa, certo, per la disperazione di una realtà che per gli ebrei si fa sempre più tragica. Ma non è tutto, quel suicidio non è solo questo. Allora Charlotte saprà dal nonno, in una confessione aspra e insensibile, che nella famiglia della nonna materna il suicidio era stato una costante. Non solo la nonna, la zia, un prozio e altri familiari si erano uccisi, ma anche mamma Franziska.
Sì, proprio lei. Non era morta d’influenza, come Charlotte credeva. Si era gettata dalla finestra. Una finestra berlinese, dunque. Rievocata più volte nelle tempere dipinte in Costa Azzurra, e crediamo proprio prendendo a modello quella dalla pensione La Belle Aurore di Jean-Cap-Ferrat, che non esiste più ma rivive in una cartolina sbiadita dell’epoca. Camera 1, primo piano, finestra d’angolo. Proprio davanti, il tetto di una casetta più bassa. Charlotte amava la vita, e lo si vede nell’ultima illustrazione, che reca sulle sue spalle il titolo Leben oder Theater. Accoccolata a dipingere, guarda avanti, al mare. Così ci piace ricordarla.


Charlotte Salomon mentre dipinge nel giardino di villa l’Ermitage (Villefranche-sur-Mer, Nizza, 1939 circa), Amsterdam, Joods Historisch Museum.

Charlotte Salomon: Life? or Theatre?

Londra, Jewish Museum
fino al 1° marzo
orario 10-17, venerdì 10-14
www.jewishmuseum.org.uk

ART E DOSSIER N. 373
ART E DOSSIER N. 373
FEBBRAIO 2020
In questo numero: ART BRUT, ORDINE E CAOS. L'editoriale di Philippe Daverio. La Biennale di Art Brut a Losanna. In volume L'opera omnia di Ligabue. L'ARCHITETTO UMANISTA. Il centenario di Leonardo Ricci. ANIMALI SAPIENTI. Parodia e satira nel Medioevo. IN MOSTRA: Steeve McQueen a Londra. Arte italiana a Mänttä. Anni Venti a Genova. Collezione Thannhauser a Milano. Natura in posa a Treviso.Direttore: Philippe Daverio