Grandi mostre. 2 
Luc Tuymans a Venezia


SOTTO LA PELLE,
L’INDICIBILE


Protagonista di un’importante personale a palazzo Grassi, con i suoi dipinti Luc Tuymans ci spinge a riflettere sull’attualità e sulla storia, attraverso la rielaborazione di immagini tratte dall’imponente flusso della memoria visiva contemporanea.


Ilaria Ferraris

«Che cosa, dunque, vi ha ridotti così?» […] «La pelle», risposi a voce bassa
«la nostra pelle, questa maledetta pelle. […] Non c’è che la pelle che conta, ormai.
Di sicuro, di tangibile, d’innegabile, non c’è che la pelle.
La cosa più mortale che sia al mondo […] questa schifosa pelle».
Curzio Malaparte, La pelle, [1949] Milano 2010, pp. 132-133.

La mostra in corso a palazzo Grassi a Venezia, La pelle – dal titolo del romanzo del 1949 di Curzio Malaparte –, a cura di Caroline Bourgeois, è la prima personale di Luc Tuymans in Italia, con oltre ottanta opere, principalmente dipinti, dagli anni Ottanta a oggi, in un percorso di visita in ascesa sui tre piani del palazzo. La mostra è l’ottavo invito “carte blanche” da parte della Collezione Pinault a uno dei suoi artisti per realizzare una grande monografica.

Luc Tuymans, belga, classe 1958, è uno dei più importanti esponenti della pittura figurativa a livello mondiale ed è anche curatore di esposizioni. Tra le ultime, nel 2017 ha curato la mostra Intrigue, dedicata a James Ensor alla Royal Academy di Londra, mentre è dell’anno scorso Sanguine/Bloedrood, prima all’M HKA di Anversa per le celebrazioni del Barocco per l’anno di Rubens, poi alla Fondazione Prada a Milano.

Al centro della sua ricerca c’è una riflessione sulla storia – la politica passata e attuale, i fatti di cronaca pubblica e personale – attraverso la rielaborazione pittorica delle immagini che in enorme quantità pervadono la nostra quotidianità e il nostro immaginario.

«La pittura non ha a che vedere con la realtà, ma con la rappresentazione della realtà, una rappresentazione distanziata, sfalsata, diffratta»(1). Tuymans fin dagli inizi della sua carriera si è appassionato alle tecniche dell’immagine e per diversi anni si è dedicato esclusivamente alla fotografia. Come soggetti dei suoi dipinti riutilizza immagini trovate, in gran parte realizzate da altri, appunti, foto, cartoline; si appropria di fotografie da giornali, da libri, riprese da internet con la polaroid o lo smartphone, inquadrature da video che poi rifotografa, modifica, disegna e infine dipinge. La sua tavolozza è perlopiù fredda, le tonalità smorzate, le prospettive appiattite, la pennellata materica. I quadri, anche quelli di dimensioni importanti, sono rigorosamente tutti creati in un solo giorno, come le “giornate” dei frescanti, un limite temporale che diventa un elemento costitutivo dei quadri stessi.

(1) M. Donnadieu, Luc Tuymans. La pelle, guida alla mostra (Venezia, palazzo Grassi, 24 marzo 2019 - 6 gennaio 2020), Venezia 2019, scheda di Peaches, 2012, p. 24.

Il flusso visuale immateriale della memoria perde la sua valenza effimera


Nelle sue opere il flusso visuale sempre più immateriale della memoria collettiva e personale si cristallizza, perde la sua valenza effimera. Le immagini originarie, pur trasformandosi a volte fin quasi a diventare illeggibili, grazie alla pittura riacquistano persistenza, fisicità e nuovi significati. Con questa operazione di alterazione e montaggio della rappresentazione esteriore degli eventi, della loro “pelle”, Tuymans inchioda lo spettatore al confronto con gli episodi bui del passato e con le questioni irrisolte che agitano il presente e le persone che vi sono immerse, all’essenza dei fatti al di là dell’apparenza mutevole e ingannatrice delle raffigurazioni. Non cerca empatia, non richiede una risposta emotiva, ma una presa di coscienza della «verità della natura delle immagini come strumento di controllo»(2), la sua pittura è un invito a «diffidare sempre»(3).

Il titolo della mostra a palazzo Grassi, il richiamo al romanzo di Malaparte ambientato nella Napoli affamata alla fine della seconda guerra mondiale, non è una citazione puntuale ma un gioco di rimandi e allusioni, insieme al ricordo dell’atmosfera caotica in cui versava l’Europa del tempo, secondo Tuymans analoga a quella attuale.

La mostra si apre nell’atrio del piano terra con un’opera “site-specific”, un grande mosaico pavimentale in marmo, Schwarzheide, ripreso dall’omonimo dipinto del 1986, che rappresenta le sagome scure di alcuni alberi e piante, giustapposte su fondo neutro, una sorta di paesaggio suddiviso da righe verticali.


Schwarzheide (2019).

(2) J. Earnest, Crimini di insensibilità: materialità e realtà delle immagini, in Luc Tuymans. La pelle, catalogo della mostra (Venezia, palazzo Grassi, 24 marzo 2019 - 6 gennaio 2020), Venezia 2019, p. 29.

(3) M. Donnadieu, Luc Tuymans, la pelle, la fotografia, in Luc Tuymans, op. cit., p. 107.

La spiegazione del lungo percorso compiuto dalle immagini, che passa attraverso un titolo eloquente o un testo di accompagnamento, è per Tuymans un momento fondamentale del rapporto tra l’artista e lo spettatore(4). Come racconta quindi la scheda nel booklet fornito ai visitatori (l’artista detesta i testi esplicativi applicati sui muri), il titolo dell’opera deriva dal nome di un campo di lavori forzati sotto il nazismo, raffigurato dai detenuti su strisce di carta – simboleggiate dalle righe sull’immagine, allusione anche alle righe sulle uniformi dei prigionieri dei lager – occultate per sfuggire alla confisca. Il mosaico, un quadrato dal lato di quasi dieci metri, confondendosi con la pavimentazione dell’atrio, di cui riprende i materiali, si dissolve quasi allo sguardo. Si riesce a coglierne l’interezza solo da un punto di vista diverso: dalle balaustre che dal primo piano si affacciano sull’atrio, per esempio, o dall’ammezzato delle scale, dove si trova Secrets (1990), un ritratto di Albert Speer, architetto capo del partito nazista. Nei diari pubblicati dopo la guerra Speer negò sempre un coinvolgimento diretto con la “soluzione finale”. Mentre dalle scale il visitatore osserva l’immagine sottostante del lager, nel ritratto il suo volto dipinto ha gli occhi chiusi.

Le atrocità del nazismo, ricorrenti nell’opera di Tuymans, riaffiorano anche dalla banalità delle cartoline che venivano spedite dal campo di transito “modello” di Theresienstadt, costruito per ingannare i media stranieri, riprodotte dall’artista in Our New Quarters, sempre del 1986, un’immagine ambigua, solo apparentemente tranquillizzante, così come quella della lampada nel trittico Recherches, 1989, tratta da una foto del mobile di un ufficiale nazista nel campo di concentramento di Buchenwald con un paralume di pelle umana.

La mistificazione dell’apparenza, ci dice Tuymans, è sempre in agguato: nei suoi quadri, paesaggi e architetture si rivelano fittizi, fogli di alluminio o di carta piegati e un po’ di terra (Mountains, 2016; The Hut, 1998), cattedrali e monumenti sono in realtà solo pagine spiegazzate di un libro illustrato (The Book, 2007). Il risultato di questa sistematica messa in discussione è un persistente senso di inquietudine, «non siamo più certi di ciò che vediamo, e neppure se vi sia qualcosa da vedere»(5).

(4) Da Luc Tuymans, Londra 1996, 2° ed. riv. 2003, p. 112, citato in Luc Tuymans, op. cit., p. 16.

(5) P. Falguières, Prima dell’immagine, in Luc Tuymans, op. cit., p. 187.

Il soggetto rappresentato non si può disgiungere dalla sua storia

Il volto di Issei Sagawa (2012), studente giapponese che nel 1981 ha assassinato e cannibalizzato una compagna di studi, ripreso da Tuymans fotografando un “frame” di un documentario, è sfocato, dipinto frettolosamente, non ha bocca: è lo sguardo dello spettatore che durante il confronto “fisico” con il dipinto coglie la vera natura di ciò che guarda, in apparenza neutrale, inoffensivo; sono le sue sovrastrutture (la conoscenza della storia, la memoria personale) che restituiscono i contorni, il senso, mettono a fuoco. Ed è per questo che vengono sempre fornite le “istruzioni” per interpretare il dipinto: in The Shore, 2014, emergono dallo sfondo nero alcune figure umane, che si indovinano su una battigia (“shore”): è la rielaborazione della sequenza iniziale del film Twist of Sand del 1968, di Don Chaffey, la resa dell’equipaggio di un sommergibile tedesco. Nelle scene successive i marinai verranno massacrati: la consapevolezza del loro destino, raccontato nella scheda della guida alla mostra, modifica lo sguardo dello spettatore. Il soggetto rappresentato non si può disgiungere dalla sua storia.


Issei Sagawa (2012).

L’immagine sottratta all’astrazione del digitale, riproiettata nella fisicità del dipinto, può anche diventare un’esortazione a resistere alle contraddizioni e ai traumi del flusso degli eventi: Untitled (Still Life) (2002), una classica natura morta con frutta e una brocca d’acqua, dal formato monumentale (347,8 x 502,5 cm), è stata dipinta da Tuymans in risposta agli attentati dell’11 settembre 2001. Un ribaltamento del concetto di “vanitas”: il titolo Still Life in inglese rimanda alla “vita” (“life”) che è “ferma” (“still”), ma c’è “ancora” (“still”), resiste, nonostante tutto.

Ma la realtà per immagini con cui è necessario confrontarsi non è solo quella collettiva, è anche quella personale. In alcuni dipinti in mostra il pittore volge lo sguardo su di sé, sul proprio corpo; My Leg e Me, del 2011, sono entrambi ricavati da fotografie. My Leg, la veduta in soggettiva di una parte della gamba dell’artista, sembra quasi scattata per errore, l’inquadratura eccessivamente ravvicinata restituisce una sensazione di straniamento e di paradossale distanza; Me è un autoritratto con gli occhiali, riflessi luminosi che nascondono gli occhi dell’artista rendendolo sfuggente.

Il tema degli occhiali ricorre nella produzione di Tuymans, così come il tema dello sguardo degli altri, visto come controllo sociale insistente, indagatore. Gli occhi dei piccioni raffigurati in Pigeons, 2018, enormemente ingranditi, ci sorvegliano come presenze familiari eppure aliene. Le immagini ravvicinate di malattie della serie Der diagnostische Blick (Diagnostica a prima vista), 1992, tratte da un libro di medicina, oppure Bloodstains del 1993, frugano dentro il corpo umano, spingendo lo spettatore a soffermarsi sulle proprie imperfezioni e, in ultima istanza, a riflettere sul tempo che lo separa dalla morte. Sotto la pelle, oltre la pelle, forse c’è proprio questo, la presa di coscienza di un destino che passa attraverso un momento di verità e di paura, come in Twenty Seventeen, 2017, immagine della mostra, ispirata a una serie televisiva brasiliana distopica, 3%, in cui i partecipanti di un gioco a premi mettono in palio la propria vita per un futuro di ricchezza. La donna del dipinto ha appena scoperto di essere condannata, intravede l’annientamento. E noi, «confinati in superficie»(6), che cosa vediamo? Qual è la verità dietro l’immagine? A volte resta solo l’indicibile oltre la pelle traslucida delle cose e della storia.


My Leg (2011).

(6) Ivi., p. 189.

In breve:

Luc Tuymans. La pelle
Venezia, palazzo Grassi
a cura di Caroline Bourgeois
fino al 6 gennaio 2020
orario 10-19, chiuso martedì


catalogo Marsilio
www.palazzograssi.it

ART E DOSSIER N. 367
ART E DOSSIER N. 367
LUGLIO-AGOSTO 2019
 In questo numero: Donne oltre l'ostacolo; I magi al femminile; Dulle Griet all'assalto dell'inferno; La divina Franca Florio; Le strategie esistenziali di Berthe Morisot; Varda/JR: la regista e lo street artist. In mostra: Eliasson a Londra; Tuymans a Venezia; Dalí a Montecarlo; Ex Africa a Bologna. Direttore: Philippe Daverio