La mostra si apre sul mare. Ci accolgono i paesaggi di Cadaqués, piccolo villaggio balneare in Costa Brava, dove il padre del pittore Dalí, Salvador Dalí Cusí, avvocato di successo, aveva una bella casa per le vacanze. L’artista (nato a Figueres l’11 maggio 1904) ci ha lasciato ritratti commoventi di questo genitore autoritario che gli causerà dolorose crisi di identità.
I primi quadri di Cadaqués rivelano uno stile impressionista. Sono luminosi, hanno una dolcezza mediterranea, tutto è colore, nuvole rosa e rosso vermiglio, dalla pianura dell’Ampurdán al mare, alle scogliere ocra di Cap de Creus, alle ombre inquietanti dedicate al ricordo del fratello (morto di grastroenterite a nemmeno due anni), una tragedia che lo tormenterà per tutta la vita. Salvador amava il suo paese, che rimase sempre il suo buen retiro. Cadaqués vista da dietro del 1921 è soltanto uno dei pensieri d’amore che l’artista dedicò al suo nido in Catalogna. La rassegna Dalí, une histoire de la peinture che apre al Grimaldi Forum di Monaco il 6 luglio e prosegue fino all’8 settembre parte dagli esordi per raccontarci l’intero percorso dell’artista spagnolo, con dipinti, disegni e fotografie risalenti agli anni fecondi tra il 1910 e il 1983. Il periodo impressionista durò poco, Dalí passò in fretta ad altre avanguardie, si appassionò al cubismo, sedotto in particolare da Picasso e da Juan Gris. Si interessò anche alla pittura metafisica e così pure all’astrattismo: Quattro mogli di pescatori a Cadaqués (1928 circa) è un’opera emblematica.
L’onnivora curiosità lo porta poi, nel 1929, al surrealismo, di cui diventerà uno degli esponenti più rappresentativi. La totale adesione al movimento proseguì tuttavia per una decina di anni. La grande libertà creativa concessa al gruppo di artisti, guidati da André Breton, lo indurrà alla trasgressione, a esternare paure e desideri repressi arrivando al limite della blasfemia. Eppure sono queste opere “forti” che affascinano i suoi ammiratori, che restano a bocca aperta davanti a quadri enigmatici, dominati da un senso ripugnante di morte, come succede con uno dei suoi capolavori Lo spettro del sex-appeal del 1934, presente in mostra. è a questo punto che Dalí elabora il metodo paranoico-critico di cui parla diffusamente nel saggio L’asino putrefatto, pubblicato nel 1930. Inventa le immagini sdoppiate, le maschere che nascondono il reale, gioca pericolosamente sull’ambiguità visiva. Assume il ruolo di storico dell’arte, cerca conferme scientifiche, si esalta in una paranoia delirante. Al punto che il movimento lo espelle dal gruppo giudicandolo eccessivamente eccentrico se non addirittura affetto da turbe psichiche.