Luoghi da conoscere
Etiopia: da Aksum a Lalibela

LE CHIESE
NELLA ROCCIA

Se vogliamo scoprire le origini della cultura etiope dobbiamo partire dal Nord del paese, visitare Aksum, celebre per gli obelischi in granito, per poi proseguire verso Lalibela, nota soprattutto per i suoi complessi religiosi. Città affascinanti dove le tradizioni trovano un punto di incontro nella fusione di storia, leggenda e devozione.


Sergio Rinaldi Tufi

Gli antefatti sono importanti: tre-quattro milioni di anni fa Lucy, o Australopithecus afarensis, il celebre ominide più antico del mondo; in una preistoria meno remota, begli esempi di arte rupestre sia a Nord (regione di Aksum nel Tigrè) sia a Sud (valle del fiume Omo). Ancor più recentemente la prima realtà “statale” dell’Etiopia è il regno di Aksum: si forma fin dal IV secolo a.C., ma fondamentale è la figura del re Ezana (320-342 d.C.), convertito al cristianesimo da predicatori siriani. È l’origine della chiesa etiopica, ortodossa monofisita (le due nature del Cristo, divina e umana, sono fuse in una sola), influenzata anche dai copti del vicino Egitto. Ad Aksum, si dice, si conserva, nella chiesa di Maryam Sion, l’Arca dell’alleanza: secondo una narrazione locale dedicata alla vicenda di Salomone e della regina di Saba, quest’ultima, qui chiamata Macheda, era etiope e non araba; dalla loro relazione nacque Menelik, che ebbe in dono dal padre la preziosa teca, regalata a sua volta da lui ai re aksumiti. Nella stessa Aksum, la “vox populi” attribuisce alla regina i resti di un vasto palazzo probabilmente appartenente, invece, alla dinastia locale: un poderoso podio con muratura a riseghe più volte ricostruito tra I e VII secolo.

Sono celebri le stele, o meglio gli obelischi in granito che svettano nella necropoli regale. Quello attribuito allo stesso Ezana è alto ventiquattro metri; ben noto è pure quello che era stato portato a Roma durante la guerra coloniale del 1935-1936, restituito nel 2005 e ora rimesso al suo posto in un grande parco archeologico. Questi monumenti riproducono, estremamente sviluppati in altezza, elementi dell’architettura residenziale. Sono visibili travi orizzontali, e anche porte, finestre e finestrelle, che negli edifici “veri” sono fissate mediante travicelli lignei infilati perpendicolarmente in corrispondenza dei quattro angoli, emergendo in facciata con tipiche sporgenze dette “teste di scimmia”: la riproduzione è accuratissima.

Le fortune di Aksum dipendevano dal commercio di avorio, resine aromatiche, ebano, oro, favorito dalla vicinanza con il porto di Adulis sul mar Rosso. Questo, intorno al 640, viene distrutto dai pirati: comincia una decadenza via via più grave, che coincide anche con l’arrivo di elementi arabi (provenienti dal golfo di Aden) e con la nascita di principati islamici. Attraverso vicende peraltro non ben ricostruibili, però, nasce più a sud la città di Roha.


In questi edifici, collegati fra loro in modi assai complessi, compaiono finestre in stile aksumita


In questi edifici, collegati fra loro in modi assai complessi, compaiono finestre in stile aksumitaIntorno al 1000 la dinastia degli Zaguè, re-soldati, riafferma la presenza cristiana. Il re Gebre Mesqel Lalibela (1181-1221) dà il suo nome a Roha e secondo la tradizione fa costruire con l’aiuto degli angeli undici chiese rupestri, ricavandole da una grossa collina basaltica presso il torrente Giordano: è una “nuova Gerusalemme” (quella “storica” è in mano agli infedeli). Si pensava (potenza delle leggende) che davvero il complesso fosse stato costruito tutto insieme: ne erano convinti anche Alessandro Monti della Corte e Lino Bianchi Barriviera, che nel periodo coloniale avevano studiato il complesso; e non vi erano state nuove ipotesi neppure quando una campagna Unesco, fra 1965 e 1970, aveva promosso una nuova sistemazione. Ora, invece, studiosi di vari paesi (Fauvelle-Aymar, Finneran, Lepage, Phillipson) hanno scoperto che nella collina erano stati ricavati, già ben prima di re Lalibela, rifugi per eremiti e luoghi di culto. Nei secoli VIII-X gli ambienti vengono ampliati, creando camere vere e proprie. Solo nei secoli XI-XIV si arriva alla “fase monumentale”, con tre grandi settori detti “nord-occidentale”, “sud-orientale” e “occidentale”.


Gli obelischi in granito di Aksum (IV-V secolo): in primo piano il più alto (33 m) crollato però al momento dell’installazione.

Sono trincee profonde, collegate da scale e gallerie, al cui interno splendidi edifici sono, per così dire, “scolpiti” nella roccia stessa. Il settore nordoccidentale è detto “ecclesiastico”: fra 1000 e 1150 si datano due chiese molto significative, e cioè Bet Medhane Alem (casa del Salvatore del mondo) e Bet Maryam (casa di Maria). La prima è la più grande di tutte (37 x 23 m): con il suo tetto spiovente e con i suoi pilastri perimetrali (otto sui lati brevi, tredici su quelli lunghi) ricorda quasi un tempio classico. Bet Maryam, dotata di tre ingressi preceduti da portici, è invece la chiesa più riccamente decorata da pitture. L’interno è a tre navate: il matroneo presenta finestre di tipo aksumita. Pilastri, arcate, volte, tutto è coperto da complesse composizioni. Grande spazio occupa la Trasfigurazione, ma interessante è l’Annunciazione in cui l’arcangelo Gabriele “sorprende” Maria intenta a filare; molto bella è una Madonna col Bambino. Le figure sembrano echeggiare l’arte bizantina; i grandi occhi rendono espressivi i volti.
Gravita sulla stessa trincea un gruppo di chiese funerarie, cioè contenenti tombe: Bet Golgotha, Bet Debre Sina, Cappella Selassiè. Bet Golgotha (casa del Calvario) presenta bassorilievi scolpiti nella roccia e dipinti (spicca quello raffigurante san Giorgio), ma soprattutto ospita la sepoltura di re Lalibela. Anche in questi edifici, collegati fra loro in modi assai complessi, compaiono finestre in stile aksumita.


Particolare della facciata di Bet Maryam (chiesa di Maria) (XII secolo) a Lalibela.


Madonna col Bambino (XII secolo), Lalibela, Bet Maryam.

Il nucleo sudorientale, che pure si presenta come un complesso di culto, aveva avuto in origine la funzione di una residenza fortificata. Il discorso vale per Bet Gabriel-Rafael, Bet Narcoreus e Bet Lehem, in un contesto di gallerie, di rampe, di trincee via via approfondite. Molto raffinata è la chiesa di Bet Emanuel, che dalla tradizione aksumita riprende non solo le finestre ma anche l’imitazione delle travi lignee orizzontali. Suggestiva, anche se in gran parte restaurata, è Bet Libanos, completamente inserita in una grande grotta artificiale.

Un caso a parte, in tutti i sensi, è Bet Giorgis, la chiesa dedicata a san Giorgio, il più venerato. Lontana dagli altri monumenti, in una trincea più regolare delle altre, è l’unica chiesa a pianta cruciforme non solo di Lalibela, ma di tutta l’Etiopia. 

Alta 12 metri, è divisa in tre piani da cornici orizzontali; le finestre sono in parte di derivazione aksumita, in parte di altre forme. Il suo aspetto elegante è suggellato, sul tetto piatto, da una decorazione che sembra ripetere la pianta dell’edificio.


Particolare della decorazione di un soffitto (XII secolo), Lalibela, Bet Maryam.

Bet Giorgis, la chiesa dedicata a san Giorgio, è l’unica chiesa a pianta cruciforme non solo di Lalibela, ma di tutta l’Etiopia


Di straordinario interesse sono anche due chiese poste a 12 e a 20 chilometri da Lalibela. La prima, Yemrehanna Kristos, prende nome da un sovrano della dinastia Zaguè che regnò fra XI e XII secolo: precede tutte quelle che abbiamo visto finora. È inserita in una grotta, come Bet Libanos, e recepisce in maniera particolarmente netta l’impronta aksumita: travi orizzontali, finestre con “teste di scimmia”. La seconda, Gannata Maryam (Giardino di Maria), ripete lo schema “a tempio” di Bet Medhane Alem e presenta all’interno pitture raffiguranti soprattutto santi copti: è attribuita a Yekuno Amlak, primo re (1270-1285) della successiva dinastia Salomonide. Ma qui comincia un’altra storia… Caduta nell’oblio, Lalibela sarà riscoperta nel 1522 dal primo visitatore europeo, frate Alvarez, al seguito di una missione portoghese, e la sua relazione comincia così: «Mi riesce difficile raccontare ciò che ho visto, perché so che non sarò creduto».


Bet Giorgis (inizio XIII secolo), la chiesa dedicata a san Giorgio a Lalibela, a forma di croce scavata nella roccia.

ETIOPIA IN MOSTRA
Con Yekuno Amlak, che si considera discendente di Menelik figlio di Salomone, si avvia la dinastia dei Salomonidi, che dura fino al Novecento, sia pure con consistenti interruzioni: fra queste, nel Seicento, gli splendori di Gonder, con re Fasiladas, e poi l’aggressione e l’annessione italiana fra 1935 e 1941. Come spesso accade, alla crudeltà messa in campo nella conquista fece seguito, durante l’occupazione, un fase in cui trovarono spazio amministratori, studiosi, missionari. Soprattutto a questi ultimi si devono, a Verona, le ricchissime collezioni del Museo civico di storia naturale: scegliendo fra i materiali, è stata allestita un’interessante mostra: Etiopia. La bellezza rivelata. Sulle orme degli antichi esploratori (fino al 30 giugno, martedì-venerdì ore 9-17, sabato e domenica 14-18, www.labellezzarivelata.com), a cura di Carlo Franchini e Leonardo Latella. Armi ottocentesche dell’esercito dei Salomonidi, oggetti di uso quotidiano, gioielli di vario tipo si aggiungono alla documentazione di tipiche specie animali: minuscole antilopi (i dik-dik), stambecchi, scimmie, farfalle.

S. R. T.

Bet Emanuel (XII secolo) a Lalibela con le finestre di chiara tradizione aksumita.

BUSAJO
Busajo è una onlus che nasce a Firenze nel 2009; si occupa del recupero, della rieducazione e del reinserimento in famiglia di bambini e bambine di strada a Soddo, nel Sud dell’Etiopia. La scelta è stata fin da subito quella di investire sulla loro istruzione e formazione professionale. Busajo Campus è un complesso che sorge su un terreno di 35.000 m2 ricevuto dal governo etiope. Per garantire le attività del progetto, ultimare i lavori di costruzione e raggiungere gli obiettivi futuri, Busajo Onlus raccoglie fondi attraverso donazioni, organizza fund raising e si avvale del sostegno della rete di librerie Giunti al Punto. Un libro fotografico di Marco Paoli, Ethiopia, pubblicato da Giunti nel 2015, racconta uomini, donne e ambienti del paese africano; i proventi delle vendite sono destinati proprio a Busajo. Per info (e donazioni): www.busajo. org; associazione@busajo.org; fb: Busajo Onlus; Instagram: Associazione Busajo.

Un bel reportage di Piero Pruneti sull’Etiopia, Etiopia nel cuore antico dell'Africa, è stato pubblicato in “Archeologia viva”, 170, marzo-aprile2015, pp. 12-34.

ART E DOSSIER N. 366
ART E DOSSIER N. 366
GIUGNO 2019
In questo numero: Le anime del Novecento: Kounellis: le radici; Lee Miller tra fashion e guerra. In mostra: Burri a Venezia, Haering a Liverpool, Lygia Pape a Milano. Rinascimenti in mostra: Verrocchio a Firenze, Il Mediterraneo a Matera. Il mito dell'odalisca: Orientalismi in mostra a Parigi.Direttore: Philippe Daverio