Il 20 giugno, sempre durante la Giunta comunale, l’assessore ammette che il Comune è stato interessato «solo all’ultimo momento» e che il sindaco si riserva di condurre a termine la trattativa, non senza le perplessità espresse da alcuni assessori sulla procedura adottata. E già si evidenziano «pressioni per la sua collocazione in Duomo». Il sindaco riferisce che «i mecenati sembrano disposti a erogare l’intera somma, ma gradualmente». E in quel «ma gradualmente» alligna, col senno di poi, il nostro sospetto …
Viene addirittura convocata in via d’urgenza una Giunta comunale il 15 luglio(8), per approvare in tutta fretta la convenzione preliminare - stesa con il notaio Staderini, rappresentante degli eredi Vimercati-Sanseverino, il 1° luglio -, cui segue il 3 luglio il versamento di una cauzione di 35 milioni.
Compare in agosto sulla rubrica del “Corriere” “Iride”, di Leonardo Borghese, un articolo che celebra l’offerta della Pietà alla città di Milano da parte di alcuni «milanesi di cuore» che l’hanno comprata, e si definisce il prezzo una «inezia, calcolando che le mele di Cézanne all’asta Cognacq sono state vendute per circa 40 milioni. In paragone un Michelangiolo è veramente regalato».
Come accennato, il Consiglio comunale viene chiamato a ratificare, a cose fatte, l’acquisto il 15 settembre del 1952: pur nell’unanimità del voto, non mancano bonarie “strigliate” alla Giunta per l’urgenza e la segretezza della procedura. Tutti sono comunque rassicurati dall’intervento dei privati promesso dal sindaco, che ringrazia su tutti Fernanda Wittgens e Raffaele Mattioli(9), il grande banchiere intellettuale che, con la “sua” ultima creatura Mediobanca, ha reso possibile l’operazione ed «è a capo di quel gruppo di mecenati» cui si è accennato.
Il 1° ottobre 1952 con rogito numero 10478 in Roma la Pietà viene venduta ufficialmente al Comune di Milano, e il 5 novembre la Giunta stabilisce come sede il Castello sforzesco, dopo che da più parti si sono ipotizzate varie sedi tra cui il duomo anzitutto, la pinacoteca di Brera, l’Ambrosiana…
Arriviamo così alla fatidica data del 10 dicembre e alla citata lettera della Wittgens che pone fine alle speranze di pubbliche sottoscrizioni e offerte mecenatesche.
Il 17 luglio del 1953 una nota del ragioniere capo certifica la necessità che il Comune si accolli 123.099.620 lire e, come citato in apertura, l’11 dicembre dello stesso anno la cifra viene definitivamente iscritta quale saldo negativo nelle spese effettive, senza accenni polemici né chiarimenti da parte di alcuno.
Quello che è certo, carte alla mano, è che di fatto la Pietà è stata acquistata dal Comune con soldi pubblici e che, se fundraising vi è stato, lo è stato solo per il dieci per cento della spesa complessiva.
Resta il dubbio che l’idea di una sottoscrizione, pubblica o privata, che mallevasse il Comune dall’onere, fosse una necessaria quanto innocente trovata del sindaco e della Wittgens per giustificare quello che amministrativamente pare quasi un golpe estivo, di cui peraltro è abbastanza ricca l’aneddotica politica italiana. Può essere invece che realmente vi fosse stata una concreta disponibilità di mecenati milanesi a finanziare l’intera operazione, tanto più che ne viene pubblicamente messo a capo un gigante come Raffaele Mattioli, e che poi per ragioni «note», ma solo ai direttamente coinvolti, la loro disponibilità sia venuta meno, obbligando il Comune a intervenire con mezzi propri.
Ma poiché di quelle note ragioni non abbiamo trovato traccia, così come della disponibilità diretta dei mecenati, ci diverte propendere per quel dubbio che sa meravigliosamente di italico ingegno, se grazie a esso la Pietà sfuggì a qualche danaroso magnate americano.