Studi e riscoperte. 1
L’acquisto della Pietà Rondanini

IL FALSO MITODEL PRIMO FUNDRAISING

L’acquisizione da parte della città di Milano di uno dei massimi capolavori di Michelangelo è stata per decenni considerata un esempio virtuoso di pubblica generosità, un caso eccezionale di concorso di cittadini di diverse classi sociali all’arricchimento dei beni artistici della collettività. Un accurato studio dei documenti da parte del direttore della Cittadella degli archivi di Milano racconta una storia ben diversa.

Francesco Martelli

«La Giunta, nella seduta dell’11 dicembre 1953, preso atto di quanto riferito dall’Ass. prof. Confalonieri, e tenuto conto della sostanziale impossibilità di conseguire ulteriori contributi, ha ritenuto che il saldo negativo di £.123.099.620 debba essere trasferito tra le spese effettive, nella parte ordinaria del bilancio». Con questa laconica nota del segretario generale del Comune alla Ragioneria, del 14 dicembre 1953, si conclude la vicenda dell’acquisto della Pietà di Michelangelo, detta Rondanini, dagli eredi Vimercati Sanseverino. 

Da sempre portata a esempio come “primo fundraising” della storia dell’arte, addirittura secondo alcuni frutto di una generosa partecipazione popolare che avrebbe visto tutti i milanesi coinvolti, «dall’operaio al banchiere»(1), in realtà fu di fatto acquistata con soldi pubblici, nella fattispecie con l’addebito alle spese effettive del bilancio ordinario del Comune per ben 123.099.620 di lire dei 139.849.620 complessivi necessari all’acquisto, quindi per quasi il 90% della somma. 

È la stessa Fernanda Wittgens, al tempo straordinaria sovrintendente alle Gallerie d’arte della Lombardia, a comunicare al sindaco Virgilio Ferrari, con una nota del 10 dicembre 1952 (prot. 1159), che «duole non aver potuto continuare la sottoscrizione essendo venuti a mancare, per le note ragioni, l’adesione e l’entusiasmo della cittadinanza». E allega un assegno di lire 16.750.000, somma che «rappresenta il primo [e ultimo] contributo dei mecenati milanesi all’acquisto della Pietà di Michelangelo». Costoro sono arcinoti benefattori e collezionisti del tempo: Rizzoli, Crespi, Borletti, Scotti, Gerli, Ferrania, Stramezzi. Generosissimi senza dubbio, ma versarono soltanto il dieci per cento circa della somma.


Michelangelo, Pietà (1552-1564), Milano, Castello sforzesco, in una foto degli anni Cinquanta nell’allestimento dello studio BBPR.

(1) M. C. Cavallone, Clara Valenti - Fernanda Wittgens. Tra impegno politico e storia dell’arte, in “Concorso arti e lettere”, XI, 2018.

Da dove nasce dunque il mito del fundraising? Forse dagli stessi atti ufficiali dell’amministrazione, che fin dall’inizio citano apertamente «l’offerta di alcuni mecenati»(2): lo stesso sindaco davanti alla Giunta comunale prima(3) e al Consiglio comunale poi(4) afferma come non si sia «rimasti insensibili alle premure pervenute […] da più parti private, le quali intendono inoltre sollevare il Comune dall’onere conseguente all’acquisto». 

Addirittura, il prefetto di Milano, in una nota del 1° agosto 1952 al Ministero per la pubblica istruzione, riporta la formula «intendendosi alcuni privati sollevarlo [il Comune] dalla spesa». 

E allora come mai, solo quattro mesi dopo, si deve constatare che, «per le note ragioni» non vi sono contributi né filantropici né popolari per l’acquisto dell’opera? Di queste ragioni citate dalla Wittgens non abbiamo trovato spiegazione né traccia, almeno nei nostri archivi. Così come non vi è traccia di alcuna corrispondenza tra il Comune e la Wittgens o altri circa la disponibilità di privati a sostenere il costo dell’acquisto. Se ne fa cenno soltanto, e proprio cenno generico, in documenti ufficiali. 

Un’unica specifica la troviamo nel verbale della Giunta del 15 luglio 1952(3) che decide l’acquisto della statua: l’assessore alle Finanze Confalonieri dettaglia che, in accordo con la prefettura e Mediobanca, si è optato per un mutuo obbligazionario, che avrebbe permesso a ogni offerta di un mecenate il riscatto delle obbligazioni. Si dice addirittura che 35 milioni sono già stati anticipati (il 3 luglio dal Comune su conto corrente vincolato quale caparra agli eredi), che 30 milioni sono “assicurati”, che altri 40-50 saranno dati dalle banche e che quindi, salvo nuove liberalità attese, a carico del Comune rimarranno non più di 30 milioni. Tutte queste certezze si sgretolano nel giro di soli quattro mesi, e soprattutto dopo la ratifica in Consiglio comunale a settembre e a stipula avvenuta del contratto in data 1° ottobre. 

Difficile dire, in base alla documentazione, se si facesse realmente conto sulla liberalità dei milanesi, o se invece sia lecito fantasticare di un “piano” ideato dal sindaco e dalla Wittgens per convincere amministratori e opinione pubblica a non farsi scappare questa straordinaria occasione. 

La vicenda, almeno dal punto di vista amministrativo, origina infatti dalla corrispondenza datata 20 aprile 1952 tra la Wittgens e il notaio degli eredi Vimercati Sanseverino che danno come ultima scadenza perentoria il 30 giugno, e fissano il prezzo in non meno di 135 milioni di lire. 

E non è la prima volta che a Milano si tenta l’acquisto della Pietà Rondanini: sul “Corriere della Sera” del 26 febbraio 1949 compare un articolo di Raffaele Calzini che non solo sostiene che la Pietà stia per essere messa all’asta per faide familiari, ma addirittura che egli stesso era stato delegato dal defunto conte Lionello Sanseverino a trovare acquirenti milanesi nel lontano 1939, anno in cui il Ministero per l’istruzione comunicava di aver decretato la statua come di «grande interesse culturale». Calzini sottolinea come «con vergogna» dei collezionisti, i cinque milioni necessari non furono trovati, perché a suo dire la statua «non piacque». Come cambia un paese dopo una guerra… 

Tale interesse veniva ribadito dal Ministero in maniera perentoria agli eredi nel 1948(6): ben si comprende quindi il desiderio degli stessi di disfarsi di un’opera la cui gestione sarebbe divenuta troppo onerosa e problematica, tanto più che la statua si trovava a Roma in via Nerola al 2, pare sotto il portico del villino di uno degli eredi. 

I tempi sono concitati: come sottolinea nella sua relazione Costantino Baroni(7), direttore della Civiche raccolte d’arte, alcuni americani e il Comune di Firenze bramano acquistarla, non c’è traccia di alcun Michelangelo a nord di Bologna, e il rilancio dei Civici musei e di Milano sulla ribalta della politica culturale nazionale passa dall’acquisto di questa statua. 

Tutto è talmente concitato e urgente che perfino l’assessore all’Istruzione (sotto cui ricadeva la cultura) non sa bene di cosa si tratti: comunica il 17 giugno alla Giunta la possibilità dell’acquisto di una statua «leonardesca», aggettivo che viene cancellato a mano e sostituito sempre a mano con «michelangiolesca»: si parla di mecenati che «dovrebbero» intervenire, di prestiti quinquennali e di difficoltà per reperire la somma.


Il rilancio dei civici musei e di Milano sulla ribalta della politica culturale passa dall’acquisto di questa statua


La copertina del contratto di acquisto dell’opera da parte del Comune di Milano.

(2) Ass. Cattabeni, verbale G.C. del 20 giugno 1952 e Ass. Confalonieri, verbale G.C. del 17 giugno 1952.
(3) Verbale G.C. 15 luglio 1952.
(4) Verbale C.C. del 15 settembre 1952.
(5) Si veda la pratica “Pietà Rondanini 1952-1953” conservata presso la Cittadella degli archivi di Milano.
(6) Ministero della pubblica istruzione, protocollo 5659, div. II, 5 novembre 1948.
(7) Si veda la pratica conservata presso la Cittadella degli archivi di Milano.

Il 20 giugno, sempre durante la Giunta comunale, l’assessore ammette che il Comune è stato interessato «solo all’ultimo momento» e che il sindaco si riserva di condurre a termine la trattativa, non senza le perplessità espresse da alcuni assessori sulla procedura adottata. E già si evidenziano «pressioni per la sua collocazione in Duomo». Il sindaco riferisce che «i mecenati sembrano disposti a erogare l’intera somma, ma gradualmente». E in quel «ma gradualmente» alligna, col senno di poi, il nostro sospetto … 

Viene addirittura convocata in via d’urgenza una Giunta comunale il 15 luglio(8), per approvare in tutta fretta la convenzione preliminare - stesa con il notaio Staderini, rappresentante degli eredi Vimercati-Sanseverino, il 1° luglio -, cui segue il 3 luglio il versamento di una cauzione di 35 milioni. 

Compare in agosto sulla rubrica del “Corriere” “Iride”, di Leonardo Borghese, un articolo che celebra l’offerta della Pietà alla città di Milano da parte di alcuni «milanesi di cuore» che l’hanno comprata, e si definisce il prezzo una «inezia, calcolando che le mele di Cézanne all’asta Cognacq sono state vendute per circa 40 milioni. In paragone un Michelangiolo è veramente regalato». 

Come accennato, il Consiglio comunale viene chiamato a ratificare, a cose fatte, l’acquisto il 15 settembre del 1952: pur nell’unanimità del voto, non mancano bonarie “strigliate” alla Giunta per l’urgenza e la segretezza della procedura. Tutti sono comunque rassicurati dall’intervento dei privati promesso dal sindaco, che ringrazia su tutti Fernanda Wittgens e Raffaele Mattioli(9), il grande banchiere intellettuale che, con la “sua” ultima creatura Mediobanca, ha reso possibile l’operazione ed «è a capo di quel gruppo di mecenati» cui si è accennato. 

Il 1° ottobre 1952 con rogito numero 10478 in Roma la Pietà viene venduta ufficialmente al Comune di Milano, e il 5 novembre la Giunta stabilisce come sede il Castello sforzesco, dopo che da più parti si sono ipotizzate varie sedi tra cui il duomo anzitutto, la pinacoteca di Brera, l’Ambrosiana… 

Arriviamo così alla fatidica data del 10 dicembre e alla citata lettera della Wittgens che pone fine alle speranze di pubbliche sottoscrizioni e offerte mecenatesche. 

Il 17 luglio del 1953 una nota del ragioniere capo certifica la necessità che il Comune si accolli 123.099.620 lire e, come citato in apertura, l’11 dicembre dello stesso anno la cifra viene definitivamente iscritta quale saldo negativo nelle spese effettive, senza accenni polemici né chiarimenti da parte di alcuno. 

Quello che è certo, carte alla mano, è che di fatto la Pietà è stata acquistata dal Comune con soldi pubblici e che, se fundraising vi è stato, lo è stato solo per il dieci per cento della spesa complessiva. 

Resta il dubbio che l’idea di una sottoscrizione, pubblica o privata, che mallevasse il Comune dall’onere, fosse una necessaria quanto innocente trovata del sindaco e della Wittgens per giustificare quello che amministrativamente pare quasi un golpe estivo, di cui peraltro è abbastanza ricca l’aneddotica politica italiana. Può essere invece che realmente vi fosse stata una concreta disponibilità di mecenati milanesi a finanziare l’intera operazione, tanto più che ne viene pubblicamente messo a capo un gigante come Raffaele Mattioli, e che poi per ragioni «note», ma solo ai direttamente coinvolti, la loro disponibilità sia venuta meno, obbligando il Comune a intervenire con mezzi propri. 

Ma poiché di quelle note ragioni non abbiamo trovato traccia, così come della disponibilità diretta dei mecenati, ci diverte propendere per quel dubbio che sa meravigliosamente di italico ingegno, se grazie a esso la Pietà sfuggì a qualche danaroso magnate americano.


La lettera con cui la soprintendente Fernanda Wittgens nel dicembre 1952 comunicava come i privati avessero erogato solo un anticipo, e l’elenco dei mecenati con i corrispettivi contributi.


La lettera con cui la soprintendente Fernanda Wittgens nel dicembre 1952 comunicava come i privati avessero erogato solo un anticipo, e l’elenco dei mecenati con i corrispettivi contributi.

(8) Ibidem.
(9) Si veda anche R. Bacchelli, Per la traslazione della Pietà Rondanini di Michelangelo. 20 dicembre 1952, Stamperia Cesare Tamburini, 1954.

ART E DOSSIER N. 364
ART E DOSSIER N. 364
APRILE 2019
In questo numero: L'anno di Rembrandt : le celebrazioni di Amsterdam e dell' Aja. Segni impalpabili : la raffigurazione del gesto casuale. L'ombra e la pittura. In mostra : Morath a treviso, Van Gogh a Londra, Ottocento a Forlì, il nudo a Basilea.Direttore: Philippe Daverio