Studi e riscoperte. 2
Gesti inconsci nell’arte

MESSAGGERI DI PENSIERITACIUTI

Quante volte ci capita di compiere gesti in modo inconsapevole? E quante volte, forse, ci siamo interrogati sul loro significato. Esistono anche nelle opere d’arte.
Gesti qualunque, messaggi non verbali che possono suscitare curiosità, oppure comunicare attimi di fugace bellezza e silente poesia.

Mauro Zanchi

Nel sistema cinestesico i gesti delle mani possono essere compiuti in simultanea a un discorso per sottolineare le parole o per rafforzarne il significato, ma altresì anche per fornire una chiave di lettura difforme dal significato del messaggio espresso verbalmente. I cenni possono indicare azioni motorie intenzionali o involontarie, coordinate e circoscritte, in grado di inviare un segnale visivo a un osservatore e di comunicargli una qualsiasi informazione. Inoltre possono anche riferirsi a un linguaggio non verbale e quindi trasmettere informazioni o altro solo attraverso posizioni o movimenti del corpo. E queste azioni valgono ulteriormente all’interno del linguaggio visuale tradotto nelle opere pittoriche o scultoree. 

In questo articolo prendiamo in considerazione solo i gesti compiuti inconsciamente, ovvero i gesti che inconsapevolmente si compiono tutti i giorni, senza nemmeno rendersene conto: toccarsi la fronte mentre si sta pensando, o parlando con qualcuno, passare la mano nei capelli, ticchettare con le dita sul tavolo, lisciare con le dita o con la mano la superficie morbida del velluto o di una pelliccia, giocherellare con le perle di una collana e così via. 

Questi gesti, apparentemente banali, appartengono alla sfera dell’inconscio, che gestisce prevalentemente il non verbale e si esprime attraverso messaggi di gradimento, di fastidio o di tensione? Compiere un gesto e intanto pensare ad altro esprime un’ulteriore intenzione rispetto al contenuto della mente? Cosa lega i due atti? Stare nel quotidiano e contemporaneamente essere altrove è un fatto che ricorre nella vita delle persone, soprattutto di quelle che si annoiano facilmente, o di quelle che non riescono a vivere pienamente la contingenza feriale della quotidianità, o di quelle che amano astrarsi o che tendono a voli dell’immaginazione.


Vittore Carpaccio, Due dame veneziane (1490-1495), Venezia, Museo Correr.

Carpaccio, in Due dame veneziane (1490-1495 circa), ha colto questo stato comune a molte persone. Entrambe le donne sono raffigurate con lo sguardo assente, rivolto altrove: la prima ha il braccio destro appoggiato sulla balaustra del balcone e con un fazzoletto bianco in mano compie un gesto silente, bloccato, che lascia trasparire uno stato di attesa o di struggimento; l’altra compie gesti automatici evidenziati non solo dalle sue mani, che giocano distrattamente con due cani, ma anche dal suo sguardo, che la riconduce a uno stato di assenza momentanea. Le donne aspettano sedute in una terrazza, in uno spazio di sospensione, mentre gli uomini sono a caccia in laguna. Questa seconda scena è raffigurata nell’altro frammento del dipinto originario, approdato da diversi anni al J. Paul Getty Museum di Los Angeles e riconosciuto, ormai, come la parte superiore della tela con le dame. 

Qualche secolo dopo, Goya, in La contessa di Chinchón (1800), rende, con grande abilità pittorica e con la “sonda” dei suoi occhi, lo sguardo della protagonista rivolto altrove e descrive le mani che paiono lasciar trasparire qualcosa che appartiene alla sfera psicologica: le dita della moglie di uno dei più potenti ministri di Carlo IV sono posate sui riflessi serici dell’abito elegante, ma danno l’impressione di muoversi nervosamente di continuo, tradendo una timidezza delicata e una certa reticenza a farsi ritrarre. 

Se accadono, i gesti compiuti sovrappensiero avranno un’utilità o comunque un significato, immagino. Accompagnano “spostamenti”, lasciano trasparire irrequietezza, pacificano il cuore, riassumono un tempo, sono messaggeri dei pensieri taciuti, stanno in un’atmosfera sospesa, evocano il difficilmente dicibile. Noi possiamo tentare operazioni di decodifica o incroci di prospettive tra sistemi culturali e contingenze narrative, ma l’aura silente che segue questi gesti vive di un’eloquenza tutta sua, protetta dalla cinta invisibile del suo enigma. 

I gesti compiuti inconsciamente hanno la grazia necessaria per potersi relazionare con le questioni del cuore, e necessitano quindi di interlocutori dotati di acutezza e sensibilità rare.


Le dita della contessa danno l’impressione di muoversi nervosamente, tradendo una timidezza delicata


Vittore Carpaccio, Caccia in laguna (1490-1495), Los Angeles, J. Paul Getty Museum;

Vittore Carpaccio, Due dame veneziane (1490-1495), Venezia, Museo Correr.


Francisco Goya, La contessa di Chinchón (1800), Madrid, Museo del Prado.

Gesti che lasciano trasparire irrequietezza, pacificano il cuore, stanno in un’atmosfera sospesa


Al contempo, questi gesti fungono anche da complemento del racconto non svincolato dall’equilibrio e dall’armonia della composizione nel dipinto. Ma gli artisti, inserendoli nei loro quadri, fissano questi gesti inconsci come se facessero parte del campionario dei gesti quotidiani o li investono di riferimenti allegorici? All’Accademia Carrara di Bergamo sono presenti due ritratti esemplari per questa domanda: Ritratto di gentiluomo (1515- 1518 circa), di Francesco Prata, e Ritratto di gentildonna (1525-1530), di Bernardino Licinio. Entrambe le persone raffigurate compiono gesti inconsci mentre guardano fuoricampo, verso la loro destra, sovrappensiero, eludendo la presenza e lo sguardo di ogni spettatore. Infilare parte del pollice nel nastrino della giacca, mentre si tiene una viola in mano, o giocherellare con due dita unite, facendole scivolare sulla catenella aurea di una collana portata al collo(*), significa anche altro rispetto a ciò che viene mostrato? Può darsi che il non detto portato dal gesto sia legato agli oggetti che compaiono a poca distanza. Cosa accade nello spazio di questa breve distanza? La possibilità di un’interpretazione? L’invio di un messaggio sottile? L’invito a collegare qualcosa con qualcos’altro? 

Paiono poesie non scritte e non dette, compagni di pensieri ineffabili, che contemplano in silenzio, come chi sta a pensare con lo sguardo fisso nel vuoto o chi segue i contorni del paesaggio osservando dal davanzale delle finestre. Sono aderenti all’incompiuto della vita che entra in scena. O questi gesti del sovrappensiero sono conchiusi nell’atto stesso della loro bellezza effimera, aderenti a qualcosa che va oltre ciò che si è pensato in un momento qualsiasi della giornata? 

Quindi possiamo considerarli monu menti effimeri della fugacità? Senza bisogno di sovraccaricarli di significati e di interpretazioni, godiamoli per quello che sono, dunque, nella loro natura estemporanea e nella loro qualità artistica, che allude sicuramente anche ad “altro”, nel potenziale evocativo delle immagini polisemiche. Forse basterebbe un segno inconscio per spiegarmi meglio.


Bernardino Licinio, Ritratto di gentildonna (1525-1530), intero, Bergamo, Accademia Carrara.


Bernardino Licinio, Ritratto di gentildonna (1525-1530), particolare, Bergamo, Accademia Carrara.


Francesco Prata, Ritratto di gentiluomo (1515-1518 circa), intero, Bergamo, Accademia Carrara.


Francesco Prata, Ritratto di gentiluomo (1515-1518 circa), particolare, Bergamo, Accademia Carrara.

(*) La donna abbigliata con una camora rossa dallo scollo quadrato, con ampie maniche ad ala legate da fiocchi verdi, è descritta mentre sta toccando con due dita unite la lunga catena d’oro che le pende dal collo. Alle mani porta dei guanti. Sopra il braccio destro è posata una stola di ermellino.

ART E DOSSIER N. 364
ART E DOSSIER N. 364
APRILE 2019
In questo numero: L'anno di Rembrandt : le celebrazioni di Amsterdam e dell' Aja. Segni impalpabili : la raffigurazione del gesto casuale. L'ombra e la pittura. In mostra : Morath a treviso, Van Gogh a Londra, Ottocento a Forlì, il nudo a Basilea.Direttore: Philippe Daverio