Letture iconologiche
Alcuni cerchi in Paolo Uccello e Anish Kapoor

DRAGHI, VERNICI MAGICHEE BUCHI NERI

È possibile avvicinare Paolo Uccello ad Anish Kapoor?
Certo, l’accostamento è singolare ma, forse, per alcune loro opere, possiamo ravvisare elementi che permettono di avanzare confronti, riletture, connessioni a cui probabilmente non avevamo mai pensato.

Mauro Zanchi

Nelle tre versioni di San Giorgio e il drago, Paolo Uccello descrive anche il luogo dove vive l’animale mitologico, ovvero un antro oscuro, una grotta che è al contempo tana in cui rifugiarsi e spazio dov’è presente l’acqua, elemento naturale da cui proviene il mostro. 

Anche se nella fonte letteraria - la Legenda aurea di Jacopo da Varazze (1228 circa - 1298), scritta in latino ma già circolante in volgare dal Trecento - non viene detto che il drago vive in una grotta, gli artisti lo immaginano giungere dal mondo ctonio. Alcune volte l’entrata della caverna pare un portale ogivale, quasi gotico; altre volte è evocata da un nero assoluto che brulica di mistero entro una piccola cavità nella roccia. Oscurità e luce sono due contrari (o complementari) che appartengono entrambi alla natura del drago. Secondo le versioni di Paolo Uccello, questa creatura vive in un antro buio dove l’acqua, protetta dallo stesso animale, forse rappresenta la porta d’accesso al mondo ctonio, l’ingresso segreto per immergersi nelle acque del lago che conducono nelle profondità di quelle primordiali. Tornano alla mente le parole di Leonardo da Vinci: «Pervenni all’entrata d’una gran caverna […] piegandomi in qua e in là per vedere se dentro vi discernessi alcuna cosa […] subito salse in me due cose, paura e desiderio: paura per la minacciante e scura spilonca, desiderio per vedere se là dentro fusse alcuna miracolosa cosa» (Scritti letterari). Il segreto miracoloso è simboleggiato dall’acqua primordiale, dal rapporto tra la luce e l’oscurità? Jacopo da Varagine immagina che la vicenda abbia luogo in Libia, nei pressi di Selene, città sulle sponde di un lago. Il nome della città rimanda alla dea greca Selene, alla luce lunare, ovvero al suo chiarore che delinea le variazioni del mondo notturno. Nell’ottica cristiana, la storia viene interpretata come un rimando a Gesù che difende la Chiesa dalle eresie, dove san Giorgio è l’emblema della Ragione che trionfa sulla bestialità e della Fede che vince il Male. Nella versione del 1430-1435, ora conservata nel Musée Jacquemart-André a Parigi, è interessante notare i tre cerchi vuoti formati dal movimento della coda a spirale del drago, i quali fanno da contrappunto ai cerchi neri, scurissimi, visibili sulle ali a ventaglio della bestia, che sembra ripreso da una figura araldica in uno stemma.


Paolo Uccello, San Giorgio e il drago (1430 circa), particolare, Melbourne, National Gallery of Victoria.

I cerchi scuri sulle ali del drago paiono
cavi, in grado di risucchiare chiunque
in quel vuoto profondo


Vuoto e pieno oscuro sono le due forze che può mettere in campo il drago, a seconda delle situazioni. 

Nella grotta si vede una forma verdognola, forse il punto simbolico che segnala un collegamento con le acque profonde da cui proviene il drago. Intanto la dama prega e il cavaliere affonda la sua lancia nella bocca dell’animale rivale, come fosse il bersaglio di un torneo. In lontananza, sono visibili tre persone che camminano sul vialone alberato, nel paesaggio risolto dal pittore come una visione a volo d’uccello, nella vasta piana divisa in appezzamenti di terra coltivata. Sullo sfondo, la bianca città fortificata è descritta con mura che protendono il loro profilo verso l’orizzonte, seguendo le anse della collina. 

Nella versione di Londra (1470 circa, National Gallery) notevole è anche la descrizione del turbine di nuvole(1) sopra san Giorgio, un ciclone notturno che precede gli studi dal vero di Leonardo da Vinci. Nel dipinto spicca anche l’assenza di ombre accanto ai protagonisti della storia simbolica. La principessa Trebisonda non pare impaurita e probabilmente non aveva alcun bisogno di essere salvata dal drago. Già lei lo teneva al guinzaglio come una bestiola domestica. Il “draco” qui pare decisamente mansueto, quasi stupito di essere stato colpito dalla lancia del santo. Non sembra un divoratore di principesse. Il cavaliere invece di giocare a colpire i bersagli posti sulle ali del drago infila la punta della lancia nella testa e nella bocca dell’animale. Ma a proposito di anticipi e preveggenze, sulle ali di questo drago immaginato da Paolo Uccello ci sono i cerchi concentrici che tanto piaceranno negli anni Sessanta del secolo scorso a Jasper Johns e a Kenneth Noland.


Paolo Uccello, San Giorgio e il drago (1430 circa), Melbourne, National Gallery of Victoria.

(1) L’opera di Kapoor Descension (2014), col suo vortice che crea un buco nero (aperto all’esplorazione del profondo e di ciò che è oscuro), può rimandare al turbine dipinto da Paolo Uccello, entrambi evocano l’energia che si agita e muta nell’universo.

Paolo Uccello, San Giorgio e il drago (1430-1435), Parigi, Musée Jacquemart-André.


Paolo Uccello, San Giorgio e il drago (1470 circa), Londra, National Gallery.

Mentre nella versione di Melbourne (1430 circa, National Gallery of Victoria) i cerchi scuri sulle ali del drago paiono cavi, in grado di risucchiare chiunque in quel vuoto profondo, come fossero buchi neri simili a quelli realizzati da Anish Kapoor (in uno di questi è caduto lo scorso agosto un sessantenne italiano mentre osservava un’installazione dell’artista britannico, nato a Bombay, Descent Into Limbo, esposta in occasione di una mostra a lui dedicata al Museu de Serralves di Porto). 

Ma a cosa servono i buchi in questa composizione di Paolo Uccello? A dare maggiore profondità e forza alle ali scure, che piene sarebbero state rigide e pesanti, e per bilanciare la luce, il movimento del cavallo e della figura inginocchiata a destra? La lotta fra san Giorgio e la bestia pare più una metafora del combattimento fra l’individuo e il suo drago interiore (l’ego), e rimanda al pericolo di cadere in un baratro oppure alla possibilità di riscoprirsi dentro la caverna primordiale qui raffigurata, a poca distanza dalla lotta, nella cavità nera della roccia. 

In ogni caso, alla luce delle opere di Anish Kapoor, i buchi neri nelle ali del drago di Paolo Uccello si possono reinterpretare, collegare alle soluzioni formali e concettuali dell’arte contemporanea, e rileggere prendendo in considerazioni ulteriori suggestioni? Un buon artista, mentre crea un’opera in grado di “annullare” i confini della storia dell’arte, inventa nello stesso istante anche i propri precursori? Allo stesso tempo è pure egli stesso un precursore inventato da altri grandi artisti che vivranno nel futuro? 

In una dimensione spazio-temporale allargata, i buchi neri sulle ali del drago possono essere connessi con il buco nero di Anish Kapoor, profondo due metri e mezzo, in cui è caduto il turista italiano sopra citato?(2) L’illusione di vedere un cerchio nero pieno ha ingannato lo sguardo del fruitore. D’altronde quest’opera era stata realizzata sul confine tra l’abisso e il suolo, tra il nero assoluto e l’estensione della luce, tra un cerchio e un cilindro, tra una superficie piatta e una profonda. Quel buco, inoltre, raffigurante la discesa al limbo, è stato reso ancora più ingannevole dall’assoluta mancanza di riflessi della vernice usata da Kapoor, una qualità di tinta che assorbe ogni tipo di luce, simulando una cavità nera, piena e compatta. Quel nero, anziché porre in rilievo i diversi elementi dell’installazione rispetto al contesto, crea un vuoto celandolo (o cela un vuoto reale). 

Questo nero assoluto è il “Vantablack” (da “Vertically Aligned NanoTube Arrays” ovvero schiere di na notubi allineati verticalmente), un colore che viene utilizzato per apparecchiature della Difesa inglese, per rendere invisibili satelliti, aerei e altre strumentazioni, in grado di assorbire il 99,96 % della luce. 

Kapoor ha acquisito, in esclusiva dall’azienda produttrice, ovvero dalla società britannica Surrey NanoSystems, i diritti di utilizzo della tintura nel campo dell’arte. Con “Vantablack” tutti gli oggetti diventano invisibili, e gli effetti di assorbenza massima sono ottenuti attraverso dei nanotubi di carbonio. Cosa direbbero Platone e Plotino di fronte a un oggetto dipinto con questa vernice? La visione è veramente permessa dai raggi di luce che, colpendo un oggetto, tornano verso l’occhio? Questo nero assoluto fa in modo che da un oggetto nessun raggio ritorni verso l’occhio. E qui la questione filosofica cade nella trappola oscura di Descent Into Limbo?


Il nero usato da Anish Kapoor crea un vuoto celandolo (o cela un vuoto reale)


Anish Kapoor, Descent Into Limbo (2018), installazione presentata in occasione della mostra Anish Kapoor: Works, Thoughts, Experiments al Museu de Serralves di Porto (Portogallo) (6 luglio 2018 - 17 febbraio 2019).


frame da Wile Coyote e Beep Beep (1949), di Chuck Jones;


frame da The Hole Idea (1955), di Robert McKimson.

(2) Vi sono altri precedenti legati ai buchi neri, più ironici, arguti e divertenti al contempo: torna alla mente The Hole Idea (1955, animato e diretto da Robert McKimson per la Warner Bros. Cartoons Inc.) dove il professore Calvin Q. Calculus intuisce e realizza l’idea del buco nero piatto e trasportabile (creato versando un liquido contenuto in una sorta di bottiglietta) che però ha la capacità, una volta piazzato a terra, di diventare cavo e di far cadere nel vuoto chiunque vi cammini sopra. Ma cadrà in mano alla delinquenza che lo utilizzerà per mettere a frutto innumerevoli furti. Dopo aver compreso i danni che può innescare la sua invenzione, il professore usa ugualmente il buco portatile in chiusura della storia, per far cadere sua moglie brontolona – che lo tormenta continuamente con rimproveri e fiumi di parole fastidiose – fino all’inferno. Alla fine il diavolo la riporterà in superficie, stanco di sentirla parlare. L’idea dei “portable holes” viene ripresa anche nei cartoni animati con Wile Coyote e Roadrunner (Beep Beep o Bip Bip), per le serie Looney Tunes e Merrie Melodies. Il “portable hole” compare anche in Who Framed Roger Rabbit (1988), in Yellow Submarine (1968), in Monty Python’s Flying Circus (serie televisiva in onda dal 1969 al 1974).

ART E DOSSIER N. 363
ART E DOSSIER N. 363
MARZO 2019
In questo numero: Expat: artisti senza patria. Anguissola, una cremonese in Sicilia. Cassatt, dalla Pennsylvania a Parigi. Ribera, uno 'Spagnoletto' a Napoli. In mostra: Hokney e Van Gogh ad Amsterdam. Futuruins a Venezia. Hammershoi a Parigi. Boldini a Ferrara. Hollar a Vinci.Direttore: Philippe Daverio