Grandi mostre. 2 
Pierre Bonnard a Londra

INAFFERRABILE
PITTORE DELL'INTIMITà

Artista dalle molteplici anime, Pierre Bonnard non ha mai aderito alle avanguardie del suo tempo, quali cubismo, astrattismo o surrealismo.
E neanche a nostalgie impressioniste, nonostante il suo amore assoluto per il colore, preferendo lavorare sui ricordi, in piena libertà.

Valeria Caldelli

Un po’ classico, un po’ moderno, in una sorta di “ambiguità”, sempre alla ricerca di un accordo magico tra forme e colori. Insieme conservatore e rivoluzionario, mentre dipinge l’intimità della sua vita borghese o i paesaggi della memoria. Quasi sempre rassicurante nella sublimazione della routine quotidiana, ma qualche volta malinconico e persino angosciante negli autoritratti. Bonnard l’inafferrabile, dalle “etichette” impossibili, mai attratto dalle avanguardie dei suoi tempi, fossero queste cubiste, surrealiste o astrattiste. «Non appartengo a nessuna scuola», diceva lui affermando la sua autonomia. Per anni è stato definito il «pittore della felicità », suggestivo, facile e piacevole come il mondo che descriveva. Ma guardandola da più lontano la sua opera mostra un dialogo tra passato e futuro e rivela aspetti che vanno oltre il sogno idilliaco di armonia tra uomo e natura e quel desiderio di gioia che certamente apparteneva al suo spirito ma che, nonostante i suoi tentativi di isolamento, doveva lottare e farsi spazio nella realtà e nella sua stessa vita privata. Da qui quelle contraddizioni che insieme alla forza e alla potenza evocatrice dei suoi colori hanno recentemente collocato l’artista francese - tanto disprezzato da Picasso - tra i fondatori dell’arte moderna e contemporanea. «Colui che canta non è sempre felice», annota lo stesso Bonnard il 17 gennaio del 1944, due anni dopo la morte della compagna Marthe, circondato dagli orrori della guerra.


Pierre Bonnard nel 1941 in una fotografia di André Ostier.

Un intreccio di luci e colori che esplode fuori
dalla finestra della sua stanza


Ma sul cavalletto dipinge L’atelier con mimosa, un intreccio di luci e colori che esplode fuori dalla finestra della sua stanza. Soltanto in basso, sulla sinistra della tela, appare seminascosto un volto misterioso, presenza enigmatica avvolta nella luminosità diffusa.
Con un centinaio di opere provenienti da musei e collezioni private di tutto il mondo, la Tate Modern di Londra ci mostra fino al 6 maggio i diversi volti di Pierre Bonnard, dai nudi sensuali ai paesaggi vibranti di emozioni, alle scene di vita domestica. «Bonnard è stato spesso caratterizzato come un artista solitario, estraneo agli eventi a lui contemporanei», spiega il curatore della mostra Matthew Gale. «Una delle nostre aspirazioni è quella di reinserirlo nella storia, riconoscendolo come un uomo impegnato con il mondo intorno a lui. Le sue opere, esposte attraverso i diversi temi da lui preferiti, ma sempre nell’ordine cronologico in cui sono state dipinte, generano nuove domande, permettendoci così una maggiore comprensione della sua vita e della sua attività».
Con l’obiettivo di rivelare scorci poco noti dell’artista francese e aprire nuove strade alla sua conoscenza, l’esposizione ci offre l’opportunità unica di ammirare due dipinti solo raramente visibili: Un villaggio distrutto vicino a Ham e Il 14 luglio 1918. Il primo nasce da una delle missioni con l’esercito riservate agli artisti non combattenti, a cui Bonnard partecipò nel 1917, quando aveva cinquant’anni.

Autoritratto (1930).

I colori sono monotoni, l’immagine dolorosa, con una figura sulla sinistra seduta su una rovina, una mano appoggiata su un bastone e lo sguardo rassegnato, mentre sul lato opposto si riconosce un gruppo di militari. Il 14 luglio 1918, in cui il pittore stesso appare in mezzo alla folla caotica e festante, riflette invece le emozioni nel giorno del ricordo della presa della Bastiglia. «Queste due opere descrivono due aspetti dell’esperienza della prima guerra mondiale da parte di Bonnard, dalle desolate scene di battaglia ai fuggevoli momenti della celebrazione nazionale», commenta il curatore. «Ciò illustra la risposta ancora poco conosciuta del pittore agli avvenimenti di quegli anni e ce lo indica come un artista profondamente consapevole del mondo intorno a lui».
La mostra Pierre Bonnard. The Colour of Memory tralascia la fase giovanile dell’artista, quando a Parigi frequentava il gruppo dei Nabis, emozionandosi per le stampe giapponesi. Si concentra invece sul periodo compreso tra il 1912 e il 1947, anno della sua morte.  Il 1912 segna un confine nella vita di Bonnard, perché è allora che acquista una piccola casa a Vernonnet, in Normandia, con un grande balcone e vista sulla Senna. La chiamerà Ma Roulotte e rappresenterà il luogo in cui avrà inizio la sua amicizia con Monet, che abitava nella vicina Giverny. Ormai va sempre meno a Parigi e comincia piuttosto a scoprire il Sud della Francia, dove si trasferirà definitivamente nel 1926 dopo aver acquistato la villa Le Bosquet, sulle colline di Le Cannet, in Costa azzurra. Lontano dalle città, in piena campagna, il colore lo trascina e diventa la chiave delle sue composizioni, insieme alla passione per i giardini, che condivide con Monet, e a quella delle finestre aperte sul mondo, che invece ha in comune con Matisse. 


L’atelier con mimosa (1939-1946) Parigi, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou.

Un villaggio distrutto vicino a Ham (1917), Parigi, Centre National des Arts Plastiques;


Il 14 luglio 1918 (1918);


Il giardino (1936), Parigi, Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris.

«È più forte di me: ogni primavera mi forza a dipingerla», dice a Marguerite Maeght, gallerista e mecenate, parlando della sua mimosa.
Per sempre, in maniera infaticabile, Bonnard ha cercato di capire il rapporto che unisce il disegno al colore, riconoscendo però a quest’ultimo una netta supremazia, al punto da avvicinarlo, in alcuni casi, alla strada dell’astrazione. In fondo, dalla Normandia alla Costa azzurra, la sua tavolozza non cambia molto, anche se forse nel Sud il pennello diventa più fluido. D’altronde quei colori non appartengono alla realtà, ma alla sua memoria, alle emozioni di momenti fuggevoli impressi in note e veloci schizzi e poi rivissuti e sognati nell’atelier. Una vibrante luminosità che la Tate Modern esplora attraverso una serie di radiosi paesaggi, da Estate a Il Giardino, dove una sinfonia di gialli, verdi e blu si intreccia in un groviglio astratto, mentre Finestra aperta sulla Senna (Vernon) ci trasporta verso l’impressionismo.

Dipinge quello che ha ogni giorno sotto gli occhi,
ma non si dà pena di rappresentarlo esattamente


Non a caso Bonnard (la critica è sempre alla ricerca di “contenitori”) è stato a volte definito come «l’ultimo impressionista». Matthew Gale non è d’accordo e lo spiega così: «Lavorare sui ricordi, come faceva Bonnard, era in netto contrasto con il metodo degli impressionisti che preferivano dipingere “en plein air”. Lui invece non dipingeva di fronte a un soggetto, ma lavorava nel suo studio. La pratica di Bonnard di ricostruire attraverso i ricordi è stata la chiave del suo successo perché gli permetteva una maggiore flessibilità nello sperimentare sia la prospettiva che il colore. In questo modo ha sviluppato il suo stile unico, completamente diverso dall’impressionismo e, senza dubbio, anche dal cubismo».
Ma nell’universo di Bonnard non ci sono solo i paesaggi idealizzati che si aprono intorno alle sue dimore: tutta la vita familiare cade sotto il suo pennello. Lui dipinge quello che ha ogni giorno sotto gli occhi, ma non si dà pena di rappresentarlo esattamente: anche la sua intimità ce la racconta “distorta” dai sentimenti e dalla memoria. È così che l’apparente leggerezza di questi soggetti nasconde una serie di turbamenti, a volte inquietanti, a volte pieni di malinconia. Tra i soggetti più tormentati certamente sono i suoi autoritratti, molti dei quali dipinti dopo il 1920, negli anni della maturità. I momenti conviviali sono comunque frequenti e la “salle à manger” diventa spesso protagonista. La troviamo nel Caffè con la vistosa tovaglia a quadri rossi e bianchi, e ancora nella Sala da pranzo in campagna.
Ma il tema dominante restano i nudi delle sue “femmes à la toilette”, e la compagna Marthe è la modella preferita. Inossidabile Marthe, che nei suoi ricordi e nelle sue opere resterà eternamente giovane, senza mai un segno del tempo. L’aveva conosciuta a Parigi nel 1893, quando si faceva chiamare Marthe de Méligny (il suo vero nome era Maria Boursin) e vendeva fiori artificiali in boulevard Haussmann.


Finestra aperta sulla Senna (Vernon) (1911-1912), Nizza, Musée des Beaux-Arts Jules-Chéret.

Donna fragile, afflitta da varie malattie, compresa la tubercolosi, si curava con una sorta di idroterapia che la portava a trascorrere in bagno una buona parte della sua giornata. Di carattere ombroso e geloso, Marthe finirà per isolare Bonnard dai suoi amici e dal mondo, costringendolo alla solitudine. Eppure resterà sempre la musa prediletta e alla sua morte, avvenuta nel 1942, l’artista trasformerà la sua stanza in un “mausoleo” di ricordi. Negli spazi della Tate Modern sulle rive del Tamigi, la ritroviamo ora, tra i molti altri dipinti, in Nudo in un interno e in Nudo nella vasca da bagno.
Marthe, però, non è stata la sola donna nella vita di Bonnard. Lui, dandy, nei suoi anni giovanili bello ed elegante, amava sedurre, così come amava le automobili. Nella Ciotola di latte, Renée Monchaty ci appare in piedi con i capelli lunghi e un abito rosa, mentre i raggi del sole entrano dalla finestra alle sue spalle. Bonnard l’aveva conosciuta poco prima di dipingere il quadro, nel 1918, ed era da subito diventata sua modella e amante. La ritroviamo ancora in Giovani donne in giardino dove, protagonista del quadro insieme alla tovaglia a righe dietro di lei, ci sorride radiosa, mentre il volto di Marthe è marginale, nell’angolo destro. La composizione del quadro, cominciata nel 1921, si interromperà per molto tempo. All’età di cinquantotto anni, infatti, Bonnard sposa Marthe: è il 13 agosto 1925 e quindici giorni dopo Renée si suicida. L’artista riuscirà a riprendere e terminare la tela solo nel 1945, dopo la morte di Marthe.
Niente di questo travaglio personale traspare mai, così come resta secondario nella sua opera tutto ciò che esula dai recinti dei suoi giardini. Pittore dell’intimo, Bonnard ci parla sempre della sua vita, ma in realtà non ce la racconta mai, lasciando le sue inquietudini a elementi nascosti, riservati ai “lettori” più attenti. Per tutti gli altri faceva incantesimi, anche quando apriva la porta della sua vita privata. Come ha scritto Maurice Denis, «Bonnard ha il dono delle fate che trasformano una zucca gialla in una carrozza dorata»


Caffè (1915), Londra, Tate;

La ciotola di latte (1919 circa), Londra, Tate;


Nudo nella vasca da bagno (1936-1938), Parigi, Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris.

ART E DOSSIER N. 362
ART E DOSSIER N. 362
FEBBRAIO 2019
In questo numero: Zerocalcare L'anima antagonista di una generazione in mostra a Roma. Avanguardie inattese. Astrattismo rinascimentale. Finestre surrealiste. In mostra : Picasso a Basilea; Bonnard a Londra; I kimono a Gorizia; Van Dyck a Torino; Rinascimento ticinese.Direttore: Philippe Daverio