L'immagine della “Mater misericordiae”(1) ha notevole fortuna nell’arte del Trecento(2), declinata in innumerevoli versioni anche nei due secoli successivi. Una delle tipologie testimonia come la “Mater Dei”, nei periodi delle grandi epidemie e della peste, venisse invocata coralmente dal popolo, addirittura per farsi proteggere dai dardi di un Dio padre castigatore e vendicativo.
Nessuna preghiera sembra efficace contro la peste nera, che imperversa in Europa tra il 1347 e il 1353, e uccide circa venticinque milioni di persone(3). Dal 1348 nascono molti movimenti religiosi, che sfidano il monopolio ecclesiastico sulla sfera spirituale in conseguenza alle epidemie. I flagellanti percorrono le città, la vita quotidiana è scandita da numerose rogazioni e processioni, i pellegrinaggi diventano più frequenti. In questi periodi i governi e la Chiesa hanno grande difficoltà a gestire la crisi. In una società prevalentemente “religiosa”, nel senso che si privilegia l’intervento divino per risolvere tutti i problemi, l’inefficacia delle preghiere mina l’autorità istituzionale della Chiesa, che tuttavia è un colosso inaffondabile e sopravvive, come del resto in ogni altro periodo di grande crisi del passato. In molti luoghi vengono innalzate chiese votive dedicate a san Sebastiano e a san Rocco, patroni degli appestati. Il popolo, deluso dal silenzio e dall’indifferenza del Dio patriarcale (ora inteso più come giudice severo che come padre buono), cerca conforto altrove, indirizzando le sue suppliche alla discendente cristiana della dea madre: l’attributo della misericordia viene ora riservato alla Vergine Maria. Il mantello della divinità misericordiosa che protegge i membri delle confraternite è da considerare come la manifestazione visiva di un preciso richiamo alla fratellanza sociale.
Nelle opere d’arte le dimensioni della vergine-madre, testimonianza del grado di valore e importanza che ha assunto nel Trecento, vengono equiparate a quelle solitamente attribuite a Dio padre.