In Cina esiste un detto: «Il cielo ha il Paradiso, la terra Suzhou e Hangzhou». In effetti queste due città, antiche capitali pre-imperiali e oggi diversamente candidate a rappresentare alcuni aspetti delle nuove anime (quella turistica e quella dell’industria tecnologica) di un paese in rapida crescita ed evoluzione, furono in passato veri e propri “templi” della civiltà cinese dei giardini; e ancora oggi Suzhou fa dei suoi magnifici giardini - seppur quasi interamente ricostruiti dopo l’ultima invasione giapponese (1937-1945) - la prima attrazione turistica del luogo, perno di uno sviluppo economico che punta a compensare e superare il declino della parabola manifatturiera che, fino ad anni recenti, ne aveva garantito la prosperità.
“Venezia d’Oriente”, lungo i suoi canali Suzhou (e con essa Hangzhou, donde parte il “Canal grande” che si estende fino a Pechino) ha in parte conservato anche molti esempi dell’architettura popolare tradizionale, oggi sotto tutela dello Stato: case basse, perlopiù affacciate su corsi d’acqua, dalle pareti candide per l’intonaco reso brillante da un sole spesso generoso di luce e dalla contrastante incorniciatura scura di tetti coperti da tegole grigie. Incastonato in mezzo a questo contesto di fronde, acqua ed embrici, sorge quel che resta di un’antica dimora nobiliare, lo Zhong Wang Fu, restaurata nel 1960 per ospitare il locale museo archeologico e storico-artistico (Suzhou Museum), punto di riferimento per lo studio della civiltà Wu, uno dei regni più floridi e raffinati della Cina antica.