Arte contemporanea


un progetto
spaziale

Cristina Baldacci

«Cambiare il modo in cui ci vediamo », questo è lo scopo dichiarato di Orbital Reflector, uno degli ultimi progetti dell’artista americano Trevor Paglen (Camp Springs, Maryland, 1974), che ha pressoché del fantascientifico. Ideato nel 2015, si realizzerà questo autunno, quando un razzo lancerà nello spazio uno dei suoi “satelliti nonfunzionali”. Una volta in orbita, la struttura che lo ospita si aprirà permettendo al satellite-scultura in polietilene tereftalato - una resina termoplastica che si usa anche per conservare gli alimenti - di gonfiarsi, raggiungere una dimensione di circa 30 metri (100 piedi) in lunghezza e un metro e mezzo (5 piedi) in larghezza, e prendere la forma di una sorta di obelisco a punta di diamante. L’opera di Paglen ruoterà attorno alla terra per alcune settimane riverberando la luce del sole e facendosi notare, soprattutto di notte a varie latitudini, con un luccichio simile a quello delle stelle. Finché, come in un film di spionaggio, non si autodistruggerà, entrando a contatto con l’atmosfera (per aggiornamenti: www.orbitalreflector.com).


Sorprendente, anzi fantascientifico: un “satellite nonfunzionale” dell’americano Trevor Paglen ruoterà intorno alla terra per alcune settimane


Nati da una combinazione tra scienza e arte, i “satelliti nonfunzionali” cercano di rispondere - come spiega l’artista stesso sul suo sito (www.paglen.com) - «alla domanda su come sarebbe l’ingegneria aerospaziale se i suoi metodi fossero dissociati dagli interessi corporativi e militari sottesi all’industria». Fatto curioso, se si pensa che uno dei maggiori sostenitori del progetto - il cui costo si aggira intorno a un milione e trecentomila dollari -, insieme al Nevada Museum of Art, è il magnate Elon Musk. Oltre ad avere fondato l’azienda aerospaziale SpaceX, Musk è iniziatore e amministratore delegato di multinazionali ecotecnologiche come Tesla, specializzata in veicoli elettrici, pannelli solari e batterie ricaricabili, che, pur essendo energie rinnovabili, sono pur sempre fonte di grandi business.
Non è invece insolito l’impegno di Paglen in progetti sperimentali al di fuori dei confini dell’arte e a stretto contatto con le nuove tecnologie. In passato ha già infatti portato a termine, collaborando con l’organizzazione no-profit Creative Time e il Massachusetts Institute of Technology (Mit), il lancio di una sua opera nello spazio (The Last Pictures, 2012) - un nuovo “golden record” contenente una serie di immagini sullo stato attuale del mondo progettato per durare quasi all’infinito - e realizzato una scultura radioattiva (Trinity Cube, 2015) per la “zona di esclusione” di Fukushima, in seguito al disastro nucleare del 2011. Come artista e teorico Paglen si interessa in particolare di come le immagini, soprattutto quelle che non dipendono più né dalla mano, né dall’occhio umano, perché create da algoritmi per altri algoritmi, si muovono, agiscono e ci sorvegliano nell’universo digitale (si veda il suo saggio Operational Images - questa definizione è stata coniata da un altro artista-teorico, Harun Farocki - apparso sulla rivista online “e-flux” nel novembre 2014).

ART E DOSSIER N. 359
ART E DOSSIER N. 359
NOVEMBRE 2018
In questo numero: Laboratorio futuro - Gli scenari di Adelita Husni-Bey; Nuovi spazi per l'arte - In Cina, nelle Fiandre, in Lucchesia; Medioevo inquieto - Maria protettrice: un'iconografia fortunata In mostra: Picasso a Milano; Chagall a Mantova; Ghiglia a Viareggio; l'Oceania a Londra; Brouwer a Oudenaarde; da Tiziano a Van Dyck a Treviso.Direttore: Philippe Daverio