Studi e riscoperte. 2
Tintoretto e l’architettura

UNA PITTURA
PER IL TEATRO DEL MONDO

Il quinto centenario della nascita di Tintoretto riporta all’attenzione del pubblico la qualità del suo talento e la sua importanza storica di innovatore. Un tratto forse meno noto è l’influenza che ha avuto sull’architettura del suo tempo, in un momento - fondamentale per gli sviluppi successivi - di recupero dell’antico e di apertura al nuovo.


Philippe Daverio

Il primo teatro in Europa che riprese la tradizione dell’antichità e fu costruito appositamente per le recite è quel bellissimo Odeo Cornaro fatto erigere a Padova nel 1524 da un gruppo di umanisti su disegno di Giovanni Maria Falconetto: la scena e il fondale riprendevano l’impianto dei teatri grecoromani che la passione antiquariale di quegli anni veniva a riscoprire, collazionando le indicazioni dei pochi teatri che l’Europa aveva conservato.

In quel secolo, per esempio, la diffusione delle immagini relative al teatro di Mérida, in Spagna, suscitò grande interesse: la scena con i suoi tre accessi centrali e i due ingressi laterali servì innegabilmente da fonte d’ispirazione per il secondo teatro moderno, edificato a Vicenza nel 1580 su progetto di Palladio ma che il sommo architetto non ebbe la fortuna di vedere ultimato perché morì subito dopo l’inizio dei lavori; fu il suo discepolo Scamozzi, quasi sicuramente, l’artefice del completamento. E così Vincenzo Scamozzi fu chiamato a eseguirne una seconda edizione per il più bizzarro dei potenti d’allora, quel Vespasiano Gonzaga che stava inventando la sua città di fondazione, quella piccola Sabbioneta che divenne uno dei primi esperimenti di città ideale. Finita quell’opera innovativa quanto ambiziosa vi fu inciso nella pietra un pensiero che più d’ogni altro raccoglieva la sensibilità del Rinascimento: «Roma quanta fuit ipsa ruina docet».

La passione per l’architettura romana era intesa non solo come citazione aulica da applicare al disegno delle facciate inventate dai sommi architetti. Era percepita come impostazione complessiva della città e dei suoi monumenti e aveva già da un secolo colpito la fantasia dei pittori. Paolo Veronese aveva celebrato con enfasi le arcate della romanità riprendendo le lezioni di Sansovino nella loggia di piazza San Marco a Venezia.

La passione per l’architettura romana aveva già da un secolo colpito la fantasia dei pittori


Ma la massima invenzione volta alla restituzione dell’architettura d’un passato immaginario fu innegabilmente quella dell’umile Tintoretto. L’esaltazione della prospettiva e l’invenzione dei doppi punti di fuga è tutta materia sua e aspetterà l’arrivo dei Bibbiena nel secolo successivo per diventare definitiva nei fondali del palcoscenico teatrale.

La coorte di pittori eccellenti che viveva e operava a Venezia nella prima metà del Cinquecento stava testimoniando per la prima volta una mutazione sociale del ruolo dell’artista.


Il teatro romano di Mérida (Spagna meridionale, 15-16 a.C.).

Nel secolo precedente le botteghe erano diventate autentici opifici di famiglia come avvenne per la piccola tribù dei Bellini alla quale s’era aggregato inizialmente per matrimonio pure il foresto Andrea Mantegna. Vittore Carpaccio dal lato suo era uomo accreditato presso le Scuole come presso le magistrature della Serenissima. Tiziano era sceso dal Cadore già uomo agiato ed era presto diventato pittore ufficiale della Repubblica. Gli uomini nuovi provenivano infatti dalla terraferma e facevano carriera grazie alle proprie capacità competitive. Andrea di Pietro della Gondola nasce a Padova nel 1508 figlio d’un modesto mugnaio e per darsi tono prenderà lo pseudonimo di Palladio. Paolo Caliari che diventa il Veronese era nato nel 1528 figlio d’uno scalpellino: farà grande e fortunata carriera.

Se Venezia attira i pittori lo fa altrettanto con gli architetti di quegli anni, quando Firenze già si è ripresa e da Roma conviene fuggire per via dei lanzichenecchi; Sansovino infatti approda in laguna nel 1527 fatidico del Sacco di Roma, rimarrà a Venezia fino alla sua morte nel 1570 e influirà sulla formazione del giovane Palladio; il quale a sua volta lascerà come erede e discepolo il vicentino Vincenzo Scamozzi che porterà a termine il Teatro all’antica o Teatro olimpico nella sua città.


Interno del Teatro olimpico di Vicenza, progettato da Andrea Palladio nel 1580 e terminato con la costruzione delle scene da Vincenzo Scamozzi nel 1585.

E l’umile Tintoretto, Jacopo figlio del tintore d’origine lucchese Giovanni Battista Robusti, invece, nasce nel 1518 proprio fra le calli della laguna. Dalle tinture di seta del padre passa alla pittura con un’innata abilità; se ne va a bottega dal celebratissimo Tiziano che lo licenzia quasi subito, si dice spinto da invidia per il suo talento. E forse questa invidia è assai comprensibile se si osserva con attenzione l’inclinazione del giovane al gesto pittorico, con quei segni svolazzanti di pennello che diventeranno la cifra della sua pittura matura. Attraversa Tintoretto l’intero arco del secolo, morendo nel 1594. Lavora più per passione che per danaro; anzi si fa pagare somme sufficienti alla sopravvivenza, con un’apparente noncuranza per l’agiatezza. È quella forse la sua vendetta nei confronti di Tiziano.


Tintoretto trasferisce le percezioni architettoniche in progetti impossibili che reali poi diventeranno nei teatri di fine secolo


Nel lungo percorso della sua attività assimila, come per incanto, le lezioni d’una cultura visiva in rapida evoluzione. Quasi certamente, da giovane va a vedere l’impianto pittorico più estremo di quel tempo, la folle decorazione che a palazzo Te di Mantova sta affrescando Giulio Romano e dove opera pure il Primaticcio. E diventa Tintoretto, inconsapevolmente, il primo manierista della pittura veneziana, con un vigore che ai suoi colleghi più fortunati di Firenze e di Roma sembra talvolta mancare. Questo vigore gli proviene dal combinare la lezione romana con quella veneziana, quella pittorica con quella dell’architettura che interpreta recuperando la lezione degli edifici di Carpaccio per riportarla rinnovata nel secolo suo. Si fa così inatteso anticipatore delle volute barocche del secolo successivo, con un intuito magico. Ma soprattutto andrà a definire un modo di dipingere che affrancherà definitivamente Venezia dalla linea ben tracciata, dal colorito antico. E si ritrova così in parallelo con quel Tiziano che lo avrebbe invidiato per la sua facilità nel disegno e perché ne aveva carpito la passione per la materia, portandola all’estremo in una pennellata che talvolta sembra anticipare quella moderna del XIX secolo. L’umile Tintoretto diventa visionario, dipinge per Palazzo ducale teleri dalle dimensioni infinite, trasferisce le percezioni architettoniche in progetti impossibili che reali poi diventeranno nei teatri di fine secolo.


Interno del Teatro all’antica o Teatro olimpico, edificato da Vincenzo Scamozzi a Sabbioneta (Mantova) nel 1588-1590.

Nessuno più di lui fu ossessivamente stimolato dalle fughe prospettiche nelle architetture, nessuno più di lui trasformò in masse teatrali i personaggi che affollano le sue scene. Con Palladio ebbe rapporti certi ma non si sa se abbia frequentato lui il Teatro olimpico di Vicenza oppure se la visione prospettica elaborata nei dipinti sia diventata cimento per la serie di quinte che in quel teatro furono per la prima volta progettate come un parossismo della linea di fuga replicata per ognuna delle cinque prospettive dalle quali lo spettatore veniva incantato. E se la meraviglia, come sostenuto da Giambattista Marino, diventerà nel secolo successivo fondamento ideologico della cultura barocca, Tintoretto di questa meraviglia è forse l’anticipatore più significativo.

ART E DOSSIER N. 358
ART E DOSSIER N. 358
OTTOBRE 2018
In questo numero: TINTORETTO 500 ANNI Philippe Daverio: Il pittore e gli architetti. PRERAFFAELLITI Elizabeth Siddal, Borea di Waterhouse. IN MOSTRA Licini a Venezia, Surrealisti a Pisa, Arte e magia a Rovigo, Burne-Jones a Londra, Courbet a Ferrara. Direttore: Philippe Daverio