La pagina nera

VENEZIA AL NUOVO ALBERGO
ADESSO MOSTRA IL TERGO

Dimore storiche convertite in hotel di lusso, altre che potrebbero diventarlo, altre ancora, come palazzo Gussoni Grimani Della Vida, per le quali la Soprintendenza non ha dato, per fortuna, il suo benestare. Certo, l’attività ricettiva porta soldi ma di questo passo che ne sarà della cultura e dell’identità della città?


di Fabio Isman

La Serenissima si spopola sempre più; e gli uffici pubblici si ridimensionano. Occupavano spesso eleganti e autorevoli palazzi, anche sul Canal Grande: l’eredità lasciata da famiglie patrizie decadute, se non scomparse. Ma adesso, li dismettono. E sovente, ne nascono grandi alberghi. Venezia è ridotta a una città di ricordini e di paccottiglie, spesso “made in China”, e di sempre nuovi hotel. Ma forse, il palazzo che era dei Gussoni, Grimani, e Della Vida, non subirà questo destino: una commissione, infatti, ha finalmente detto no. Però, andiamo per ordine, e raccontiamone la storia, con alcune tra le altre simili dei tempi recenti.

L’edificio è sul Canal Grande: quei 3.800 metri a forma di “S” rovesciata, che costituiscono «la più bella strada al mondo, fiancheggiata dalle più belle costruzioni», spiega John Ruskin (Le pietre di Venezia); «il ricreator di ciascun che il solca» per Pietro Aretino, che ci abita a lungo. È di fronte a Ca’ Pesaro, oggi museo d’arte moderna: alto quattro piani, contando anche l’ammezzato. È eretto nella sua forma attuale tra il 1548 e il 1556 per i Gussoni, famiglia veneziana documentata dall’XI secolo. Ma, ben presto, ha una vita complicata. I Gussoni si estinguono nel 1735, quando muore il senatore Giulio.

Secondo la sua volontà, la proprietà viene divisa in due: una parte alla moglie, Faustina Lazzari, e l’altra alla figlia Giustiniana. Da un disegno, e da documenti del catasto, sappiamo che, dal 1747, ci vive in affitto Giambattista Tiepolo: il quale eterna la vicina chiesa di San Felice con una prospettiva presa dall’ultimo piano.


La conversione in albergo di palazzo Querini Dubois è stata bloccata dal Comune


Storie e storiacce veneziane: Giustiniana dà grande scandalo perché, nel 1731, fugge con il conte bergamasco Francesco Tassis, autore anche di un libro sulle vite degli artisti della sua zona. I due si sposano in clandestinità; ma il Consiglio dei dieci, tra i massimi organi del governo veneziano e che sorvegliava pure la sicurezza dello Stato, nega validità alle nozze.


Palazzo Balbi, sede di giunta e presidenza regionali, costruito nel 1500.

Lei resta poi vedova, e convola a nozze con Pietro Maria Curti; di nuovo sola, muore nel 1747. Faustina è proprietaria unica dell’immobile: lo lega alla famiglia, con l’obbligo perpetuo di mantenerne comunque il cognome. Nel 1798 l’edificio è ceduto ai Grimani, che però lo conservano per poco: già nel 1816 è infatti dell’affarista Cesare Della Vida, tra l’altro armatore, consigliere della Cassa di risparmio e della Camera di commercio che nell’Ottocento, con le sue sostanze, contribuisce non poco all’ultima indipendenza della città.

Così il palazzo - per la cui ricostruzione su un precedente edificio gotico si fa il nome di Michele Sanmicheli (lo dice Francesco Sansovino, ma non tutti sono concordi) - passa al demanio, e ora è sede del Tar. Due balconi a quadrifora sovrapposti, la facciata era stata decorata da Jacopo Tintoretto: ne restano le incisioni di Anton Maria Zanetti; si sa che gli affreschi raffiguravano anche Adamo ed Eva, Caino e Abele e Il Crepuscolo e l’Aurora ispirati alle sculture delle Cappelle medicee di Firenze realizzate da Michelangelo. È stato, per quattro anni dal 1614, anche la sede dell’ambasciatore inglese in laguna.

Bene; come in un gioco dei dadi, si prevede che il Tribunale amministrativo, dal 2021, si trasferisca nell’ex convento di Santo Stefano, nell’omonimo campo, dove c’era l’Agenzia delle entrate. Ma nel frattempo la Regione vuole vendere l’edificio (valore stimato, tredici milioni e mezzo di euro) e per “far cassa”, che c’è di meglio di una destinazione alberghiera, la più semplice e più redditizia? Però, la Commissione regionale per i beni culturali, che fa capo al segretariato regionale del Ministero dei beni culturali, in una riunione ha detto no.


Palazzo Querini Dubois, in campo San Polo ma con facciata sul Canal Grande, di proprietà di Poste italiane, creato nel Quattrocento e rifatto un secolo dopo.

Esprime il «diniego agli usi, proposti dalla proprietà dell’immobile, concernenti le destinazioni turistico-ricettive e di ospitalità e accoglienza. Nulla si dice per quella “residenziale”». Ma per vendere, serve pure l’autorizzazione della Soprintendenza: l’immobile, ovviamente, è vincolato. E non è nemmeno il solo in queste condizioni.

È in vendita anche, e potrebbe diventare pure un albergo, palazzo Balbi: ora sede di giunta e presidenza regionali, sempre sul Canal Grande, accanto a Ca’ Foscari che ha dato il nome all’università. Anch’esso del Cinquecento, progettato da Alessandro Vittoria, dimora di una famiglia assai importante, e luogo di un aneddoto che racconta lo “spigolatore” Giuseppe Tassini: Nicolò Balbi viveva in una casa in affitto; si dimentica di pagare la rata; è offeso dal padrone di casa; salda il debito e decide di costruirsi una dimora (appunto questa); intanto, va a vivere su una casa galleggiante, proprio davanti a quella del suo ex locatore. Da palazzo Balbi, nel 1807, Napoleone assiste alla regata in suo onore. L’edificio diventa poi di tanti altri celebri personaggi: pure di Michelangelo Guggenheim, il famoso antiquario e mercante che ha “aiutato” infiniti tesori a lasciare la città e il paese; era anche un grande creatore d’interni: suoi gli arredi di certe sale del Quirinale e della Villa reale di Monza. Nel 1925 palazzo Balbi va alla Sade, la società elettrica fondata da Giuseppe Volpi, conte di Misurata (Libia), e dal 1971 è della Regione. Ma non basta: nel “valzer degli enti pubblici” è già divenuto albergo, s’intende di lusso, palazzo Corner Reali in campo della Fava, la precedente sede del Tar: era dei mercanti Fava, poi di una famiglia nobilissima, quindi di un ricco commerciante di cera.


Ca’ da Mosto eretta nel 1200, dimora del navigatore Alvise, nel Quattrocento al servizio di Enrico II del Portogallo.

E anche Poste italiane, dopo aver permesso che il Fondaco dei tedeschi, ex sede dei loro uffici centrali, venisse trasformato in un “megastore” (l’edificio è stato ceduto nel 2008, chi dice per 30, chi dice per 50 milioni di euro ai Benetton), attendono di sapere se potranno fare lo stesso con palazzo Querini Dubois (che dovrebbe essere riconvertito in struttura alberghiera) in campo San Polo ma con la facciata sul “Canalazzo”: 3.900 metri quadrati con una corte esterna di 200, due piani nobili e affreschi ottocenteschi, creato nel Quattrocento per gli Zane e rifatto un secolo dopo. È chiuso da anni, in attesa di tempi (immobiliarmente) migliori, ed è stato usato per dieci anni dalla Biennale. Da secoli, spariti gli affreschi che originariamente vantava. L’accordo per farlo diventare hotel esisteva già; poi, è però intervenuto il blocco del Comune per questo genere di trasformazioni.

Ma in non molti anni, sempre sul Canal Grande, sono diventati alberghi di lusso l’ex palazzo Giustinian Ravà (Pesaro Palace Hotel), già sede del Mediocredito, ceduto dalla Actv, l’azienda comunale per il trasporto pubblico; e anche palazzo Bacchini delle Palme - con il suo bel giardino - è stato trasformato nel Palazzo Venart Hotel dal gruppo taiwanese Ldc (Luxury Dream Culture), che ne ha aperto uno pure sull’isola di Tessera, a mezza strada tra l’aeroporto e il centro storico.


Pesaro Palace Hotel nell’ex palazzo Giustiniani Ravà risalente al 1300.

Ha cambiato proprietà, ma sempre allo scopo di diventare un cinque stelle, anche il più antico edificio sul Canal Grande, Ca’ da Mosto, eretto nel 1200, dimora del famoso navigatore Alvise, nel Quattrocento al servizio di Enrico II del Portogallo, vicino al ponte di Rialto. Ma qui, almeno, si tratta quasi di un ritorno alle origini: dal Cinque al Settecento era il più famoso albergo della città, il Leon bianco: ospita anche Ruskin, che lo definisce «palazzo dei più vigorosi». E a Venezia, è sorto, sempre su quell’acqua, anche uno dei primi “sette stelle”: l’Aman di una catena di Singapore, nel palazzo già Arrivabene Valenti Gonzaga (eredi dei Papadopoli), affreschi di Tiepolo nelle stanze, caminetti disegnati da Sansovino, «accappatoi che paiono pellicce», è stato scritto, «vasche da bagno che sembrano piccole piscine con vista sull’acqua», ventiquattro suites da 3.500 euro a notte.
Insomma, nelle parti migliori e più onuste di storia, nella Serenissima è tutta una grande corsa: non già al grido di «dagli all’untore», bensì a quello di «dagli ai palazzi antichi»; ma siamo sicuri che non vi sia perfino una qualche, pur triste e terribile, similitudine? Una città sempre meno per i residenti, che infatti se ne vanno, e sempre più votata alla monocultura turistica, sia pure di alto bordo.

ART E DOSSIER N. 358
ART E DOSSIER N. 358
OTTOBRE 2018
In questo numero: TINTORETTO 500 ANNI Philippe Daverio: Il pittore e gli architetti. PRERAFFAELLITI Elizabeth Siddal, Borea di Waterhouse. IN MOSTRA Licini a Venezia, Surrealisti a Pisa, Arte e magia a Rovigo, Burne-Jones a Londra, Courbet a Ferrara. Direttore: Philippe Daverio