Letture iconologiche
Borea di John William Waterhouse

QUANDO IL MITO
INCONTRA IL SACRO

In alcuni dipinti del preraffaellita inglese John William Waterhouse - come in Borea, ma non solo - il soggetto mitologico rimanda con molta evidenza a temi mariani, unendo così sensuali e profane suggestioni letterarie a riflessioni sul mistero cristiano.


Luigi Senise

John William Waterhouse, preraffaellita di seconda generazione, era particolarmente legato all’Italia. Era nato a Roma nel 1849; i genitori, i pittori William e Isabela, abitavano nei pressi di piazza di Spagna e, nonostante fossero tornati in Inghilterra quando il figlio aveva appena sei anni, egli rimase così legato a Roma che per il resto della sua vita, vorrà essere chiamato Nino, diminutivo italiano di Giovannino(1). Muore a Londra nel 1917.

Nella sua produzione si trovano temi mitologici, storie del ciclo arturiano e spunti shakespeariani. In qualche caso sembra di poter cogliere livelli di lettura più profondamente religiosi anche in opere di soggetto profano. Nel 1902, Waterhouse esegue il dipinto Borea, dove rappresenta il mito narrato da Ovidio, in cui Borea appunto, il vento del Nord, feconda col suo soffio la ninfa Orizia. L’abito della ninfa è dipinto in un bel tono di blu, plumbeo come un cielo autunnale, a contrasto col giallo narciso che il pittore ha opportunamente inserito accanto l’orecchio della donna: il fiore rimanda alla Vergine Maria, preannunciata nel verso del Cantico dei cantici (2,1): «Io sono un narciso della pianura di Saron, un giglio delle valli»(2), mentre l’orecchio è considerato tradizionalmente l’organo attraverso il quale la stessa Vergine accoglie nel proprio grembo lo Spirito Santo. La cosiddetta “conceptio per aurem” è descritta nel Vangelo armeno dell’Infanzia di Gesù, testo che ispirò un nutrito novero di inni medievali, tra i quali ricordiamo i versi attribuiti a Thomas Becket, cantati dai cori delle parrocchie londinesi durante le festività natalizie: «Gaude Virgo, mater Christi, / Quae per aurem concepisti»(3).

Waterhouse narra il mito greco con un linguaggio proprio dell'arte cristiana


Inoltre, il pittore di certo dovette vedere al British Museum un disegno di Michelangelo raffigurante l’Annunciazione (1542-1546), con la Vergine seduta mentre un angelo, accostandosi al suo viso, sembra davvero “insufflarle” lo Spirito santo.

In Borea Waterhouse, narrando il mito greco con un linguaggio proprio dell’arte cristiana, potrebbe aver fatto allusione a un amore annunciato e infine tragicamente svanito; tornando al dipinto, infatti, a sinistra dell’abito, rigonfio della gelida raffica di vento (che pare echeggiare la forma di un grembo materno), riusciamo a scorgere la sagoma d’un corvo, volatile che è notoriamente sinonimo di cordoglio e afflizione e che stride con il narciso, che posto all’orecchio della giovane dovrebbe suggerire la “conceptio per aurem”, avvenuta non per il nordico vento del mito, ma tramite l’altrettanto impalpabile spirito dell’Eterno. Nel 1909 Waterhouse ricorda la tragica storia di due amanti, anch’essa narrata da Ovidio: in Tisbe, infatti, ritrae la splendida fanciulla di Babilonia mentre è costretta a comunicare con l’adorato Piramo tramite una fessura del muro, poiché ai due giovani non è permesso incontrarsi per via dell’odio che intercorre tra i rispettivi genitori. L’interno della stanza è corredato da un autentico repertorio simbolico tradizionalmente riferito alle virtù della Vergine, come, per esempio, la scala di marmo, di cui scorgiamo alcuni gradini nel fondo, che identifica Maria come colei che, accogliendo lo Spirito santo, permette alla terra di congiungersi col cielo; così come, sulla mensola della finestra, la vitrea caraffa d’acqua rappresenta il terso grembo di Maria o, a destra addossato al muro, l’imponente telaio rappresenta il consueto attributo delle fanciulle illibate nell’Inghilterra vittoriana.


Michelangelo, Annunciazione (1542-1546), Londra, British Museum.

La donna, dai marcati tratti semitici, potrebbe essere dunque Tisbe che ascolta le appassionate parole dell’amato Piramo di là del muro, così come potrebbe anche rappresentare la Vergine che offre il proprio orecchio al fecondo soffio dello Spirito santo.


Nel volto di lei leggiamo stupore, unito con la certezza del dolore che dovrà sopportare


Del 1914 è l’Annunciazione, che l’artista ambienta in un’austera veranda dove la Vergine Maria articola il medesimo movimento delle braccia della giovane Orizia in Borea; mentre le gambe genuflesse derivano probabilmente da una figura del frontone orientale del Partenone, uno dei celebri “marmi Elgin” conservati al British Museum.
In questa tela, oltre che i canonici simboli mariani - la scala (al centro, dietro la Vergine) e il ricamo (in primo piano, a destra) - l’artista inserisce anche il muro (sul fondo) che, perimetrando il rigoglioso giardino, allude all’“hortus conclusus”: quel “giardino serrato”, celebrato nel Cantico dei cantici (4, 12) e che già i Padri della chiesa interpretavano come prefigurazione del grembo inviolato di Maria.

John William Waterhouse, Annunciazione (1914).


John William Waterhouse, Tisbe (1909).

Waterhouse infine evoca anche la ragione per cui Maria è stata concepita: nel colore della fascia che porta avvolta sui fianchi è già prefigurato il colore del sangue che il Figlio verserà durante la Passione e che, ancor prima, trasuderà durante l’Orazione nell’orto: evento, questo, preannunciato dall’albero di ulivo che il pittore dipinge al centro del quadro, tra l’angelo e la Vergine. Nel volto di lei, dunque, leggiamo stupore, unito con la certezza del dolore che dovrà sopportare; e, guardando gli occhi di Gabriele (che le offre il candido giglio della castità), di certo avrà ella notato come i biondi capelli dell’arcangelo siano mossi dal vento: ed è forse questo il medesimo vento che come gelida folata travolge la donna ritratta in Borea, oppure quello che raggiunge l’orecchio della giovane, accostato alla parete, in Tisbe?

Della vita privata di John William Waterhouse non sappiamo molto, se non che in età matura sposò la pittrice Esther Kenworthy, con la quale non ebbe figli, e che la tubercolosi gli aveva funestato l’infanzia togliendogli, ancora fanciulli, due fratelli, oltre che la madre, Isabela, che lo lasciò quando egli aveva otto anni.

«Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va, così è di chiunque è nato dallo spirito»: pagina splendida, questa, del Vangelo di Giovanni (3:15), che il pittore di certo meditò e che dovette fornire lo spunto a Christina Georgina Rossetti, sorella del pittore Dante Gabriel, per scrivere a più riprese del vento, in cui vedeva, come del resto lo stesso Waterhouse, il respiro inafferrabile dell’Eterno: «Non c’è risposta al sospiro del vento, / al suo dire, predire, / morire, dismorire. / Scende e si gonfia / lamento monotono, / fischia e geme, / s’arresta e riprende, / sempre da capo. / [...] / Vivi o morenti, / nel dolore, nel piacere, / non troviamo risposta / al sospiro, che vola, / senza parole»(4).


Dante Gabriel Rossetti, Ecce Ancilla Domini (1850), Londra, Tate Britain. Nelle vesti della Vergine Maria il pittore ritrasse la propria sorella, la poetessa Christina Georgina Rossetti.

(1) Lo studio più completo sul pittore e il suo tempo è il saggio di P. Trippi, J. W. Waterhouse, Londra 2002.

(2) Per il significato del narciso: M. Levi D’Ancona, The Garden of the Renaissance: Botanical Symbolism in Italian Painting, Firenze 1977, p. 244.

(3) Per la “conceptio per aurem”: M. Bussagli, Il corpo umano. Anatomia e significati simbolici, Milano 2005, pp. 283-284; S. Barbagallo, L’Annunciazione nell’arte. Iconografia e iconologia del rimorso e della redenzione, Città del Vaticano 2013, pp. 33-34. Più in generale, per il tema dell’Annunciazione: A. A. Caprettini, Lettura dell’Annunciazione fra semiotica ed iconografia, Torino 1979; M. Baxandall, Pitture ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento, Torino 2001.

(4) Sulla figura di Christina Rossetti: W. M. Rossetti, The Poetical works of Christina Georgina Rossetti, Londra 1906; C. G. Rossetti, Il cielo è lontano. Poesie 1847-1881, a cura di G. Scudder, Milano 1995: la poesia trascritta nell’articolo è a p. 297 (titolo originale, Hollow- Sounding and Mysterious). Per la confraternita dei preraffaelliti, di cui Dante Gabriel Rossetti (fratello di Christina) fu tra i fondatori: M. T. Benedetti, I Preraffaelliti, fascicolo monografico allegato ad “Art e Dossier”, n. 5, settembre 1986.

ART E DOSSIER N. 358
ART E DOSSIER N. 358
OTTOBRE 2018
In questo numero: TINTORETTO 500 ANNI Philippe Daverio: Il pittore e gli architetti. PRERAFFAELLITI Elizabeth Siddal, Borea di Waterhouse. IN MOSTRA Licini a Venezia, Surrealisti a Pisa, Arte e magia a Rovigo, Burne-Jones a Londra, Courbet a Ferrara. Direttore: Philippe Daverio