Grandi mostre. 1 
La 16. Mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia

LA LIBERTÀDELLO SGUARDO

Il concetto di “spazio aperto” è il fulcro attorno al quale ruota la Biennale di architettura 2018 – Freespace – a cura di Yvonne Farrell e Shelley McNamara.
Un tema vasto e strategico che mette in campo competenze e proposte diverse, dove ognuno ha la possibilità di cogliere, soprattutto, infinite chiavi interpretative.

Aldo Colonetti

Freespace rispetto a che cosa, in quale contesto, per quale finalità progettuale? Tema difficile, forse troppo generico rispetto alla complessità contemporanea: la Biennale di Venezia, affidando la curatela della 16. Mostra internazionale di architettura a Yvonne Farrell e Shelley McNamara, è stata comunque coraggiosa a dedicare questa edizione a un argomento così ampio e strategico, non tanto e non solo per i progettisti, quanto piuttosto per tutti coloro che sono destinati a vivere “gli spazi aperti”. Al di là dei progetti presentati a Venezia in un percorso vasto, labirintico, che si snoda, oltreché in città, soprattutto ai Giardini e in quel grande spazio, magico e unico al mondo, che è l’Arsenale, l’impressione generale è di un’immensa mappa di percorsi, anche tra loro contraddittori, comunque utili per definire più concretamente il concetto di “spazio aperto”. È una grande fatica fisica e intellettuale anche solo “gettare lo sguardo” tra un padiglione e un altro; forse avremmo anche noi bisogno di uno “spazio libero”. Siamo talmente bombardati da immagini, informazioni (spesso ripetitive), novità (in primis tecnologiche) che spesso ci manca quella pausa, quell’«intervallo» - come avrebbe detto Gillo Dorfles, rinviando al suo famoso saggio, L’intervallo perduto - per poter avere il tempo di soffermarci e metabolizzare quello che osserviamo. 

Ecco, la nostra visita, avendo come riferimento teorico sia il concetto di Dorfles sia, in modo particolare, il modello “indiziario” - ovvero come una sorta di Sherlock Holmes, andare alla ricerca del “colpevole”, della parte per il tutto, perché è sufficiente un indizio pure minimo per capire anche il resto, come propone Carlo Ginzburg con le sue ricerche da archeologo dell’arte -, ha dato una serie di risultati postivi, soprattutto per quanto riguarda itinerari ed esperienze da tenere come una sorta di carta geografica a futura memoria. 

Certamente la definizione che le due curatrici offrono ai progettisti è fortemente inclusiva; forse è anche un bene quando non si è in grado, data la complessità del tema, di definire a priori un concetto.


Padiglione svizzero, Svizzera 240 - House Tour (2018).


BIENNALE DI ARCHITETTURA 2018 
I NUMERI
- 63 paesi partecipanti.
- Per la prima volta Antigua e Barbuda, Arabia Saudita, Guatemala, Libano, Pakistan, Santa Sede (con un propriopadiglione sull’isola di San Giorgio Maggiore).
- 71 architetti/studi di architetura da 28 paesi nella mostra internazionale.

Ciò che rimane di questa Biennale sono specialmente delle sollecitazioni, delle provocazioni, sicuramente alcune soluzioni progettuali coerenti, il tutto, comunque, secondo una logica di “opera aperta”; a ciascuno quindi la propria interpretazione di spazio aperto secondo un’ermeneutica infinita. 

Detto questo, resta, in primo luogo, il Leone d’oro alla carriera a Kenneth Frampton che a tutti noi ha insegnato che tempo e spazio non sono categorie da declinare secondo modelli interpretativi individuali: costituiscono ciò che Frampton definisce «le condizioni fondamentali non solo del progetto ma soprattutto della costruzione della nostra identità, senza la quale non avremmo la possibilità di riconoscere gli altri e noi stessi». Frampton, anche per quanto riguarda Padiglione svizzero, Svizzera 240 - House Tour (2018). quest’ultima Biennale, è una guida, a disposizione di chiunque, fondamentale per riconoscere il “vero” dal falso, ovvero essere in grado di distinguere i progetti autoreferenziali, utili esclusivamente per coloro i quali esercitano la professione solo per necessità “autoriali” rispetto a tutte quelle soluzioni e proposte fondate su un concetto di architettura che affronta e cerca di risolvere i reali problemi dell’abitare il mondo. 

Il padiglione svizzero (Leone d’oro), con il suo “fuori scala” in relazione al luogo domestico; la Gran Bretagna (menzione speciale) dove il vuoto si trasforma in un “freespace” in cui ciascuno diventa protagonista; Eduardo Souto de Moura, Portogallo (Leone d’oro come progettista) con un’indagine fotografica capace di individuare il rapporto problematico tra architettura, spazio e tempo (attraverso una sorta di grande lente d’ingrandimento, fondata su una definizione aprioristica, di discendenza kantiana) rappresentano alcune testimonianze culturali, ormai riconosciute a livello internazionale, a dimostrazione che le biennali servono anche a rimarcare e a rimettere al centro alcune teorie e pratiche progettuali già avviate e in qualche modo già “digerite”.


Tavoli in legno massello che sprigionano un profumo intenso come se fossimo in un bosco


padiglione italiano, Arcipelago Italia (2018).

Ma accanto a queste conferme, viaggiando soprattutto all’interno degli spazi dell’Arsenale, di per sé uno straordinario “freespace” che non dimentica però né la sua storia né la sua originale destinazione d’uso, emergono alcune esperienze particolari, sulle quali è necessario soffermarsi. L’indonesiano Andra Matin, per esempio, e la sua architettura vernacolare, come “specchio delle molteplici situazioni ambientali del suo paese”. In questo caso, la natura appare come il migliore architetto possibile, è sufficiente solo orientarla! E ancora, il grande maestro ticinese Aurelio Galfetti che “espone” se stesso, attraverso la registrazione di una lezione introduttiva destinata ai suoi studenti del primo anno, svolta presso l’Accademia di architettura di Mendrisio, insieme alla sua casa su un’isola greca, presentata con una serie di disegni, immagini e “maquette”, il tutto inteso come espressione del “proprio spazio”, l’unico, forse, che ci appartiene. E poi di nuovo la Svizzera con Riccardo Blumer e i suoi “esercizi”, realizzati con gli studenti del primo anno (sempre dell’Accademia di architettura di Mendrisio), nei quali è protagonista l’idea di uno spazio e di un tempo nel segno della libertà. Mario Botta che rimette al centro l’esperienza didattica della “sua” Accademia di architettura di Mendrisio, sottolineando con forza e determinazione il valore della cultura umanistica declinata all’interno delle tecniche della costruzione. Infine, lo studio VTN (Vo Trong Nghia) della Repubblica Socialista del Vietnam, con la struttura Bamboo Stalactite, nella quale protagonisti sono gli alberi, considerando la “Terra come cliente”; in sostanza progettare significa imitare le forme già presenti in natura. 

Infine, il padiglione italiano, curato da Mario Cucinella, merita una riflessione a parte. Finalmente una mostra utile concretamente per il nostro paese perché mette a disposizione di tutti i protagonisti del progetto una serie di “istruzioni per l’uso”, necessarie per disegnare in futuro il territorio. Protagonisti sono le “terre di mezzo”, le piccole e medie città appenniniche. Arcipelago Italia è il titolo del progetto; un’Italia particolare, al di fuori dei grandi centri urbani, come un insieme finito di luoghi, storie, interventi che rappresentano con grande qualità allestitiva e chiarezza d’intenti il “che fare”: cosa, come, con quali materiali costruire il domani. Cucinella, giustamente, ha scelto una strada, sospesa tra etica ed estetica, avendo pro- 19 babilmente come riferimento l’insegnamento non solo di Renzo Piano ma soprattutto di Richard Rogers che nel suo ultimo libro Un posto per tutti, non a caso presentato a Venezia dallo stesso Cucinella in occasione di questa Biennale, scrive che «l’architettura dovrebbe essere una questione di azione collettiva, non di singole figure eroiche». Sono esposti, accanto a una serie di documenti e informazioni utili per orientare i futuri interventi progettuali, sei progetti commissionati ad altrettanti studi di giovani architetti, realizzati in collaborazione con diverse istituzioni locali e con tutta una serie di competenze e professionalità. L’allestimento, affidato a Maurizio e Davide Riva (Riva 1920 il nome della loro azienda), su disegno dello stesso curatore, si avvale di grandi tavoli in legno massello che rappresentano, con la loro “materialità naturale”, dalla quale si sprigiona un profumo intenso come fossimo in un bosco, la sintesi di questa Biennale: l’architettura per essere all’altezza dei tempi deve saper parlare con tutti i sensi e coinvolgere tutte le competenze che “uno spazio libero”, prima di essere occupato, contiene: natura e cultura in un dialogo costante e concreto.


padiglione della Gran Bretagna, Island (2018).


Andra Matin Giacarta, Indonesia), Elevation (2018).

16. Mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia

Freespace, a cura di Yvonne Farrell e Shelley McNamara
26 maggio - 25 novembre
Venezia, Giardini della Biennale e Arsenale
orario 10-18, chiuso il lunedì (escluso 3 settembre e 19 novembre)
Arsenale venerdì e sabato 10-20 fino al 29 settembre
catalogo La Biennale di Venezia
www.labiennale.org

ART E DOSSIER N. 357
ART E DOSSIER N. 357
SETTEMBRE 2018
In questo numero: MICHELANGELO INEDITO Il primo progetto della tomba di Giulio II. VENEZIA La biennale di architettura. I SACRI MONTI Itinerari tra arte, fede e natura. IN MOSTRA Abramović a Firenze, Fotografia e Astrattismo a Londra, Puccini e l'arte a Lucca, Arte islamica a Firenze, Pittura a Gubbio al tempo di Giotto. Direttore: Philippe Daverio