Grandi restauri
Gli affreschi del Camposanto monumentale di Pisa

RISORGERE DALLE FIAMME

Colpite gravemente da un rogo durante la seconda guerra mondiale, le trecentesche pitture murali del Camposanto monumentale hanno riacquistato, in buona parte, una degna leggibilità. Ecco i dettagli del lungo lavoro di recupero nel racconto del direttore della commissione scientifica, costituita per portare a termine la complessa operazione.

Antonio Paolucci

Estate del 1944. La guerra in Italia è in rapido movimento. Superato l’ostacolo di Montecassino e liberata Roma all’inizio di giugno, l’armata alleata punta verso nord; direzione Firenze e, oltre Firenze, la Val Padana. Il feldmaresciallo Kesselring, comandante in capo dell’esercito tedesco sul fronte italiano, da quel grande tecnico della guerra che era, capisce che, nella situazione data, l’unica cosa intelligente da fare è approntare una difesa elastica, flessibile, in grado di impegnare il nemico quanto necessario per permettere alla Wehrmacht di ritirarsi in ordine e di attestarsi a nord di Firenze, sul formidabile sistema di fortificazioni appenniniche noto come Linea gotica. 

Da giugno ad agosto sono tre mesi di combattimenti a macchia di leopardo, di bombardamenti devastanti da parte dell’aviazione anglo-americana, di sostanziale tenuta dell’esercito germanico, di feroci rappresaglie naziste sulla popolazione civile. 

Nel luglio del 1944 i tedeschi stavano smobilitando la linea dell’Arno fra Empoli, San Miniato e Pisa. Negli ultimi scontri a fuoco uno spezzone incendiario americano colpì il tetto del Camposanto monumentale di Pisa. Scoppiò un rogo che fuse il piombo delle coperture, le travi del tetto crollarono e bruciarono per tre giorni e tre notti. Le conseguenze per gli affreschi furono disastrose: “cotti”, decoesi, trasfigurati nei colori come per un’orribile mutazione chimica, rovinati al suolo in più parti. 

Così li vide l’11 settembre del 1944 il trentottenne Cesare Brandi, direttore dell’Iscr - Istituto superiore per la conservazione e il restauro di Roma, arrivato a Pisa dalla capitale con mezzi di fortuna (l’Aurelia e la ferrovia erano interrotte) portando con sé pacchi di foto in bianco e nero. Era la magnifica campagna fotografica condotta dagli Alinari anni prima e che, da quel momento in poi, è stata lo strumento fondamentale per ogni successiva operazione di recupero degli affreschi. 

Dopo Cesare Brandi, nel Camposanto scoperchiato e annerito dall’incendio arrivarono tutti i grandi storici dell’arte e i grandi restauratori: Carlo Ludovico Ragghianti, all’epoca comandante del Cln (Comitato di liberazione nazionale) militare toscano, Mario Salmi, Roberto Longhi, Ugo Procacci accompagnato da Frederick Hartt, tenente dell’esercito americano, uno dei Monuments Men, il corpo speciale istituito nel 1943 da Roosevelt per la difesa del patrimonio artistico europeo minacciato dalla guerra. C’è anche, insieme a Procacci, Umberto Baldini, allora ventiduenne, in divisa di sottotenente del Corpo italiano di liberazione.


Buonamico Buffalmacco, Trionfo della morte (1336-1341).

Tutta la parte apocalittica
degli affreschi è opera
di Buonamico Buffalmacco


Insieme agli storici dell’arte arrivano i restauratori: Paolo Mora e Cesare Benini, Leone Lorenzetti e Leonetto Tintori. Si provvide a distaccare gli affreschi facendo emergere le sinopie, destinate a finire nel museo a loro dedicato, e a ricollocare le pitture murali su supporti di eternit con collante a base di caseato di calcio. Provvedimenti di emergenza condotti con materiali impropri, rivelatisi nel tempo inadeguati quando non anche dannosi. 

Tutti, storici dell’arte e restauratori, erano consapevoli dell’immensità e dell’irreparabilità della perdita subita dal patrimonio artistico italiano. Lungo le pareti interne del Camposanto si dispiegava un sistema iconografico di straordinaria suggestione, realizzato a partire dalla prima metà del Trecento. 

C’era, forse di Giottino, la Vergine Assunta che è porta del cielo e madre di misericordia. C’era il santo intercessore Ranieri, patrono di Pisa, nei murali di Antonio di Francesco da Venezia detto Antonio Veneziano (ricordato anche come Antonio da Firenze o da Siena), mentre le storie dei santi martiri Efisio e Potito, le cui reliquie si conservano in duomo, erano state dipinte da Spinello Aretino. 

La vita significa per tutti imprevisti, disavventure e prove, a tutti richiede pazienza e sopportazione. 

Ed ecco le storie del patriarca Giobbe, dipinte da Taddeo Gaddi. Mentre tutto, nella storia della salvezza, allude al tempo dell’attesa e prefigura la venuta del Salvatore, come è testimoniato nelle storie dell’Antico testamento. Ne parlavano le pitture murali di Piero di Puccio e di Benozzo Gozzoli. Naturalmente c’è, per ogni credente, il giudizio con l’Inferno e con il Paradiso.


Buonamico Buffalmacco, Giudizio universale, Inferno (1336-1341).


Buonamico Buffalmacco, Padri nella Tebaide (1336-1341).

Tutti però devono sapere che in Paradiso si 67 entra per la porta stretta, per la porta della preghiera e della penitenza, come insegna la vita dei santi anacoreti i quali trionfano sulla morte, che pure è la signora di questo mondo e consuma nell’orrore e nella putrefazione la gloria dell’amore e lo splendore della giovinezza. Tutta la parte apocalittica degli affreschi del Camposanto (Trionfo della morte, Padri nella Tebaide, Giudizio, Inferno, Paradiso) è opera di Buonamico Buffalmacco, come ha dimostrato Luciano Bellosi in un saggio memorabile del 1974. 

Dopo decenni di dibattiti capziosi e di sperimentazioni inconcludenti, fu chiaro a tutto il mondo scientifico che gli affreschi, tutti gli affreschi, indipendentemente dalle loro condizioni conservative, andavano ricollocati in parete. Del resto Cesare Brandi lo aveva detto, nel 1958, con esemplare chiarezza ed efficacia: «Il Camposanto di Pisa, senza gli affreschi, sembra visto di rovescio […] dove era il luogo degli affreschi asportati, le grandi pareti squallide, sebbene inalterate, non sono più le stesse in quanto alla loro stessa qualificazione spaziale la decorazione pittorica era essenziale». 

La decisione finale fu presa nel marzo del 2008, nell’occasione di un convegno promosso dal presidente dell’Opera della Primaziale pisana, Pier Francesco Pacini. Tutti gli affreschi, nessuno escluso, andavano rimessi in parete, ripuliti e integrati dove e quando necessario, fornendoli di nuovi supporti dalla temperatura regolabile grazie a sensori computerizzati, così da evitare effetti di condensa in superficie durante l’inverno, naturalmente assicurando al contenitore monumentale adeguate condizioni climatologiche. 

Per condurre al risultato l’operazione, venne istituita una commissione scientifica che, da me presieduta e coordinata, ha compreso, fra gli altri, Gianluigi Colalucci (il restauratore della Cappella sistina) e Carlo Giantomassi: entrambi responsabili, insieme a Stefano Lupo che ha guidato la squadra dei circa dieci restauratori selezionati dall’Opera della Primaziale, della messa in opera del progetto tecnico. La commissione ha coinvolto, inoltre, storici dell’arte come Antonino Caleca e Andrea Muzzi, soprintendente di Pisa e gli specialisti in Scienza della conservazione Mauro Matteini, Paolo Mandrioli, Ulderico Santamaria, Perla Colombini, fra gli altri. L’impresa, dopo dieci anni di ininterrotto lavoro, si è conclusa. Pisa dal mese di giugno ha il suo Camposanto monumentale con gli affreschi restituiti al meglio della godibilità possibile. Che è tutto quello che è giusto chiedere a un buon restauro. 

Nessuno pensi che il ciclo di pitture murali più importante del Medioevo italiano dopo la Vita Francisci di Assisi e gli affreschi di Giotto nella padovana Cappella dell’arena, verrà riportato «all’antico splendore», come scrivono i cattivi giornalisti. Ci sono parti ormai irrimediabilmente perdute, altre ridotte all’ombra dell’ombra di quello che erano prima del 1944. Penso, in particolare, agli affreschi di Benozzo Gozzoli che un tempo dovevano splendere di colori teneri e preziosi, come grandi pagine miniate, e che oggi fanno l’effetto di negativi fotografici che ci restituiscono, come in dissolvenza, l’ombra di scene e di figure perdute. 

Per fortuna, nella generale devastazione del 1944, porzioni importanti del ciclo del Camposanto e, in particolare, il Trionfo della morte di Buffalmacco, sono state relativamente risparmiate dal fuoco e oggi il restauro terminato è in grado di consegnarcele a un livello di leggibilità soddisfacente, con la loro pelle pittorica ancora in gran parte in essere. 

Una cosa è certa. In questa estate del 2018, settantaquattro anni dopo l’orrenda distruzione del 1944, l’Italia può dire di aver chiuso l’ultima ferita lasciata aperta dalla guerra.


particolare del ciclo Storie di Giobbe (1342 circa), di Taddeo Gaddi. I caldei tolgono tremila cammelli a Giobbe.


In questa estate del 2018 l’Italia può dire di aver chiuso l’ultima ferita lasciata aperta dalla guerra


particolare del ciclo Storie di Giobbe (1342 circa), di Taddeo Gaddi. Giobbe rassegnato s’inginocchia nel tempio.


particolare del ciclo Storie di Giobbe (1342 circa), di Taddeo Gaddi. Patto di Satana con Dio, Le prime sventure di Giobbe, Mandrie e pastori di Giobbe assaliti dai cavalieri sabei.


particolare del ciclo Storie di Giobbe (1342 circa), di Taddeo Gaddi. Gli armenti di Giobbe.

Camposanto monumentale

Pisa, piazza del Duomo 17
per orario e altre informazioni consultare il sito
www.opapisa.it

ART E DOSSIER N. 356
ART E DOSSIER N. 356
LUGLIO-AGOSTO 2018
In questo numero: ESTATE AL MUSEO La Rubenshuis di Anversa, il Museo diocesano di Feltre. I RESTAURI E LE SCOPERTE Pisa: gli affreschi restaurati; Pontormo: un nome per un ritratto. IN MOSTRA Christo a Londra, W.E. Smith a Bologna, Matisse ad Aosta, Kupka a Parigi, La collezione Agrati a Milano, Traiano a Roma.Direttore: Philippe Daverio