Musei da conoscere. 1
La Rubenshuis ad Anversa

QUANDO L’EUROPAPARLAVA BAROCCO

La casa in cui Rubens visse e lavorò è il centro ideale delle manifestazioni che celebrano, quest’anno, il Barocco fiammingo. L’occasione per riflettere su un periodo di conflitti ma anche di unità culturale e di scambi internazionali per tutta l’Europa.

Claudio Pescio

Anversa è la capitale del Barocco fiammingo, ed essendo la città di Rubens - a sua volta considerato la perfetta incarnazione del Barocco stesso - entra di diritto nel novero delle grandi capitali europee legate da questo linguaggio artistico sovranazionale, insieme a Roma, Napoli, Genova, Vienna, Madrid, Parigi, Londra… Un linguaggio spettacolare e drammatico, sentimentale e decorativo, educativo e consolatorio, colto e devoto, legato allo spirito e alle esigenze delle corti come a quelle della propaganda cattolica del XVII secolo. Ed è un linguaggio che nella cattolica Anversa in particolare, come in altre città del Nord Europa, si lega alle vicende storiche che danno inizio alla Guerra degli ottant’anni (1568-1648) e, in questo caso, anche alle traversie personali proprio della famiglia Rubens. 

Perché se Pieter Paul Rubens (1577-1640) è senza dubbio la maggior gloria cittadina, quella fama nasce da una storia di dolori, tradimenti, conversioni, prigioni, fughe e ritorni in patria; perché a volte la patria si sceglie e non necessariamente è il luogo in cui si è nati. 

Il padre di Pieter Paul, Jan Rubens, era un magistrato di Anversa, protestante e appartenente a una famiglia ben in vista della città. Ma poco dopo la metà del Cinquecento la situazione religiosa, sociale e politica, in quell’importante pezzo di Europa, varcò la soglia di una crisi rovinosa. Il 19 agosto 1566 un gruppo di manifestanti anticattolici entrò nella cattedrale di Anversa per insultare la venerata statua della Madonna; ne nacque una rissa che nei giorni successivi si allargò all’intera città. Gruppi di iconoclasti - ispirati da un’interpretazione radicale della proibizione di Calvino di commettere idolatria - staccarono le sculture dalle pareti delle chiese, distrussero gli affreschi nei monasteri, diedero alle fiamme i codici miniati nelle biblioteche: era il “beeldenstorm”, la tempesta delle immagini, che investì il paese a più riprese per molti anni. 

Quei disordini - ad Anversa come in altre città delle Fiandre e d’Olanda - erano solo l’inizio della lunga guerra che avrebbe portato le province calviniste del Nord a separarsi dalle terre rimaste in mano spagnola e cattolica e a costituirsi in repubblica indipendente. 

Nel 1568 Jan Rubens aveva lasciato la città per evitare di finire nella feroce repressione antiprotestante condotta dalle truppe spagnole nei Paesi Bassi. Si era trasferito a Colonia, poi a Dresda e a Siegen, in Renania, territori di emigrazione per molti fiamminghi protestanti in fuga dal carcere, dalla tortura o dal boia.


incisione del 1684 con il portico progettato da Rubens.


la struttura oggi.

Il modello italiano è evidente
nel “palazzetto” che Rubens progettò
e si fece edificare in Anversa


Senonché, sconsideratamente, si ritrovò a essere l’amante di una sua importante cliente: Anna di Sassonia, principessa d’Orange, moglie di Guglielmo il Taciturno, capo indiscusso dei ribelli e primo “stathouder” della nuova repubblica. Scoperto, nel 1571 finì nella prigione di Dillenburg, nell’Assia, mentre nasceva l’illegittima figlia Christina. Passò ai domiciliari nel 1573 e uscì dalla restrizione nel 1577, alla morte di Anna. In quello stesso anno, a Siegen, nasceva (dalla moglie legittima) il più celebre dei suoi discendenti, Pieter Paul. 

Jan morì a Colonia nel 1587, e i Rubens decisero di tornare ad Anversa. In tutti quegli anni la famiglia aveva potuto contare su un pilastro fondamentale: proprio la moglie di Jan, Maria, capace di sostenere il marito fedifrago pentito, le chiacchiere dei concittadini, la riprovazione dei parenti e la necessità di occuparsi di tre figli. 

Anversa mostrava i segni di quei tempi duri. La popolazione era passata da centomila a cinquantamila persone in pochi anni: i protestanti erano andati in massa ad arricchire col loro lavoro le nuove città d’Olanda. L’esercito spagnolo nel 1576, dopo la bancarotta del governo spagnolo, aveva risolto il problema del conseguente mancato stipendio saccheggiando i cittadini che era stato inviato a proteggere dagli eretici. Ma le chiese, intanto, erano tornate e popolarsi di santi e madonne. 

La conversione al cattolicesimo favorì il reinserimento dei Rubens in società. Pieter, tredicenne, iniziò la sua carriera come paggio in una piccola corte, quella di Margherita di Ligne a Oudenaarde, a poca distanza da Anversa. Lì formò i tratti fondamentali del suo carattere e del suo bagaglio culturale: la perfetta sintonia con le classi dominanti, un’ampia cultura, la padronanza del linguaggio, l’essere a proprio agio nella società in cui viveva.


Jacopo Tintoretto, L’annuncio del martirio a santa Caterina d’Alessandria (anni Settanta del XVI secolo); la tela, appartenuta a David Bowie è in prestito di lungo termine alla Rubenshuis.

Studiò pittura con i migliori artisti di Anversa, diventò amico dei più attivi intellettuali della città - e di mezza Europa, grazie ai suoi numerosi viaggi, anche in Italia - e pose così le basi per diventare il prototipo dell’artista di successo nelle corti dell’Europa barocca. 

Rubens fu in realtà tentato di lasciare il Nord grigio e freddo proprio per l’Italia, dove aveva lasciato amici, un clima migliore e la luce di Roma. Ma gli arciduchi reggenti dei Paesi Bassi del Sud, Alberto e Isabella, fecero di tutto per trattenerlo, concedendo molto soprattutto in termini di autonomia, condizioni economiche e il privilegio di non dover lasciare Anversa per sottoporsi alla vita di corte a Bruxelles. Questo suo rapporto “facile” con la città in cui si trovò a crescere lo portò a sceglierla come luogo in cui mettere radici, senza rinunciare a essere uno dei primi intellettuali “europei” della modernità, un viaggiatore curioso di quanto accadeva di nuovo come di tutto ciò che costituiva il prezioso patrimonio della tradizione classica: un riferimento costante per tutta la sua vita. Ce lo racconta Ben van Beneden - direttore della Rubenshuis, la casa in cui Rubens visse dal 1615 al 1640 - che descrive l’artista come un tessitore di trame e contatti continui fra le tradizioni italiana e nordeuropea, un lavoro che continuò per tutta la vita con studi e reinterpretazioni: nella sua casa vediamo la prima serliana collocata in un contesto architettonico fiammingo. Un uomo del dialogo, diremmo oggi, un artefice e sollecitatore di scambi fra culture per lui sempre compatibili oltre ogni possibile frontiera nazionale. In questo senso interpretò la parte migliore, la più costruttiva, dell’evidente sovranazionalità e pervasività del linguaggio barocco. 

Rubens avrebbe voluto Anversa come Genova. Nel suo Palazzi di Genova (1622) raccomandava la città ligure come modello urbanistico da seguire per una città che aspirasse a un decoro compatibile con lo status cui aspirava. Il libro è una raccolta di disegni che rappresenta la summa della sua esperienza italiana dal punto di vista architettonico. Una lezione per lui davvero fondamentale sotto tutti i profili; un viaggio di formazione iniziato a ventitre anni, durato otto, durante il quale aveva visto, oltre a Genova, anche Firenze, Mantova e soprattutto Roma, con le sue novità pittoriche e le straordinarie antichità scultoree e architettoniche. 

Il modello italiano è evidente proprio nel “palazzetto” che lo stesso Rubens progettò e si fece edificare in Anversa a partire dal 1610. La Rubenshuis era un pezzo di Italia in terra di Fiandra, insieme sede domestica, edificio di rappresentanza, museo privato e bottega-laboratorio. E così si mostra oggi ai visitatori, con una fronte elegante sull’ampio spazio pubblico, una sorta di arco trionfale che introduce al giardino, ripartito in settori fioriti e cintati di bosso, oggi in corso di ristrutturazione ma già ripopolati di varietà presenti nella versione originale. Sul fondo, il padiglione disegnato da Rubens stesso (insieme al portico uno dei due elementi rimasti del progetto originale). I restauri in corso sono quasi terminati, nella primavera del 2019 ogni traccia di scavi, attrezzi, ponteggi sarà scomparsa. 


Un luogo attivo, legato alla vita artistica
e intellettuale della città e insieme
immerso nell’atmosfera del XVII secolo


L’abitazione in cui l’artista viveva è un museo dal 1946. Contiene opere di Rubens - come l’Autoritratto del 1630 circa e recentemente restaurato, il giovanile Adamo ed Eva della fine del XVI secolo -, lavori dei suoi contemporanei, quadri e sculture della sua collezione personale (tra cui un Seneca del I secolo), e anche opere concesse come prestito di lunga durata da altre istituzioni o privati. Tra queste l’Annuncio del martirio a santa Caterina (anni Settanta del XVI secolo) di Jacopo Tintoretto, appartenuto a David Bowie e proveniente dalla chiesa di San Geminiano a Venezia, oggi scomparsa; un Autoritratto del più dotato fra i seguaci e allievi di Rubens, Antoon van Dyck; inoltre opere di Pourbus, De Vos, Jordaens. Il progetto espositivo Rubens’ Return, fino al 2 settembre, arricchisce ulteriormente la collezione con opere di altri artisti del tempo. 

Il direttore dell’istituzione spiega che la Rubenshuis aspira a essere qualcosa più che un museo: un luogo attivo, legato alla vita artistica e intellettuale della città e insieme immerso nell’atmosfera del XVII secolo e nella cultura di Rubens stesso. La scelta di integrare la collezione con l’acquisizione di prestiti di lunga durata è in sintonia con questa aspirazione: è in arrivo, racconta, un Van Dyck giovanile, un Apostolo Matteo dipinto nel periodo in cui il giovane artista lavorava proprio in questo atelier e iniziava a dare indizi di voler competere con il maestro (1618-1620). 

Competizione duratura fra artisti molto simili fra loro, inclini alle frequentazioni di alto livello, ai rapporti con l’Italia e a considerare l’antichità come modello indiscusso; ma con diverse scelte riguardo alla patria di elezione: per Rubens fu l’Anversa delle radici, per l’anversano Van Dyck l’assai più ricca e fastosa Londra di Carlo I.


Antoon van Dyck, L’apostolo Matteo (1618-1620);


Busto di Seneca (arte romana del I secolo d.C.).


Alexander Adriaenssen, Natura morta (XVII secolo);


Adrian Brouwer, Bevitore (XVII secolo).

IN BREVE:

Rubenshuis - Anversa, Wapper 9-11, orario 10-17, chiuso il lunedì
telefono 0032 3 201 15 55; www.rubenshuis.be
Michaelina
Anversa, Rubenshuis e MAS - Museum aan de Stroom
Hanzestedenplaats 1; telefono 0032 3 338 84 400; www.mas.be
Le manifestazioni fanno parte del progetto Anversa Barocca 2018.
Rubens inspires, un progetto che coinvolge l’intera città in una serie
di eventi, mostre, restauri, che non solo ricostruiscono il ruolo della
città tra Cinque e Seicento, ma collegano Barocco e contemporaneità.
Per informazioni sull’intero programma di Anversa Barocca 2018.
Rubens inspires: www.antwerpenbarok2018.be

IN MOSTRA
L’AUDACE MICHAELINA

L’atmosfera barocca di Anversa - al centro del progetto Anversa Barocca 2018. Rubens inspires - si arricchisce di un ingrediente originale grazie all’attenzione riservata a una delle sue protagoniste meno note, la pittrice Michaelina Wautier (1614-1689), in mostra alla Rubenshuis e al MAS - Museum aan de Stroom. È la prima esposizione che le viene dedicata e ne abbiamo parlato con la curatrice, Katlijne van der Stighelen, la studiosa che ha restituito l’artista alla notorietà. 

Originaria di Mons, di famiglia ricca, a ventitre anni Michaelina si stabilisce a Bruxelles col fratello pittore Charles, divenendo, a sua volta, pittrice. Da allora frequenta solo il fratello, entrambi rinunciano al matrimonio. 

Le artiste donna nel secolo XVII non sono davvero molte, e le poche che riescono a diventarlo devono superare ostacoli non da poco: non possono studiare, appartenere a una gilda, avere bottega. Eppure alcune emergono, come Clara Peeters o Judith Leyster, per restare in ambito neerlandese. La particolarità della produzione di Michaelina è però di non limitarsi alla pittura di genere o religiosa - dipinge anche scene storico-mitologiche - e alle piccole dimensioni; inoltre pratica con competenza anatomica anche il nudo maschile (e anche il proprio, almeno parziale, raffigurandosi come partecipante a un corteo nel suo Trionfo di Bacco, del 1655). 

Come sia arrivata a questo livello di professionalità tecnica non è dato sapere, visto che mancano documentazioni esaurienti sulla sua vita, così come resta un mistero il fatto che tutti i dipinti che ci sono arrivati stiano nel periodo 1641-1659; vive altri trent’anni, dopo quella data, possibile che non abbia più dipinto?

In ogni caso oggi un suo quadro può raggiungere i cinquecentoseicentomila euro di quotazione. All’ultimo Tefaf di Maastricht, si dice, il suo Ritratto del gesuita Martino Martini (1654) è passato di mano per due milioni.


opera di Michaelina Wautier: il Trionfo di Bacco (1655)


opera di Michaelina Wautier: il Ritratto del gesuita Martino Martini (1654).

ART E DOSSIER N. 356
ART E DOSSIER N. 356
LUGLIO-AGOSTO 2018
In questo numero: ESTATE AL MUSEO La Rubenshuis di Anversa, il Museo diocesano di Feltre. I RESTAURI E LE SCOPERTE Pisa: gli affreschi restaurati; Pontormo: un nome per un ritratto. IN MOSTRA Christo a Londra, W.E. Smith a Bologna, Matisse ad Aosta, Kupka a Parigi, La collezione Agrati a Milano, Traiano a Roma.Direttore: Philippe Daverio