Grandi mostre. 5
La collezione Agrati a Milano

FRA ITALIA E AMERICA

Le tendenze più innovative emerse dopo la seconda guerra mondiale in una selezione di opere italiane e statunitensi provenienti da una sofisticata raccolta privata.

Claudio Pescio

La mostra si intitola Arte come rivelazione, e fin dal primo sguardo la sensazione è davvero quella di assistere a una rivelazione. Le opere esposte in questi giorni alle Gallerie d’Italia di Milano rappresentano una selezione di settantatré di cinquecento pezzi che costituiscono la collezione Luigi e Peppino Agrati; selezione che viene presentata al pubblico per la prima volta. 

La rivelazione vera è che il fatto che esistano ancora collezioni in grado di sorprendere per la qualità dei pezzi, tutti appartenenti alla ricerca artistica italiana e internazionale della seconda metà del Novecento e per la coerenza di scelte fatte nel corso di alcuni decenni. L’intera raccolta è entrata a far parte delle collezioni di Intesa Sanpaolo (che organizza la mostra nei propri spazi su piazza della Scala) grazie a una donazione di Luigi Agrati, imprenditore che col fratello Luigi aveva iniziato a collezionare opere d’arte alla fine degli anni Sessanta. La varietà e la vastità degli interessi dei due fratelli è evidente nell’ampiezza del ventaglio dei movimenti e delle tendenze che furono oggetto della loro attenzione, dal minimalismo americano all’arte povera, al concettuale. 

Con molti degli artisti rappresentati gli Agrati avevano stretto rapporti di amicizia, in particolare con Christo e Fausto Melotti. Al primo, ancora semisconosciuto, Peppino Agrati commissionò un lavoro per la villa di famiglia in Brianza già nel 1970, e continuò a seguirlo e a finanziare la sua ricerca per molti anni. Il secondo è tra i più rappresentati nella collezione, segno di un rapporto continuo e duraturo. In mostra, di Melotti, troviamo il Savio, concepito nel 1960, in una versione del 1978, quattro Korai ceramiche del 1955-1956, i Giocolieri del 1959-1960 e la Zingara del 1980. 

Nell’ambito del monocromo, tendenza molto viva dalla fine degli anni Cinquanta, troviamo Lucio Fontana con un Concetto spaziale del 1957 e uno del 1965 (Concetto spaziale. Attese), Piero Manzoni ed Enrico Castellani, messi in dialogo con l’americano Robert Ryman (Winsor 20, 1966). 

La materia riprende il suo spazio con Alberto Burri (Bianco rosso, 1954), ma anche con Yves Klein, Mario Schifano e Jannis Kounellis. Pino Pascali è presente con la candida Ricostruzione della balena, misterioso fossile stilizzato del 1966. La transizione al concettuale è svolta con Luciano Fabro, Alighiero Boetti (Ononimo, 1973), Vincenzo Agnetti, Bruce Nauman, Dan Flavin che rende omaggio a uno dei primi collezionisti che apprezzarono il suo lavoro con Untitled (to Giuseppe Agrati), 1968. 

Infine, le grandi icone pop: Andy Warhol con Triple Elvis (1963) e tre opere di Robert Rauschenberg, altro rapporto privilegiato di Peppino Agrati. 

A percorso compiuto si conferma la convinzione che nell’immediato dopoguerra la borghesia imprenditoriale lombarda (o almeno la parte più illuminata di essa) sapesse guardare oltre l’investimento più ovvio dal punto di vista commerciale per seguire la propria curiosità, il proprio gusto, le strade appena aperte dalla creatività internazionale; per consegnarci poi una testimonianza di cultura e di civiltà.


Enrico Castellani, Superficie bianca. Dittico (1967).


Fausto Melotti, Kore (1955 circa).


Robert Rauschenberg, Blue Exit (1961).

Arte come rivelazione. Dalla collezione di Luigi e Peppino Agrati

A cura di Luca Massimo Barbero
Milano, Gallerie d’Italia, piazza della Scala
Fino al 19 agosto
Orario 9.30-19.30, giovedì 9.30-22.30, chiuso il lunedì
www.gallerieditalia.it

ART E DOSSIER N. 356
ART E DOSSIER N. 356
LUGLIO-AGOSTO 2018
In questo numero: ESTATE AL MUSEO La Rubenshuis di Anversa, il Museo diocesano di Feltre. I RESTAURI E LE SCOPERTE Pisa: gli affreschi restaurati; Pontormo: un nome per un ritratto. IN MOSTRA Christo a Londra, W.E. Smith a Bologna, Matisse ad Aosta, Kupka a Parigi, La collezione Agrati a Milano, Traiano a Roma.Direttore: Philippe Daverio