Grandi mostre. 7
Albrecht Dürer e l’Italia a Milano

QUANDO IL NORD
INCONTRA IL SUD

Espressione massima del Rinascimento tedesco, Albrecht Dürer è protagonista di una mostra, a Palazzo reale, costruita sul dialogo tra l’artista di Norimberga e alcuni capolavori italiani a lui contemporanei. Desideroso di trovare stimoli fuori dal suo ambiente, Dürer compie diversi viaggi in Europa: il nostro paese, e in particolare Venezia, sarà una tappa fondamentale.


Massimiliano Caretto

Èsempre una questione tra Italia e Germania: nella storia, nella guerra, nella tecnica, nel calcio e persino nell’arte. Basterebbe questo semplice assunto per riassumere con efficacia il complesso e affascinante rapporto tra il più importante artista tedesco del Rinascimento e la coeva cultura italiana che la mostra inaugurata a fine febbraio a Milano (Dürer e il Rinascimento tra Germania e Italia, Palazzo reale, fino al 24 giugno) si prefigge di analizzare, portando una ventata di aria fresca in mezzo a un panorama italico di esposizioni sempre più ombelicali ed eloquentemente xenofobe.

La storia di Albrecht Dürer rappresenta un capitolo artistico e culturale unico, che lo eleva non solo al livello dei tre grandi maestri italiani dell’epoca, Leonardo, Raffaello e Michelangelo, ma lo accomuna per certi versi anche ai modelli nordici come Bosch e Bruegel, facendo di lui il vero “trait d’union” della prima cultura “europea” in senso moderno, cioè la cultura rinascimentale.

Il vorticoso gesticolare mefistofelico dei dottori è un collegamento con gli studi fisiognomici di Leonardo


La mostra, in tal senso, è un perfetto Bignami antologico a uso e consumo del visitatore contemporaneo, affamato di bellezza e interessato a un corretto equilibrio tra divulgazione e rigore scientifico. Non appena entrati nella prima sala, si è subito posti davanti a ciò che è più importante quando parliamo di Dürer: a un artista tecnicamente formidabile fin dalle opere giovanili. La tradizione storiografica lo vuole già abilissimo disegnatore a tredici anni nella bottega del padre, l’orefice Albrecht il Vecchio (in mostra ne è presente il ritratto realizzato dal figlio nel 1490, un brano di devozione filiale, sia alla figura paterna che all’arte della pittura come espressione di virtuosismo manuale). Del medesimo periodo è l’Adorazione dei magi arrivata dagli Uffizi, dove uno dei magi altro non è che uno dei tanti autoritratti di cui Dürer riempirà molte delle sue opere lungo tutto l’arco della sua vita.


Cristo tra i dottori (1506), Madrid, Museo Thyssen- Bornemisza.

La costruzione spaziale dell’opera è magistrale, l’apertura al paesaggio di matrice nordica si concilia alla perfezione con le impostazioni prospettiche delle rovine architettoniche, mentre le squillanti cromie delle vesti già preludono a quell’amore per il colore che accompagnerà l’artista per tutta la sua carriera.

Sono gli anni d’attività in cui Dürer svela la sua ossessione per il successo. L’artista gareggia con Leonardo in quanto ad ambizioni personali, siano esse soddisfatte dal riconoscimento di mecenati o dal puro esercizio del proprio intelletto. Per coltivare meglio le sue ambizioni, Dürer compirà svariati viaggi in Europa (Italia compresa), alla ricerca di contatti, influenze, suggestioni e visioni, finché non approderà alla più visionaria città del mondo, Venezia.

La storia d’amore tra i tedeschi e la Serenissima affonda le sue radici in un rapporto atavico, da cui i germani non sembrano mai potersi liberare veramente. La ricca comunità tedesca che all’epoca popolava Venezia accoglie Dürer, che sfrutterà più volte l’occasione per studiare con profonda serietà la visione italiana dell’arte e del mondo, alla ricerca di una personale sintesi culturale. Mozzafiato, in tal senso, è il Cristo fra i dottori, opera che il visitatore può ammirare in una delle prime sale del percorso espositivo. Tralasciando per un attimo quello che pur è un dato di inappuntabile certezza (e cioè che Dürer è decisamente bravo a dipingere, facendo delle pennellate una musica e di ogni dettaglio un universo a sé stante), l’opera è una chiave di volta fondamentale per la storia dell’arte.


Ritratto del padre (1490), Firenze, Gallerie degli Uffizi.

Il vorticoso gesticolare mefistofelico dei dottori - istruiti ma non saggi, pieni di libri ma non di Verità, vecchi ma non anziani - contrapposto alla serena impassibilità del giovane Cristo angelico, è un collegamento con gli studi fisiognomici di Leonardo, la Salita al Calvario di Hieronymus Bosch e le coeve ricerche di Giorgione, sotto l’egida di un comune sentire artistico cinquecentesco, che pone il Rinascimento sotto una luce inaspettata, svelandone i risvolti esistenziali piuttosto che politici.

Presa tale direzione, la mostra guida lo spettatore di sala in sala attraverso un pendolo di esempi volti a mostrare, a cadenze fisse, il formidabile rapporto di comunanza/dialogo/rifrazione tra Dürer e, di volta in volta, artisti fiamminghi, tedeschi e italiani. Le opere esposte sono tutte di eccezionale qualità, tanto in pittura quanto nella grafica, arte di cui Dürer fu il maestro per antonomasia.


Una tensione esistenziale verso una Bellezza che non risulta possedibile dall’uomo nella sua più intima natura


Ma, da un punto di vista critico, la mostra rinuncia ad andare più in profondità, preferendo optare per una lineare e magnifica esemplificazione di quella “questione italo-tedesca” fatta di classico e anticlassico, cattolico e protestante che in Dürer sono sempre presenti.


Giorgione, La vecchia (1505), Venezia, Gallerie dell’Accademia.

Di certo, dopo la ormai ben lontana mostra del 1999-2000 tenutasi a Venezia (Palazzo Grassi, Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi dilini, Dürer, Tiziano) in cui la disponibilità del budget e le congiunture economico-politiche avevano permesso di realizzare una rassegna il cui catalogo ancora oggi è l’antologia italiana di riferimento sul tema, riesce difficile poter immaginare di aggiungere ulteriori sviluppi critici in una esposizione su questo argomento, in Italia e nel 2018, demandando allo spettatore più preparato il passo critico di approfondimento. Difatti, la sola presenza delle opere non basta a sottolineare a sufficienza la più profonda essenza del “durerismo”, quella tensione esistenziale verso una Bellezza che non risulta possedibile dall’uomo nella sua più intima natura. Così un granchio, un valico di montagna, una lepre, una zolla erbosa assurgono a poesia struggente e abissale. Così uno studio sulle proporzioni umane secondo i dettami di Vitruvio diventa un’infinita moltiplicazione di rapporti proporzionali, fino allo stordimento, fino alla vertigine di un limite tendente all’infinito e quindi eternamente frustrato.

Ne è testamento spirituale la presenza in mostra di Melencolia I, forse la più bella incisione di Dürer e sicuramente l’opera d’arte grafica criticamente più densa che sia mai stata realizzata. Nella scena, una figura angelica siede torva e pensierosa, mentre guarda un astro cadente sul fondo del paesaggio. In mano tiene un compasso, alle sue spalle c’è il “quadrato magico”, intorno a lei si trovano vari strumenti da carpentiere, sulla destra una pietra angolare. La figura sembra possedere tutti gli arnesi della tecnica, dell’arte e della speculazione umana. Eppure, appare infelice, sembra preoccupata. È la «melancholia imaginativa» teorizzata da Cornelio Agrippa? È il sogno rinascimentale che medita sui suoi limiti? È la ricerca della perfezione che incontra i limiti dell’esistenza? Dürer non lo dice, o forse, come per altri geni del Rinascimento, non siamo più in grado di capirlo, dovendoci limitare a godere della loro bellezza, alla maniera dei beduini che, anticamente, non avevano bisogno di sapere cosa fossero state le piramidi per percepirne l’incommensurabile grandezza.


San Girolamo (1496 circa), Londra, National Gallery.

Melencolia I (1514), Londra, National Gallery.


Leonardo da Vinci, San Girolamo (1482 circa), Città del Vaticano, Musei vaticani, Pinacoteca.

Dürer e il Rinascimento tra Germania e Italia

Milano, Palazzo reale
a cura di Bernard Aikema con la collaborazione di Andrew John Martin
fino al 24 giugno
orario 9.30-19.30, lunedì 14.30-19.30, giovedì e sabato 9.30-22.30
catalogo 24 Ore Cultura
www.mostradurer.it

ART E DOSSIER N. 354
ART E DOSSIER N. 354
MAGGIO 2018
In questo numero: MOSTRE D'ESTATE Guttuso a Torino, De Chirico a Rivoli, Arte e fascismo a Milano, Wolf Ferrari a Conegliano, Rodin a Treviso, High Society ad Amsterdam, Italia e Spagna a Firenze, Dürer a Milano. VILLA CARLOTTA Trecento anni di collezionismo. CAMILLE CLAUDEL Il genio, il dolore, la perdita.Direttore: Philippe Daverio