La pagina nera

MA AL PONTE DI BASSANO
CHI MAI DARÀ UNA MANO?

Risale al XIII secolo, lo riedifica Palladio nel 1569, però oggi il ponte di Bassano ha urgente bisogno di cura. I soldi ci sono, il progetto di restauro pure, ma i dubbi sulle modalità di intervento causano ritardi e polemiche. Sarà garantito il modello strutturale di palladiana memoria? E la sicurezza? Addirittura si teme per la sua sopravvivenza.


di Fabio Isman

«Sul ponte di Bassano, là ci darem la mano», recita uno dei più famosi canti alpini, di autore anonimo, del 1916; nella seconda guerra mondiale ha ispirato quello del Ponte di Perati, e, sotto la repubblica di Salò, Sul fronte di Nettuno; sull’aria del Ponte di Perati, Nuto Revelli, ufficiale degli alpini sul Don e poi partigiano, scrisse, nel 1944, Pietà l’è morta, che si cantava in valle Stura. «Là ci darem la mano», ma al povero Ponte vecchio o degli alpini, assai malmesso, una mano chi la dà? I fondi per restaurarlo ci sono; ma una diatriba sui modi di procedere, e sulla stessa validità del progetto approvato, causa ritardi e polemiche, con dubbi perfino sulla sopravvivenza dello stesso gioiello d’arte e d i storia, sorto nel 1209 sul Brenta come fondamentale via di comunicazione fra Bassano e Vicenza, già su piloni e con un tetto, ma che noi vediamo come Palladio, pseudonimo di Andrea di Pietro della Gondola (1508-1580), lo riedificò nel 1569.

Intanto, però, aveva cambiato faccia: per difenderlo da Cangrande della Scala, quando Bassano venne coinvolta nella guerra tra Padova e il condottiero più conosciuto e amato della dinastia scaligera, nel 1315 si erano aggiunte due torri; nel 1402 Gian Galeazzo Visconti, nella guerra contro i Carraresi (che interessa ancora Bassano), tenta di deviare il Brenta per lasciare Padova senza le sue difese costruendo un altro ponte, con novantaquattro arcate in pietra, presto però travolto da una piena. Quello originale è incendiato dai francesi nel 1511 per sottrarsi all’esercito imperiale nel conflitto con la Lega Santa (li comandava il generale Jacques de La Palice, che ha dato origine al termine “lapalissiano”); poi, distrutto dall’acqua nel 1567.

Subito, si convoca Andrea Palladio, anziano e già affermato. Dapprima, ne propone uno a tre arcate in pietra, sul modello di quelli romani antichi; ma il Consiglio cittadino gli impone di rifarlo «nel modo e forma che era il precedente», e lo boccia. A due anni dalla rovinosa piena, o «brentana» come la chiamano qui, arriva il progetto definitivo.


Rostri del pilone della seconda stilata est, coi tiranti di sicurezza.

Ne dimostra la valenza tecnologica il fatto che il manufatto, per quasi duecento anni, resisterà a ogni insulto. Poi sarà ricostruito due volte, rispettandone però i dettami palladiani: dopo un’altra rovinosa piena del 1748, e, a seguito dell’incendio provocato nel 1813 dal viceré Eugenio di Beauharnais al comando di un esercito francoitaliano per ostacolare l’avanzata austriaca durante le ultime fasi dell’impero napoleonico, nel 1820. Infine, è distrutto nell’ultima guerra: nel 1945, per un’azione dei partigiani che mirava a rallentare la ritirata dei nazisti, seguita da una loro severa rappresaglia. Tre anni più tardi è di nuovo in piedi, per volontà degli alpini (da qui il nome); lo inaugura Alcide De Gasperi.


«Il Ponte è ammalato; le fondazioni, le stilate e l’impalcato mostrano gravi degradi per l’età e la mancanza di manutenzione»


I resti delle palificazioni della trave di soglia della ricostruzione di Angelo Casarotti del 1820.

Altri guai ancora per l’alluvione del 1966 il 4 novembre (stesso anno e giorno di quella tremenda di Firenze): il ponte s’incurva al centro di quasi un metro ma, ancora una volta, resiste; l’acqua porta via quattro rostri, e lesiona gli altri. Viene riparato, ed è riaperto il 4 novembre 1969. Fino all’ultimo consolidamento, dal 1990 al 1993. Ma da una decina d’anni si è capito che il ponte soffre, e abbastanza gravemente. Preoccupano soprattutto le parti sotto l’acqua, le pessime condizioni delle fondazioni: un’immagine mostra una delle soglie marcita e schiantata. «Il ponte è ammalato; le fondazioni, le stilate e l’impalcato mostrano gravi degradi per l’età e la mancanza di manutenzione», dice Pino Massarotto, architetto e “anima” del Comitato degli amici del ponte di Bassano.

L’Università di Padova, con i professori Claudio Modena per le strutture e Giovanni Carbonara per il restauro (ne è tra i massimi esperti), predispone un progetto ambizioso, che ottiene un finanziamento di oltre sette milioni. Il Comune di Bassano estrapola alcuni lavori, e provvede ad altri di «somma urgenza» in modo diretto, arrivando così a una gara d’appalto sotto i cinque milioni di euro. Il ponte, intanto, si abbassava di quattro centimetri al mese.

Veduta del ponte dalla strada di cantiere in mezzo al fiume.

Il restauro prevede, in sintesi, che una trave reticolare, sdraiata sull’impalcato e ancorata alle sponde, impedisca al ponte d’incurvarsi sotto la spinta dell’acqua, e che la vecchia trave marcita di fondazione sia ingabbiata in un traliccio d’acciaio inox. L’impostazione, dicono gli “Amici del ponte di Bassano”, stravolge la concezione originale: la sola eredità che ci permette ancor oggi di attribuire a Palladio il manufatto. La sua immagine e il suo modello strutturale sono i valori da rispettare e da salvaguardare; e non la materia, il legno, come invece afferma il professor Carbonara, che rappresenta soltanto il mezzo per ottenere lo scopo; e l’antica struttura lignea della fondazione, ormai marcita dopo duecento anni in acqua, non è una testimonianza storica o tecnologica. «Non va disgiunto», dicono gli Amici del ponte, «il binomio formafunzione ». La trave reticolare sull’impalcato renderebbe solidali le cinque arcate, che Palladio aveva voluto indipendenti, però collegate. Inoltre questa trave andrebbe ancorata alle “spalle” antiche, con lavori assai invasivi: trivellazioni fino a trentadue metri di profondità e tiranti precompressi, sul lato est, in un muro del Cinquecento, per cui il proprietario, la ditta Nardini (quella della celebre grappa), ha chiesto garanzie precise, che, tuttavia, non ha ancora ottenuto.

Ai dubbi, si assommano i ritardi. Il progetto è del 2015: senza un concorso, né troppi approfondimenti preventivi. In meno di un mese, un’asta a inviti. L’inizio previsto dei lavori è per l’alba del 2016. Trionfano due ditte locali. Ma la prima classificata è esclusa per un vizio nella documentazione. Fa ricorso. Prima al Tar, poi al Consiglio di Stato. Quando mancano però due settimane alla decisione di quest’ultimo, a maggio 2016, il Comune incarica del lavoro la seconda classificata nella gara. 


La prima è riammessa dai giudici e finalmente incaricata; ma appena ad agosto 2016. Insomma, tra una storia e l’altra, la ditta Nico Vardanega, di Possagno, comincia le opere (almeno quelle preparatorie) soltanto l’anno scorso. E non è ancora finita: il titolare della ditta incaricata, Giannantonio Vardanega, dice che «il progetto non è sicuro ». Un documento dei suoi periti, di trentadue pagine, dà conto al Comune degli accertamenti svolti. Rivelano «che, andando avanti come previsto, il ponte potrebbe perfino crollare; la struttura non è in grado di sopportare altro peso». Segue un sopralluogo dei progettisti, che contestano la validità di questo documento, e il Comune è perentorio: «Non si perda altro tempo; l’azienda deve rispettare il progetto e il cronoprogramma». I veri lavori iniziano così soltanto a primavera 2017, nonostante la contrarietà dei periti della ditta appaltatrice, secondo il progetto esecutivo del 2015. Scelta non condivisa dagli Amici del ponte di Bassano. Che si dicono «molto preoccupati da questo modo di procedere», e hanno coinvolto anche il ministro Dario Franceschini. L’unica consolazione, diciamo così, è che, pur se sono state rimosse la pavimentazione e la massicciata, il ponte è rimasto, e resta, sempre agibile. Assai scarse sono tuttavia le chiarezze sul futuro di questo restauro, e sui suoi tempi. Verrebbe quasi da scrivere: «Fin quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza?». Ah, no: quella era tutta un’altra storia.

ART E DOSSIER N. 353
ART E DOSSIER N. 353
APRILE 2018
In questo numero: CORPI DI PASSAGGIO Jenny Saville: materia in disfacimento. Leon Golub: la violenza del potere. Pompier: bellezza come intrattenimento. Roma repubblicana: il volto verista. PAGINA NERA Come sta il ponte di Bassano? IN MOSTRA Il figurativo inglese a Londra; Nascita di una nazione a Firenze; Impressionismo e avanguardie a Milano; Gaudenzio Ferrari in Piemonte; Bellini e Mantegna a Venezia.Direttore: Philippe Daverio