Studi e riscoperte.1
L’Art Pompier

TRA MITO,SOGNO
E REALTÀ

Contrapposta tradizionalmente all’avanguardia, è stata definita “pompier” la pittura ufficiale e accademica, ben vista dal potere, nella Francia della seconda metà dell’Ottocento. Un’arte molto amata dal pubblico del tempo, che propone miti o episodi della storia con sapiente ecclettismo e un realismo quasi fotografico.


Fernando Mazzocca

Come per altri termini poi ampiamente utilizzati dalla storia dell’arte anche quello di “pompier” non si sa bene quando e come sia nato. Così risulta codificato più tardi rispetto al fenomeno cui si riferisce. Sarebbe diventato di uso comune verso la seconda metà degli anni Ottanta dell’Ottocento, per indicare con un’accezione negativa quei pittori che furono contrari a ogni innovazione, nel rispetto delle regole dell’Accademia e per assecondare il gusto di un pubblico più ampio. Sono state avanzate varie ipotesi sulla sua origine, come quella secondo la quale il termine “pompier” deriverebbe dagli elmi, simili a quelli dei pompieri, che David e i suoi seguaci facevano calzare ai loro eroi greci e romani, oppure che, diversamente, la parola sarebbe la deformazione ironica di “pompéistes”, l’appellativo che si erano dati i neogreci o neopompeiani.

Paul Delaroche, Artisti di tutti i tempi (1836-1841), Parigi, emiciclo dell’Ecole des Beaux-Arts.

Riuniti attorno a Charles Gleyre, i “pompier” erano stati i fautori di una pittura che al confronto con la realtà e la contemporaneità preferiva l’evasione nella finzione del mito, nel sogno archeologico. Ma ancora, il vocabolo sarebbe scaturito dalla presenza tutelare ai Salon ufficiali, dove questo tipo di pittura era la più apprezzata, dei pompieri o delle guardie imperiali. Comune a queste derivazioni è comunque il senso derisorio che finiva per legare “pompier” anche al termine “pompeux” (pomposo) che in qualche modo spiega l’artificiosità di cui l’Art Pompier è stata tradizionalmente accusata. Nella storiografia sull’Ottocento si è andata poi consolidando una visione manichea che contrapponeva l’arte “pompier” all’“avanguardia”, identificandola come reazione alla modernità.

Le prospettive critiche sono cambiate da quando, a partire dagli anni Settanta del Novecento, si è cominciato a riflettere sulla «sfortuna dell’accademia», secondo la felice formula coniata nel 1972 da Sandra Pinto quando riallestì la Galleria d’arte moderna di palazzo Pitti dando spazio alle esperienze italiane di un accademismo che, se certo ha dato il meglio di sé in Francia, è stato un fenomeno internazionale.


Thomas Couture, I romani della decadenza (1847), Parigi, Musée d’Orsay.

Una sorta di manifesto della pittura ufficiale gradita al potere e amata dal pubblico


La creazione nel 1986 del Musée d’Orsay, dedicato alla produzione artistica tra il 1848 e il 1914, ha contribuito sia nell’assetto dato alle collezioni, sia attraverso le grandi mostre, soprattutto quelle organizzate durante la direzione di Guy Cogeval, a sdoganare le diverse manifestazioni con cui quest’arte, che la si voglia denominare “pompier”, accademica o ufficiale, si è sviluppata nella Francia tra la monarchia di luglio (1830) e la Terza repubblica (1870). Il fatto che il piano terreno di questo museo, divenuto subito uno dei più visitati al mondo, sia dominato dalla mole dello sterminato dipinto di Thomas Couture I romani della decadenza è emblematico. Esposto con grande successo al Salon del 1847, un anno prima della rivoluzione che avrebbe posto termine al regno di Luigi Filippo, è una sorta di manifesto della pittura ufficiale gradita al potere e amata dal pubblico per l’eloquenza con cui faceva rivivere la storia e il richiamo ai grandi modelli, tra la Scuola di Atene di Raffaello e le Nozze di Cana del Veronese.

Il primo esponente di questa tendenza, che si può dunque considerare una sorta di fondatore dell’Art Pompier, è stato il pittore di maggior successo nella Francia della Restaurazione. Paul Delaroche, campione del cosiddetto “juste milieu” cioè di un ragionato equilibrio tra gli estremi dei romantici alla Delacroix, troppo passionali, e dei classici alla Ingres, freddamente astratti, realizzò un tipo di pittura dove la storia, che fosse la celeberrima Esecuzione di Lady Jane Grey (Londra, National Gallery) o la rievocazione nell’emiciclo dell’Ecole des Beaux-Arts di Parigi degli artisti di tutti i tempi, veniva resa attraverso un impressionante realismo, quasi fotografico.


William-Adolphe Bouguereau, La nascita di Venere (1879), Parigi, Musée d’Orsay.

Questa cifra, per cui sotto l’assoluta fedeltà e precisione della riproduzione della realtà non si intravede uno stile individuale ma semmai un sapiente eclettismo, sarà il carattere principale dei pittori, appunto, destinati a essere poi condannati sotto l’etichetta di “pompiers”, che domineranno la scena ufficiale, richiesti per le commissioni pubbliche e graditi tanto al gusto delle folle che frequentavano sempre di più le esposizioni quanto a quello dei nuovi ricchi che, non solo francesi, dominavano la scena della città diventata capitale delle arti, dello spettacolo e della mondanità. In perfetta continuità, anche ideologica, con l’età del “re borghese” Luigi Filippo d’Orléans, l’edonismo del Secondo impero - che, dopo la drammatica parentesi della guerra franco-prussiana e della Comune, dominerà anche la Terza repubblica - finirà con il favorire queste tendenze portandole al trionfo nella Parigi trasformata dalla riforma urbanistica del barone Haussmann e da un’architettura che dell’Opéra Garnier aveva fatto il simbolo dell’amore per il lusso e l’ostentazione.


Alexandre Cabanel, La nascita di Venere (1862), Parigi, Musée d’Orsay.

L’arte che nelle intenzioni delle classi dirigenti e nelle attese del grande pubblico rappresentò questa vocazione alla ricchezza e al disimpegno non fu, come sappiamo, la «pittura della vita moderna» teorizzata da Baudelaire e realizzata dagli impressionisti, ma il genere storico che sulle orme di quanto era stato realizzato da Delaroche, Couture, Gleyre, il quale paradossalmente era stato il maestro di Monet, Renoir, Bazille e Sisley, continuerà a proporre l’evasione nei territori del mito, della storia classica e del sogno orientale.

La vicenda che spiega meglio questa divaricazione è lo scontro al Salon del 1863 tra due Veneri molto diverse: il levigatissimo nudo affiorante dalla spuma del mare nella Nascita di Venere di Alexandre Cabanel, che fece impazzire il pubblico e venne scelta per essere acquistata da Napoleone III, e la “brutta” e “malfatta” Olympia di Manet che, nonostante la sua derivazione dalla Venere di Urbino di Tiziano, fu respinta e derisa da tutti. L’erotismo patinato di Cabanel era destinato a fare proseliti e a far rivivere gli incanti del Settecento alla Boucher se pensiamo allo stesso tema, declinato ancora dallo stupefacente mestiere di William-Adolphe Bouguereau che, grazie al sodalizio con il mercante Durand-Ruel, ebbe un grande successo presso il nuovo collezionismo e il pubblico negli Stati Uniti. La sua fortuna verrà consacrata anche a livello accademico quando nel 1888 fu nominato presidente dell’Ecole des Beaux-Arts.

Dal mito alla storia, dall’allegoria all’orientalismo


Simile è stata la parabola artistica e professionale di Jean-Léon Gérôme, favorita dalla parentela con il più grande mercante del XIX secolo e sostenitore della pittura alla moda, Adolphe Goupil, e da una maggior versatilità e ampiezza di repertorio che lo portò a spaziare dal mito alla storia, dall’allegoria all’orientalismo. Anche lui consolidò il suo prestigio e la sua influenza insegnando all’Ecole, ma pure commercializzando e promuovendo - come Bouguereau - la propria opera attraverso le riproduzioni cromolitografiche e fotografiche. Questo fenomeno, che è stato negli ultimi anni oggetto di particolare attenzione da parte degli studiosi dell’Ottocento, ci fa capire come la pittura “pompier” sia entrata nel bene e nel male nell’immaginario collettivo universale, alimentando con il suo sconfinato repertorio la “settima arte”, il cinema, cui saranno affidate nuove e ancora più ardite esplorazioni nei territori del mito e della storia. Si pensi all’impressionante verismo e all’enfasi scenica, che sembrano aver ispirato gli infiniti film sul tema, di un superbo capolavoro del più abile “pompier” nostrano come l’Ecce Homo (1891) di Antonio Ciseri.


Jean-Jules-Antoine Lecomte du Nouÿ, La schiava bianca (1888), Nantes, Musée des Beaux-Arts.

Henri Gervex, Rolla (1878), Bordeaux, Musée des Beaux-Arts.


Antonio Ciseri, Hecce Homo (1891), Firenze, palazzo Pitti, Galleria d’arte moderna.

ART E DOSSIER N. 353
ART E DOSSIER N. 353
APRILE 2018
In questo numero: CORPI DI PASSAGGIO Jenny Saville: materia in disfacimento. Leon Golub: la violenza del potere. Pompier: bellezza come intrattenimento. Roma repubblicana: il volto verista. PAGINA NERA Come sta il ponte di Bassano? IN MOSTRA Il figurativo inglese a Londra; Nascita di una nazione a Firenze; Impressionismo e avanguardie a Milano; Gaudenzio Ferrari in Piemonte; Bellini e Mantegna a Venezia.Direttore: Philippe Daverio